Sulla paga del manager Fiat si è scritto e dibattuto molto. Bilanci alla mano, facciamo il punto. E qualche confronto: con colleghi e dipendenti
Oggi la remunerazione complessiva degli alti dirigenti operanti nelle imprese della maggior parte del mondo si compone di almeno tre voci; 1) la parte fissa, 2) i cosiddetti bonus, premi in genere annuali – ma ci sono anche quelli straordinari- collegati, almeno in teoria, al raggiungimento di certi obiettivi aziendali, infine 3) la distribuzione di azioni, voce a sua volta suddividibile in due strumenti differenti, stock option, strumento attraverso il quale è possibile, in genere nell’arco di un certo numero di anni, per il dirigente interessato, acquistare azioni della società ad un prezzo predeterminato e stock grant, distribuzione di azioni gratuita. Anche questa terza voce, come i bonus, dovrebbe spingere i dirigenti a migliorare le prestazioni aziendali.
La crisi in atto ha rinfocolato le polemiche intorno a degli strumenti che portano la remunerazione dei manager a livelli intollerabili e pari in molti casi a diverse centinaia di volte, se non di più, rispetto a quella degli stipendi medi esistenti in un’azienda e a punte ancora più elevate rispetto a quelli degli operai meno pagati. Va anche ricordato come alcuni decenni fa il rapporto tra la paga di un top manager e quella di un dipendente nella scala bassa della gerarchia fosse in occidente “soltanto” pari ad alcune decine di volte.
Negli ultimi anni si sono levate voci molto autorevoli, anche nell’ambito aziendale, contro questo sistema; ricordiamo in proposito, a suo tempo, le dichiarazioni di W. Buffett, uno degli uomini più ricchi del mondo e uno degli imprenditori di maggior successo e quelle di J. Welch, considerato, quando era presidente della General Electric, come il più bravo manager del mondo. Anche molti studiosi hanno messo in rilievo come, alla fine, il sistema di incentivi, messo in piedi in teoria per legare la remunerazione ai risultati ottenuti e per incentivare i manager a migliorare il valore dell’azienda e i suoi profitti, sia andato fuori controllo: i manager, con la complicità dei consigli di amministrazione, vedono così i loro stipendi aumentare anche quando le cose vanno male e, d’altro canto, il sistema li spinge, se necessario, a truccare i dati (vedi a suo tempo in proposito lo scandalo Enron) e/o a far prendere all’impresa rischi eccessivi per aumentare la redditività (vedi il crollo del sistema bancario con l’ultima crisi).
E veniamo alla nostra azienda. Nel 2009, anno di crisi, in cui il gruppo Fiat ha perso circa 800 milioni di euro, l’amministratore delegato, S. Marchionne, come ci informa il documento di bilancio aziendale, ha ricevuto come parte fissa della sua remunerazione circa 3.430.000 euro e a titolo di bonus 1.350.000, per un totale di 4.780.000 euro, mentre la remunerazione complessiva di L. Cordero di Montezemolo, presidente del gruppo e contemporaneamente della Ferrari, è stata uguale a 5.170.000 euro e quella di J. Elkan, che non aveva incarichi operativi, “soltanto” a 631.000 euro.
C’è chi in Italia nello stesso anno ha fatto anche meglio; così C. Puri Negri, amministratore delegato di Pirelli Re, nonostante i pessimi risultati dell’azienda da lui diretta, ha ricevuto un totale 14.000.000 di euro, più del suo capo, M. Tronchetti Provera, che ha guadagnato 5.664.000 euro, di nuovo nonostante il non brillante andamento del gruppo Pirelli.
Ma torniamo alla Fiat. La retribuzione media annua lorda di un operaio del settore metalmeccanico è stata nel 2009 pari, secondo i dati Istat, a 21.600 euro. Così Marchionne ha guadagnato in tale anno circa 222 volte quanto un operaio di linea.
M. Mucchetti, sul Corriere della sera del 9 gennaio 2011, ci ricorda che nel periodo 2004-2010 l’amministratore delegato ha comunque ottenuto in media 6.300.000 euro all’anno. In questo caso, prendendo in considerazione tutto il periodo di lavoro del manager presso la Fiat, il confronto con il salario dell’operaio metalmeccanico nel 2009 darebbe un rapporto di circa 292 volte.Ma la storia non finisce certo qui. Bisogna anche considerare che da quando Marchionne ha preso le redini del gruppo nel 2004 egli ha avuto in assegnazione gratuita 4.000.000 di azioni, cedibili sul mercato a partire dalla fine del 2012. Il loro valore nei primi giorni del 2011 era di 69.800.000. Inoltre, egli ha anche ottenuto nel tempo delle stock option per un numero complessivo di 19.420.000 milioni di azioni circa (dati forniti da Mucchetti), che, sempre nei primi giorni del 2011, avevano un valore netto di 143.800.000 euro. Da considerare che una parte di tali opzioni era già esercitabile e che comunque il valore dei titoli Fiat è in questo periodo in crescita sul mercato.
Secondo tali cifre, così, comprendendo tutte le voci relative alla remunerazione di Marchionne, si può calcolare che in media egli abbia guadagnato circa 38.800.000 euro all’anno nel periodo 2004-2010, ciò che corrisponde a 1.800 volte lo stipendio medio di un metalmeccanico nel 2009. E lasciamo stare a quante migliaia di volte la remunerazione del capo corrisponda rispetto al salario di un cassaintegrato, che guadagna circa 700 euro al mese.
L’amministratore delegato, come al solito, ha largamente esagerato e questo anche rispetto agli standard pur molto discutibili a cui si è oggi abituati in occidente e che vengono peraltro ampiamente contestati da tempo dall’opinione pubblica e da molti esperti.