Nicholas Boom analizza i gap di retribuzione nell’economia Usa e stabilisce come siano molto più alte nei settori digitali. In Italia il recente rapporto della OD&M Consulting dice qualcosa di diverso.
La crescita delle diseguaglianze
Tra le tante questioni lasciate aperte dalla recente crisi si possono ricordare, come sottolinea ad esempio Wolfgang Streek (Streeck, 2016), la diminuzione nei tassi di sviluppo dell’economia, l’aumento nei livelli di indebitamento pubblico e privato, delle crescenti diseguaglianze, correlate ad un rafforzamento non solo economico, ma anche politico, di ristrette oligarchie e più in generale, infine, una molto maggiore incertezza di prima sui destini stessi del sistema economico capitalistico.
Per la verità, per quanto riguarda in particolare l’aumento nei livelli di diseguaglianza di reddito e di patrimonio, che appare certamente uno degli sviluppi economici, sociali, politici più importanti degli ultimi decenni nel mondo, si tratta di una tendenza che si è andata manifestando già parecchio tempo prima dello scoppio della crisi ( anche se va parallelamente sottolineato che, invece, le differenze nei livelli del pil tra i paesi ricchi e quelli in via di sviluppo hanno ormai da alcuni decenni la tendenza a ridursi, qua e la anche in maniera significativa).
Quella della crescita nei livelli di diseguaglianza, per altro verso, appare una questione ormai ben nota all’opinione pubblica dei principali Paesi industrializzati e questo grazie, tra l’altro, a un rilevante lavoro di ricerca e divulgazione portato avanti in particolare negli ultimi anni da alcuni studiosi di vari paesi.
Le diseguaglianze tra i settori
Di recente è apparso evidente, all’interno di una tendenza generale all’aumento delle diseguaglianze tra le persone, che può essere attribuita a molte cause, il ruolo giocato comunque dalle differenze di remunerazione del personale, in particolare per quanto riguarda i dirigenti e i quadri, tra alcuni specifici e privilegiati settori dell’economia e gli altri, meno fortunati. Si è così individuato come quello dell’economia digitale e quello finanziario, insieme a qualcun altro minore, si siano andati distaccando progressivamente e fortemente da tutti gli altri.
Alcune analisi quantitative pubblicate nell’ultimo periodo ci aiutano a precisare meglio il fenomeno. Va in particolare sottolineata a questo proposito una ricerca recente di uno studioso statunitense, Nicholas Boom (Boom, 2017).
L’autore, dopo aver ricordato come esse siano nel tempo cresciute negli Stati Uniti come in Europa, indica appunto che la differenza sempre più rilevante riscontrabile nelle remunerazioni presenti nelle diverse imprese riesce a spiegare la maggior parte di tali scarti, indicando il settore dell’economia digitale, oltre a quello finanziario e a quello dei servizi di consulenza, come i principali colpevoli di tale situazione.
Nicholas Boom ricorda così come aziende come Apple o Google offrono delle paghe sempre più elevate, mentre la grande maggioranza delle imprese degli altri settori non hanno, o hanno molto meno, i mezzi per aumentarle ai ai loro occupati.
Egli ha così calcolato che, negli Stati Uniti, gli scarti nei salari medi tra il primo 1% delle imprese, quelle che pagano meglio (e tra queste è appunto preponderante la presenza di società operanti nei settori sopra citati) e il 50% di quelle che pagano di meno, è passato dal semplice al triplo dal 1981 ad oggi.
Considerando le cifre in dollari costanti, si riscontra in effetti che le imprese che pagavano meglio offrivano in media ai loro addetti nel 1981 50.000 dollari per anno, mentre quelle che pagavano meno ne offrivano solo 30.000. Oggi invece le prime offrono 75.000 dollari, mentre le seconde sono rimaste ferme in media a 30.000.
Le ragioni delle differenze
Di un certo interesse appaiono anche le spiegazioni che l’autore dà per il fenomeno; ne segnaliamo alcune.
La prima fa riferimento allo sviluppo nel mondo, negli ultimi decenni, dei processi di outsourcing. Come è noto, le imprese hanno così cominciato già da parecchio tempo a scaricarsi dalla gestione diretta delle attività meno qualificanti e meno ricche, quali le produzioni meno avanzate o periferiche, sino a compiti quali la tenuta della contabilità, la vigilanza e pulizia dei locali, le mense, i call center, i trasporti. Mentre tendono a concentrarsi sulle attività più nobili, quali l’ideazione e la progettazione delle attività e delle nuove produzioni sino al controllo complessivo del ciclo. Così le differenze di stipendio diventano molto elevate, anche a parità di qualifiche, di titoli di studio e di esperienze, tra le società ad alto livello di conoscenza e quelle dell’indotto.
Una ragione delle differenze cui Boom non fa riferimento e che appare opportuno invece segnalare riguarda il livello di concentrazione e di potere di mercato che le grandi imprese numeriche e della consulenza internazionale possiedono a un grado più elevato, e di frequente molto più elevato, rispetto ad altre realtà.
Questo problema si manifesta ad esempio anche quando, entrando progressivamente, grazie alla loro potenza finanziaria, in molti nuovi settori dell’economia, come si può constatare ormai quasi settimanalmente, le grandi imprese numeriche tendono a mettere in gravi difficoltà di mercato ed economiche quelle tradizionali.
Il fenomeno si può rilevare peraltro anche, all’interno dei settori privilegiati, tra le grandi e le piccole imprese che vi operano.
Così, nel campo digitale le grandi società oligopolistiche mettono spesso in difficoltà le piccole, le portano in giudizio ad ogni anche futile occasione, le relegano nei segmenti meno importanti del mercato, quando non le fanno chiudere o le assorbono.
Parallelamente, Boom mette peraltro l’accento anche sui differenti livelli di produttività presenti nei due campi, in relazione di nuovo ai diversi livelli di tecnologia impiegati nei due casi. Così le imprese che operano alla frontiera tecnologica hanno un livello di produttività migliore di diverse volte rispetto alle altre.
La situazione in Italia
Ci si può a questo punto chiedere se le tendenze riscontrate da Boom si registrino allo stesso modo anche in Italia. Ci aiuta a dare in qualche modo una risposta all’interrogativo ad esempio la venticinquesima edizione di un rapporto sulle retribuzioni nel nostro paese preparato da OD&M Consulting (OD&M Consulting, 2018).
La società ha analizzato le paghe annue di 1.500.000 occupati presenti nelle imprese italiane. Secondo il rapporto, limitando la nostra analisi alla categoria dei dirigenti, chi ha avuto le retribuzioni più elevate nel nostro Paese sono i soggetti che operano appunto nelle banche e nelle società finanziarie, ciò che appare in linea con i risultati delle ricerche di Boom. Ma di seguito nella lista vengono gli addetti che lavorano nell’abbigliamento e nella moda, nell’industria petrolifera, poi quelli delle industrie farmaceutiche, ma non i dirigenti dell’economia digitale o della consulenza.
Le differenze con i risultati della ricerca di Boom si possono probabilmente spiegare con la debole presenza nel nostro Paese di imprese operanti in tali ultimi settori.
Conclusioni
Sino ad oggi da molte parti, per spiegare le differenze di retribuzione presenti all’interno delle imprese, anche a parità di tipo di lavoro, si è molto posta l’attenzione, anche giustamente, sul ruolo del genere e della nazionalità, su quello nei livelli di istruzione e certamente tali fattori riescono a spiegare una parte, ma solo una parte, della realtà cui ci troviamo di fronte. La crescente forza che hanno nel tempo acquisito le attività finanziarie e più di recente, ancora di più, quelle digitali, all’interno del sistema economico, tendono a esercitare una presa più rilevante rispetto ai fattori sopra citati.
Il caso dell’Italia mostra peraltro che possono registrarsi comunque delle differenze rilevanti da Paese a Paese, che appaiono tra l’altro dovute alla diversa struttura delle varie economie.
Testi citati nell’articolo
Boom N., Corporations in the age of inequality, Harvard Business Review, n. 3, 2017
OD&M Consulting, 25° rapporto retribuzioni Italia, Milano, 2018
Streeck W., How will capitalism end ?, Verso, Londra, 2016