I dati Ocse mostrano come in Italia la spesa sanitaria per abitante (pubblica e privata) 2022 sia pari a 4.290 dollari, metà di quanto speso in Germania. Le previsioni 2025 sono di un 6,2% del Pil, al di sotto dei livelli pre-Covid in Italia e molto inferiore alla spesa dei maggiori paesi europei.
La sanità pubblica italiana attraversa un momento molto difficile. La riduzione della spesa sanitaria in termini reali, la delega fiscale del governo, i tagli al Pnrr, le mani avanti del ministro Giorgetti in vista della legge di bilancio, il progetto di autonomia regionale differenziata stanno minando alcuni principi costitutivi del Servizio sanitario nazionale, mettendone a rischio attività e tenuta. Da tempo la sanità pubblica subisce tagli alla spesa (in particolare dopo il 2011), riduzioni di personale e servizi, ridimensionamento delle attività di prevenzione, dell’assistenza territoriale, mentre cresce di continuo lo spazio lasciato alla sanità privata.
La riforma sanitaria del 1978 segnò il momento di maggior rinnovamento del welfare italiano, creando un servizio pubblico con universalità di copertura, equità di accesso e uguaglianza di trattamento, globalità dell’intervento sanitario, uniformità territoriale, partecipazione democratica, finanziato tramite la fiscalità generale progressiva. Da almeno trent’anni assistiamo a un’inversione di rotta rispetto alle origini del Servizio sanitario nazionale che non è sfuggito alla riorganizzazione del capitalismo in chiave neoliberale.
La pandemia da Covid-19 ha portato alla luce le conseguenze più gravi: la carenza di personale, il depotenziamento della medicina generale e territoriale, la subalternità alle imprese farmaceutiche nella ricerca e nella produzione di farmaci e vaccini. Tuttavia, proprio la pandemia sembrava aver riportato al centro dell’attenzione pubblica il diritto alla salute, fisica e psichica, individuale e collettiva e, con esso, la necessità di un rinnovamento del welfare socio-sanitario. Poteva essere l’occasione per rafforzare l’assetto sanitario del paese a partire dalle cure primarie.
Nella gestione del Covid-19 e nelle politiche successive la direzione presa è stata tutt’altra. La fotografia più recente è venuta dai nuovi dati Ocse, che mostrano come in Italia la spesa sanitaria per abitante (pubblica e privata) nel 2022 è stata pari a 4.290 dollari, poco più della metà di quanto si è speso in Germania (oltre ottomila dollari), mentre in Francia la spesa è stata di 6.500 dollari. Le previsioni per la sanità pubblica per il 2025 prevedono una spesa del 6,2% del Pil, un dato al di sotto dei livelli pre-covid in Italia e molto inferiore alla spesa dei maggiori paesi europei.
Il governo Meloni ha portato a una grave accelerazione di questi processi. Il piano di riforma fiscale, che abolisce l’Irap (finora destinata a finanziare la sanità), estende la flat tax contro il principio della progressività, aumenta le agevolazioni per le assicurazioni private, avrà un effetto immediato di riduzione delle risorse pubbliche per la salute. Si registra una grave carenza di medici e infermieri: l’ultimo Rapporto Crea-sanità calcola, con riferimento alla popolazione anziana, una carenza di 30mila medici e di circa 220mila infermieri (che salirebbero a 320mila in riferimento alla popolazione over 75).
E tuttavia, vengono mantenuti i tetti di spesa per il personale sanitario che vive condizioni di lavoro sempre più difficili, con diffusi contratti precari e la crescente tentazione di fuga, soprattutto dai settori più usuranti, verso strutture private o verso altri paesi, mentre aumentano il ricorso e gli incentivi ai costosissimi medici a gettone. Il risultato è una riduzione dei servizi, lunghissime liste d’attesa, ricorso alle prestazioni dei medici che lavorano intramoenia nelle strutture pubbliche, crescenti divari tra le regioni nella qualità e quantità dei servizi forniti, espansione della sanità privata.
E poi c’è il Pnrr, che non prevedeva sin dagli inizi gli aumenti di spesa corrente necessari a far funzionare le nuove strutture previste, le Case e gli Ospedali di comunità, che peraltro rischiano un ridimensionamento con le recenti proposte di revisione del governo.
Il processo di privatizzazione marcia dunque velocemente attraverso il definanziamento del servizio sanitario nazionale e il dirottamento di risorse pubbliche verso la sanità privata. Crescono l’affidamento di servizi a privati accreditati e le esternalizzazioni; attraverso convenzioni e contratti, viene trasferita la responsabilità parziale o totale della fornitura di servizi clinici o non clinici al privato. In Italia la quota della spesa sanitaria pubblica destinata a operatori privati per i servizi svolti è arrivata al 22%, con Lazio e Lombardia che raggiungono il 30%.
In questo contesto, si registra un progressivo incremento della spesa sanitaria sostenuta direttamente dai cittadini per l’acquisto di servizi sanitari privati out of pocket, che rappresenta più del 20% della spesa sanitaria complessiva. Queste risorse si traducono in nuova domanda per ospedali e centri diagnostici privati e per le aziende farmaceutiche, così come cresce il ruolo delle società di assicurazione che forniscono servizi in campo sanitario, favorite dagli incentivi offerti al welfare aziendale con la defiscalizzazione dei contributi pagati dalle imprese. È un settore in rapida trasformazione, con processi di concentrazione e l’affermarsi di multinazionali straniere in campo diagnostico, assicurativo e farmaceutico.
Analisi pubblicata da il manifesto del 24 agosto 2023