Con un PIL che, nel 2014, torna positivo nel Nord Est e riduce la propria caduta nella maggior parte delle altre Regioni, l’Italia sta avviando una ripresa che rischia però di lasciare indietro il Mezzogiorno. Confermando un dualismo tra aree forti e deboli del Paese espressosi già prima della crisi
Lo scorso 30 luglio l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ), ha pubblicato le Anticipazioni sui principali andamenti economici tratti dal Rapporto 2015 sull’economia del Mezzogiorno, di prossima pubblicazione.
La SVIMEZ inquadra la crisi del Sud in uno scenario globale nel quale la ripresa, prevista per il 2014, è sostanzialmente mancata, nonostante le condizioni favorevoli date dal calo delle quotazioni del petrolio.
Naturalmente lo scenario globale si presenta con diverse sfaccettature, soprattutto nell’area Euro, le cui regole interne sembra abbiano influito negativamente sulle economie più deboli, specie nel confronto con i Paesi UE emergenti e non aderenti alla moneta unica.
L’Italia risulta l’unico tra i grandi Paesi europei a non aver mostrato nel 2014 segnali di ripresa del PIL, riuscendo a tornare alla crescita (+0,3%) solo nel primo trimestre del 2015.
Questa tardiva ripresa è ritenuta solida benché soggetta a incertezze esterne (crisi internazionali e dell’area Euro) ed interne, dati i dubbi sulle prospettive future della domanda, a fronte di politiche fiscali severe (il risanamento del debito pubblico risulta già aver influito sui consumi privati rallentando la ripresa), in uno scenario che frena le imprese dal produrre e investire.
Tra 2001 e 2014, il divario cumulato di crescita è pari a quasi 18 punti con l’UE e a oltre 13 con l’area Euro, a causa di vari fattori: dalla ridotta dimensione media delle imprese, alla bassa spesa in ricerca e sviluppo, sia istituzionale (si pensi allo stato della giustizia civile e dell’istruzione) che infrastrutturale (dotazione ITC e capitale umano).
Per tali motivi il Paese non avrebbe beneficiato delle evoluzioni degli ultimi venti anni: dall’allargamento dei mercati globali, all’integrazione economica e finanziaria della moneta unica, all’incremento di produttività ed efficienza determinato dall’ITC.
Con un PIL che, nel 2014, torna positivo nel Nord Est e riduce la propria caduta nella maggior parte delle altre Regioni, l’Italia sta avviando una ripresa che rischia però di lasciare indietro il Mezzogiorno, confermando un dualismo tra aree forti e deboli del Paese espressosi già prima della crisi (al contrario della Spagna, dove nel pre-crisi le Regioni deboli crescevano di più) e accentuato in questi anni, a riprova della mancanza di quella sintonia nella crescita che caratterizza, invece, le due aree della Germania, l’altro Paese storicamente duale dell’UE.
Stando al preconsuntivo SVIMEZ, la perdita dell’1,3% del PIL del 2014 (-0,2% per l’Italia) segna il settimo anno consecutivo di crisi del Sud (con erosione totale del PIL di 13 punti) che, al contrario del Centro-Nord, non ha beneficiato della ripresa europea del 2010/2011.
Il Sud ha avvertito uno stimolo inferiore dalla domanda estera, ma anche una forte riduzione di quella interna, con una minor competitività riguardante sia la spesa per consumi (importante calo di quella della P.A. segnata da un calo di spesa in conto capitale) che quella per investimenti (anche quelli diretti pubblici, cui va aggiunto il quasi dimezzamento delle agevolazioni).
Il Sud ha visto ridursi la propria capacità industriale, non rinnovata (-59,3% di accumulazione di investimenti, il triplo del Nord) e dunque sempre meno produttiva e competitiva.
La SVIMEZ richiama l’attenzione anzitutto sul comparto manifatturiero, già poco presente nell’economia del Sud e segnato dagli effetti della globalizzazione sulle proprie produzioni, subendo una contrazione nel periodo della crisi quasi tre volte più forte che nel resto del Paese (-33,1% contro -14,4%), lasciando sul campo anche imprese sane ma non attrezzate a superare questi anni difficili, attraversando i quali il Mezzogiorno è arrivato (2014) a misurare il peso del manifatturiero nell’8% sul totale del valore aggiunto della propria economia, decisamente distante dall’obiettivo del 20% fissato dalla Commissione UE nella nuova strategia di politica industriale.
Un drastico calo degli investimenti si rileva anche nel settore agricolo, riflettendo le difficoltà strutturali (modeste dimensioni aziendali e invecchiamento dei conduttori) di un comparto che in 14 anni ha perso al Sud il 16% del proprio valore aggiunto.
I servizi, che nel passato decennio registravano tassi di crescita positivi, hanno visto il livello del loro prodotto tornare a quello di fine anni ’90, con effetti negativi rilevanti per un territorio strutturalmente più sensibile al peso di tale comparto.
Intanto, tra il 2001 ed il 2014 dal Sud sono emigrate al Centro-Nord oltre 1.667.000 persone (a fronte dei rientri, il saldo negativo è di 744.000 unità): il 70% sono giovani e poco meno del 40% laureati, costretti a migrare da un territorio segnato da una strutturale carenza di opportunità di lavoro e dalla forte incidenza del fenomeno dei NEET (quasi 2 milioni i ragazzi meridionali interessati al 2014 secondo l’ISTAT).
La caduta dell’occupazione negli anni della crisi (-9%) ha limato a circa 5,8 milioni il numero di lavoratori meridionali (poco più di ¼ del totale nazionale), il dato più basso da quando sono disponibili le serie storiche ISTAT (1977). Oltre ai giovani, la disoccupazione colpisce le donne (1 su 5 nella fascia 15-34 anni risulta occupata) e le classi di età centrali. Unico dato in controtendenza è l’aumento dell’occupazione straniera (+67% a fronte di +31,7% del Centro Nord).
Il primo trimestre 2015 offre segnali di ripresa, con 47 mila nuove assunzioni determinate dalle misure di decontribuzione fiscale del jobs act. Per contro, tuttavia, il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro nel Sud ha raggiunto il 39%.
Per la SVIMEZ il depauperamento di risorse imprenditoriali, finanziarie ed umane rischia di impedire al Sud di agganciare la ripresa, condannandolo ad un sottosviluppo permanente, tenuto conto anche dei riflessi negativi della caduta dei redditi e dell’occupazione sui consumi delle famiglie (- 13,2% dal 2008 al 2014), che sono invece in ripresa nel resto del Paese.
Del resto, a partire dal 2011 la percentuale di famiglie in povertà assoluta è cresciuta al Sud di 2,2 punti (il doppio del Centro-Nord), benché si valuti una moderata riduzione nel 2014. Il rischio-povertà, in base ai redditi rilevati da ISTAT nel 2013, interessa al Sud 1 persona su 3 (1 su 10 al Centro-Nord), coinvolgendo soprattutto Sicilia e Campania.
La lunghezza della congiuntura negativa, la riduzione delle risorse per infrastrutture pubbliche produttive e la caduta della domanda interna sono fattori che, rileva SVIMEZ, hanno contribuito a “desertificare” l’apparato economico delle Regioni del Mezzogiorno.
Al 2014, tuttavia, se il calo delle attività economiche resta ancora relativamente elevato in alcune Regioni (Puglia, Sardegna), esso si attenua sensibilmente in altre (Campania, Sicilia). Segnali incoraggianti provengono da Molise, Basilicata e soprattutto Calabria, la regione con il PIL pro-capite più basso del Sud.
Per invertire la rotta la SVIMEZ rivolge l’attenzione alle risorse attivabili nel ciclo di programmazione 2014-2020 dei Fondi Strutturali UE.
SVIMEZ auspica una politica industriale “attiva”, che affronti il deficit strutturale del Mezzogiorno favorendo l’adeguamento e la ristrutturazione del sistema produttivo (riqualificazione del modello di specializzazione produttiva), oltre che l’accrescimento delle sue dimensioni (sostegno ai processi di aggregazione delle imprese). Si ritengono necessarie misure attive e selettive volte a promuovere e integrare le filiere produttive, allo scopo di favorire il loro inserimento nelle global value chain.
SVIMEZ immagina una iniziativa a medio-lungo termine capace di rafforzare la ricerca, l’innovazione ed il trasferimento tecnologico, l’aumento dell’apertura verso l’estero ed il rilancio delle politiche di attrazione. Viene poi ricordata l’esigenza di migliorare le condizioni di accesso al credito e ai mercati di capitali.
La SVIMEZ promuove, inoltre, interventi UE compensativi del dumping fiscale subito dai Paesi che hanno aderito all’Unione nel 2004, in attesa della necessaria armonizzazione delle politiche fiscali nazionali.
Tra le misure preliminari possibili, SVIMEZ rileva la possibilità di creare (come già fatto da Polonia, Lettonia e Lituania) Zone Economiche Speciali, sfruttando le opportunità offerte dai porti di Gioia Tauro, Taranto e Catania, di modo da attrarre investitori e contribuire allo sviluppo della logistica avanzata, utile ad abbattere i costi di trasporto ed a realizzare una global value chain che internazionalizzi le imprese del Mezzogiorno.
Sul piano della lotta alla povertà, SVIMEZ incoraggia una riorganizzazione del welfare, magari adottando uno strumento specifico e universale di contrasto della povertà.
Sul piano delle reazioni governative, il Premier ha indicato alcune direttrici (ruolo della politica, investimento nel capitale umano, prime iniziative infrastrutturali) e promosso l’elaborazione di un masterplan ad opera del PD (al Governo in tutto il Sud) entro metà settembre (prima della Legge di Stabilità).
Ferve, intanto, un dibattito importante sul Sud: da interventi sulle realtà industriali e produttive ancora vive (Pirro), a quelli su ciò che si sta realizzando nell’economia dell’innovazione partecipata ( “Che Futuro!” #ilsudsiamonoi), fino a valutazioni sull’esigenza di investimenti su trasporti, intermodalità, aree urbane e politiche pubbliche ordinarie efficienti (Viesti).
Senza voler trarre conclusioni definitive, si può riprendere anche l’osservazione di chi (Smerilli) ricorda che la priorità per il Sud è trovare la propria strada, strutturando legami di fiducia e cooperazione.
La valorizzazione delle peculiari risorse di ciascun territorio, del resto, potrebbe essere la premessa per il rilancio dell’intero progetto comunitario.