In quello che oggi può considerarsi come il fiore all’occhiello del sistema culturale piemontese, il numero di visitatori continua a salire mentre le condizioni di lavoro progressivamente peggiorano
Lavorare nei beni culturali in Italia, si sa, è complicato. Qualche anno fa con brutale chiarezza l’allora Ministro dell’Economia Tremonti ebbe a dichiarare che “con la cultura non si mangia”. La vicenda che coinvolge i lavoratori della Reggia di Venaria, ex residenza reale dei Savoia in Piemonte, è esemplificativa della precaria condizione di chi oggi lavora nel settore culturale.
Mentre il 29 dicembre dello scorso anno la dirigenza della residenza sabauda festeggiava il milionesimo visitatore del 2016, il sindacato USB – che organizza la maggior parte dei 95 lavoratori cui sono affidati i servizi esternalizzati della Reggia – proclamava il decimo sciopero di una vertenza cominciata nella scorsa primavera.
Dopo anni di abbandono e incuria, la Reggia ha riaperto nel 2007. Sin da allora si decise di esternalizzare i servizi di sorveglianza, assistenza, custodia, accoglienza, biglietteria, call center e attività didattiche essenziali per il funzionamento della struttura. Per il consorzio che gestisce la Venaria Reale (un ente partecipato dal Ministero dei beni culturali, dalla Regione, dal comune di Venaria e dall’onnipresente Compagnia di San Paolo), è un modo molto comodo per godere dei benefici dei servizi dei lavoratori in outsourcing senza avere l’onere della gestione delle loro questioni lavorative.
Per circa un centinaio di lavoratori e lavoratrici questo significa invece che ad ogni cambio di appalto, all’incirca ogni quatto anni, c’è il rischio concreto di rimanere a casa o di vedere ridotto il proprio stipendio. Una situazione che si è concretizzata nella primavera del 2016, quando è stato pubblicato il bando per il rinnovo dell’appalto dei servizi esternalizzati. I lavoratori in outsourcing avevano immediatamente segnalato il taglio delle ore messe in appalto, che significava quasi certamente una riduzione del loro orario di lavoro e quindi degli stipendi. Inoltre non veniva specificato il contratto di categoria che sarebbe stato applicato, il che sollevava il sospetto che ci fosse l’intenzione di sbarazzarsi del contratto Federculture, conquistato dopo una lunga lotta che finalmente aveva equiparato la situazione contrattuale fra lavoratori esternalizzati e quelli assunti direttamente dalla Reggia.
Tutte previsioni che si sono puntualmente verificate, nonostante i numerosi scioperi e il tentativo da parte dell’USB di bloccare il bando per vie legali. CoopCulture, cooperativa vincitrice dell’appalto che fattura oltre 43 milioni di euro e che opera anche in tanti altri beni culturali in Italia, applica ad oggi ai lavoratori il contratto multiservizi: minor paga oraria, nessun supplemento domenicale e abolizione dei buoni pasto. A questo si aggiunge una riduzione dell’orario fino al 20 per cento. Il risultato è un taglio del salario che, secondo quanto riportano i lavoratori esternalizzati, va dai 200 ai 400 euro. Una situazione insostenibile, il tutto mentre il numero di visitatori continua a salire e la Reggia è sempre più il fiore all’occhiello del sistema culturale piemontese.
Il 6 gennaio USB ha pertanto proclamato un nuovo sciopero. CoopCulture ha risposto precettando 23 lavoratori, grazie alla legge del Ministro alla Cultura Franceschini, che equipara i musei a servizi pubblici essenziali come gli ospedali o le scuole. Contrariamente a quanto avvenuto in precedenza, quando alcuni spazi espositivi erano rimasti chiusi, il Consorzio che gestisce la Venaria Reale non aveva però annunciato nessuna chiusura. Il perché si è capito nella mattinata dell’Epifania, quando gli scioperanti si sono accorti della presenza di lavoratori esterni, che CoopCulture ha assunto con un contratto giornaliero e che hanno garantito l’apertura dell’intero complesso, di fatto neutralizzando lo sciopero.
Il sindacato ha immediatamente denunciato ai carabinieri quello che considera un evidente comportamento antisindacale, presentando anche un esposto alla Commissione di Garanzia e all’Ispettorato del Lavoro. CoopCulture si è difesa sostenendo che non si sia trattato di un’illegale sostituzione di personale in sciopero, ma “di un potenziamento già previsto e concordato con il Consorzio per i fine settimana e i ponti di maggior richiamo turistico”. Una posizione poi ribadita in un comunicato stampa del 17 gennaio. Nell’attesa che gli organi competenti facciano chiarezza, rimane una contraddizione evidente: perché tagliare le ore a chi lavora nella Reggia da anni, per poi assumere lavoratori con contratti a giornata per coprire i buchi di organico? Se davvero si pensa che i musei e i beni culturali siano servizi pubblici essenziali come gli ospedali, non si dovrebbe allora porsi l’obbiettivo che essi forniscano condizioni di lavoro giuste e dignitose per chi vi lavora? Sono domande per cui urge una risposta, anche e soprattutto da parte di chi sogna il turismo come volano per l’economia regionale e non solo.