Per fermare la guerra in Ucraina e le derive autoritarie in molti paesi è importante costruire una campagna comune tra attivisti per la pace e i diritti umani in occidente, in Russia e in Ucraina. Serve un nuovo sistema di sicurezza paneuropeo fondato sulla sicurezza umana e sulla democrazia piuttosto che sulle armi.
L’unico modo per porre fine alla guerra in Ucraina è una combinazione di resistenza ucraina e opposizione russa. Nonostante la repressione di tutte le forme di opposizione in Russia, migliaia di persone sono state abbastanza coraggiose da protestare contro la guerra in almeno 53 città in tutta la Russia; migliaia sono state arrestate, eppure le proteste continuano. Molti consiglieri locali, due membri del Parlamento, registi teatrali, personaggi dello sport, conduttori di talk show, così come il giornale Novaya Gazeta stanno esprimendo pubblicamente la loro opposizione alla guerra.
L’umore in Russia è un misto di confusione, disperazione e sfida. Coloro che sostengono il regime sono rinchiusi in una profezia che si auto-avvera, e indicano la risposta occidentale alla guerra come prova dell’aggressione occidentale. Molti altri hanno perso la speranza e stanno pensando a come lasciare il paese. E ci sono anche un gran numero di persone che si stanno chiedendo come possono costruire un movimento contro la guerra nonostante la repressione esistente. La petizione del Congresso degli intellettuali (https://www.rightsinrussia.org/statement-12/) è stata un primo passo in questa direzione; ora ci sono molte discussioni tra diversi gruppi e reti su come portare avanti la protesta.
Ciò che è ora necessario è che gli attivisti per la pace e i diritti umani in Occidente organizzino un intenso dialogo con gli attivisti per la pace in tutta la Russia, al fine di sviluppare una strategia transnazionale comune. È un dialogo che deve includere anche gli attivisti della Bielorussia e dell’Ucraina.
Mettere fine al modo di pensare della guerra fredda
Un punto di partenza è la necessità di una comprensione condivisa della guerra in termini di democrazia e diritti umani. La preoccupazione principale del regime russo è di rimanere al potere; temono che la democrazia in Ucraina possa offrire un esempio da seguire in Russia. Non possono accettare la democrazia in Ucraina più di quanto il regime di Assad possa accettare la democrazia in Siria. Capire questo è necessario per contrastare le interpretazioni dominanti della guerra che tendono a concentrarsi sulla geopolitica piuttosto che sulla democrazia e i diritti umani, e che considerano marginale il ruolo dell’attivismo contro la guerra.
C’è una tendenza a spiegare la guerra in termini binari, proprio come durante la guerra fredda: l’Occidente attribuisce la crisi interamente al comportamento aggressivo della Russia, mentre lo Stato russo giustifica il suo comportamento come risposta all’espansionismo della Nato. Qualsiasi movimento contro la guerra in Russia è trattato dallo Stato russo come una creazione dell’Occidente, mentre coloro che in Occidente si oppongono all’espansione della Nato sembrano spesso giustificare il comportamento russo.
Durante il periodo della guerra fredda, gli attivisti sono stati presi in una trappola simile. Gli attivisti per la pace in Occidente erano politicamente emarginati perché erano visti come una quinta colonna sovietica, mentre gli attivisti per i diritti umani in Unione Sovietica e in Europa orientale erano trattati come strumenti dei governi occidentali. Solo unendosi, sottolineando sia la questione della pace che quella dei diritti umani, hanno potuto espandere la loro influenza politica.
La storia viene solitamente raccontata dall’alto, e quindi viene spesso sottovalutata l’importanza che ha avuto il dialogo tra i movimenti per la pace e per i diritti umani attraverso la divisione Est-Ovest nel contribuire alla fine della guerra fredda.
Negli ultimi anni in Russia le proteste sono state soppresse e la società civile – le istituzioni per i diritti umani, i partiti politici di opposizione, le ong di vario tipo e i media indipendenti – è stata attaccata dallo Stato, rendendo la protesta sempre più difficile. Il giro di vite sulla società civile è stato giustificato con l’argomento che tali gruppi sono “agenti stranieri” sostenuti dall’Occidente.
Se vogliamo la pace in Europa, allora gli attivisti contro la guerra sia in occidente che in Russia devono superare una visione contrapposta del mondo. È molto importante che coloro che si oppongono al militarismo e alla corsa agli armamenti in occidente si impegnino in un dialogo con coloro che lottano per la pace e i diritti umani in Russia, e trovino modi per perseguire insieme i loro obiettivi comuni.
Capitalismo clientelare e nazionalismo esclusivo
Il comportamento aggressivo del Cremlino deve essere visto come la manifestazione di un fenomeno molto attuale – una nuova forma di populismo autoritario di destra che combina capitalismo clientelare e nazionalismo esclusivo – che si può trovare non solo in Russia ma nella Gran Bretagna di Boris Johnson o nell’America di Donald Trump, per non parlare dell’India di Narendra Modi o del Brasile di Jair Bolsonaro. Si può sostenere che l’Occidente ha contribuito a questo fenomeno in due modi.
Prima di tutto, quando la guerra fredda è finita, molti speravano che questo avrebbe portato alla smilitarizzazione dell’Europa. L’alleanza sovietica, il Patto di Varsavia, venne sciolta – ma la Nato continuò ad esistere e si allargò. Questo fu in parte per inerzia, in parte per una risposta alle richieste degli aspiranti membri dell’Europa centrale e orientale, e in parte una conseguenza della pressione del complesso militare-industriale. Putin avrebbe probabilmente agito in modo aggressivo anche senza l’espansione della Nato, ma non era affatto necessario che l’Occidente gli fornisse un pretesto. Si è persa un’occasione per riorganizzare l’architettura di sicurezza europea mettendo al centro la sicurezza umana e la risposta alle crisi complesse.
Ancora più importante forse, l’Occidente ha introdotto il fondamentalismo del mercato in tutti i paesi post-comunisti. Privatizzazioni e liberalizzazioni hanno prodotto la combinazione di capitalismo clientelare e disuguaglianza socio-economica che in molti paesi ha fornito il contesto per il nuovo autoritarismo. Nonostante qualche critica e qualche discorso sulle contromisure, le élite occidentali hanno per lo più accettato la concentrazione della ricchezza estratta dalla Russia nei centri finanziari occidentali, alimentando ulteriormente la corruzione e l’impunità.
C’è bisogno che gli attivisti di tutta Europa si uniscano per resistere al nuovo autoritarismo di destra. C’è bisogno di un’intensa comunicazione transnazionale – che, con internet, è molto più facile ora che durante la guerra fredda – al fine di sviluppare analisi condivise di ciò che sta andando male e di come contrastare le tendenze più pericolose. Dobbiamo rivolgere l’attenzione alle diffuse violazioni dei diritti umani in Russia e nei paesi che la circondano, specialmente in Crimea e nella regione del Donbass, così come in altre zone grigie e territori contesi. La priorità dovrebbe essere la difesa e l’aiuto alle istituzioni della società civile che sono sotto attacco nello spazio post-sovietico, così come negli altri paesi. E gli attivisti contro la guerra, ovunque si trovino, hanno bisogno di sfidare il militarismo e la corsa agli armamenti di tutte le parti, e di costruire connessioni e reti tra i movimenti.
Dobbiamo impegnarci in una ricerca comune di soluzioni a questa crisi drammatica, che non ha solo una dimensione militare o di diritti umani, ma pone anche problemi concettuali. Possiamo immaginare un’Europa che non si fermi alle frontiere della UE? Possiamo costruire una società civile capace di guardare oltre le differenze nazionali e di resistere all’isolamento e alle divisioni che ricordano l’era della guerra fredda?
Soprattutto, questa crisi offre l’opportunità per costruire un nuovo sistema di sicurezza paneuropeo che si basi sulla sicurezza umana piuttosto che sulla sicurezza nazionale, sul multilateralismo piuttosto che sulla geopolitica. La sicurezza umana riguarda la sicurezza degli individui e delle comunità in cui vivono. L’implicazione è che la sicurezza degli ucraini e dei russi è tanto rilevante quanto la sicurezza degli inglesi o degli americani. Riguarda anche la sicurezza dalla povertà, dalle malattie e dal degrado ambientale, così come dalla repressione e dagli attacchi armati. Ha al suo centro i diritti umani, lo stato di diritto e la giustizia.
Una discussione sulla creazione di un sistema di sicurezza di questo tipo dovrebbe prevedere tre componenti:
La pace: rispetto dello status quo territoriale, misure di rafforzamento della fiducia, controllo delle armi e disarmo;
La cooperazione economica, sociale, culturale, sanitaria e ambientale. Particolarmente importante è la cooperazione in risposta alle sfide globali del nostro tempo, come le pandemie o il cambiamento climatico;
I diritti umani: libertà di riunione e associazione, libertà di stampa, libertà di movimento, stato di diritto e responsabilità per la corruzione e le violazioni dei diritti umani.
Un invito ad aprire questo dibattito viene dall’appello “No more war in Europe” – presentato qui accanto – lanciato di recente da attivisti della società civile, accademici e politici di tutta Europa. La corsa agli armamenti e la militarizzazione non assicurano il bisogno umano fondamentale di sicurezza e protezione se non sono integrate da diritti umani, democrazia partecipativa, giustizia economica e sociale. Le persone che credono in tutto questo dovrebbero sottoscrivere l’appello e contribuire al movimento.
Testo pubblicato da Red Pepper, 1 marzo 2022, tradotto per Sbilanciamoci.
No More War in Europe
Basta con la guerra in Europa
Un appello per l’azione civica in Europa e oltre
Un’altra guerra in Europa non è più una possibilità improbabile. Per alcuni popoli del continente è già una realtà in Ucraina, in Georgia, nel Nagorno Karabakh e sul confine turco-siriano. Così come lo sono i preparativi militari e le minacce di guerra su larga scala.
L’architettura di sicurezza europea, creata dopo la seconda guerra mondiale e poi negli accordi di Helsinki, si è dimostrata superata e sta affrontando la sua sfida più seria da decenni.
Noi, attivisti civici degli stati firmatari della Convenzione europea dei diritti umani, degli Stati membri del Consiglio d’Europa o dell’Osce, prendiamo atto dell’urgente necessità di prevenire la guerra in Europa.
Crediamo che la connessione tra pace, progresso e diritti umani sia inestricabile. Una società civile forte e libera, lo stato di diritto e garanzie reali per la protezione dei diritti umani sono elementi chiave della sicurezza complessiva all’interno della grande Europa, eppure la soppressione coordinata e mirata delle istituzioni della società civile in un certo numero di paesi è un problema relegato ai margini delle relazioni internazionali. Il contagio autoritario, come si è visto in Russia, Turchia, Bielorussia, Azerbaijan, Polonia, Ungheria, e nei fenomeni della Brexit e di Trump, è associato a conflitti internazionali, ingiustizia sociale, discriminazione e divisione. È una minaccia altrettanto pericolosa quanto la pandemia di covid-19 o il cambiamento climatico.
Siamo convinti che queste sfide comuni dovrebbero essere affrontate attraverso un dialogo internazionale di cui la società civile è parte integrante. Tale dialogo internazionale dovrebbe includere i tre pilastri chiave che hanno definito gli accordi di Helsinki: (1) sicurezza, disarmo e integrità territoriale; (2) cooperazione economica, sociale, sanitaria e ambientale; (3) diritti umani e stato di diritto.
Facciamo appello alla buona volontà degli Stati per portare avanti questo dialogo e sottolineiamo il nostro impegno ad assistere questi sforzi.
Crediamo che un movimento civico internazionale, con una posizione contro la guerra e a favore dei diritti umani sia una necessità, e ci impegniamo a costruirlo in tutta Europa.
Unitevi a noi!
I firmatari sono invitati a sostenere questo appello come base per il lancio di una nuova iniziativa popolare internazionalista. Per aderire, firma l’appello.
Tra i primi firmatari:
Dmitri Makarov, Council Member of the Moscow Helsinki Group
Oleksandra Matviichuk, head of the Center for Civil Liberties (Kyiv)
Vasyl Cherepanyn, Head of the Visual Culture Research Center / Kyiv Biennial
Artur Sakunts, Head of Vanadzor office of Helsinki Citizens’ Assembly, Armenia
Idoia Villanueva Ruiz MEP, Unidas Podemos
Ana Gomes, former MEP Portuguese Socialists
Guilherme d’Oliveira Martins, former Minister of Finance and Education of Portugal
Rasha Shaaban, Cultural Activist, Feminist
Paul Mason, journalist and author
Mary Kaldor, Professor Emeritus of Global Governance, LSE
G.C.Spivak, Professor Columbia University
Niccolo Milanese, Director of European Alternatives
Luke Cooper, academic and co-founder Another Europe Is Possible
Kalypso Nicolaïdis, Professor, European University Institute and University of Oxford.
Saskia Sassen, Professor, Columbia University, New York City
Alvaro Vasconcelos, Founder of Forum Demos , former Director of the European Union Institute for Security Studies ( EUISS)
Frieder Otto Wolf, Freie Universität Berlin
Martin Shaw, University of Sussex and Institut Barcelona d’Estudis Internacionals
Elisa Reis, Professor of the Federal University of Rio de Janeiro
Richard Corbett, Former leader of the UK Labour Party MEPs
Bernard Dreano, Chairperson of the CEDETIM Center for international solidarity studies and initiatives (Paris)
Luis Braga da Cruz , former Minister of Economy Portugal
Anthony Barnett, Co-founder openDemocracy
John Feffer, Director, Foreign Policy In Focus, Washington D.C.