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Quando la salute diventa un mercato

La crescita della sanità privata in Italia è guidata da poche grandi aziende, fondazioni, assicurazioni. Per fermare la deriva, aggravata dalla legge sull’autonomia differenziata, occorre ripartire dalla visione della salute come diritto universale e costruire alleanze sociali per cambiare le politiche degli ultimi decenni.

Di fronte alla crisi della sanità pubblica, uno dei nodi politici di fondo da affrontare riguarda la forte espansione della sanità privata e il ruolo che essa va assumendo nel paese. Una fotografia delle dinamiche attuali è offerta dal Rapporto dell’Area Studi di Mediobanca del giugno 2024 “La sanità e i suoi maggiori operatori privati in Italia”, che utilizza varie fonti di dati, compresi i bilanci delle imprese del settore.

Le dimensioni complessive delle attività private sono ormai rilevanti. Nel 2022 le strutture private – accreditate e finanziate dal Servizio sanitario nazionale – sono il 49% del totale nel caso dell’assistenza ospedaliera, salgono al 59% per l’assistenza specialistica ambulatoriale, al 72% per l’assistenza territoriale semiresidenziale (rivolta soprattutto agli anziani con patologie), al 78% per quella riabilitativa e all’85% per quella territoriale residenziale. In tutti questi settori – tranne che per gli ospedali – l’espansione rispetto al 2010 è stata molto rapida, specie nell’ambito dell’assistenza territoriale e semiresidenziale. Un dato, quest’ultimo, molto significativo considerando che l’Italia ha una popolazione tra le più anziane dell’Europa e non solo (seconda solo al Giappone).

L’unico ambito in cui resta forte la presenza delle strutture pubbliche è l’assistenza territoriale di altro tipo, ossia quanto erogato dai centri di salute mentale, dai consultori, dai centri distrettuali, dai centri dialisi di assistenza limitata, dagli stabilimenti idrotermali.

In termini di spesa, si è registrato un calo del finanziamento della spesa sanitaria pubblica: essa è scesa dal 6,8% del PIL nel 2022 al 6,3% del 2023, con proiezioni al 6,4% nel 2024, al 6,3% nel 2025-26, al 6,2% nel 2027 in base al DEF 2024 del governo di Giorgia Meloni. Allo stesso tempo, sale la spesa pubblica per attività private accreditate: nel 2023 si è arrivati a 28,1 mld (+1,7% sul 2022), per la possibilità offerta alle Regioni di avvalersi degli operatori privati per lo smaltimento delle lunghe liste di attesa. È aumentato inoltre il pagamento diretto da parte dei cittadini per prestazioni e servizi privati (out of pocket), così come la quota dei contributi versati a fondi sanitari, mutue, welfare aziendale e assicurazioni private. La spesa out of pocket dei cittadini – secondo i dati OCSE – si attesta nel 2022 al 22% della spesa sanitaria complessiva ed è superiore alla media OCSE, pari al 18%. 

La stima di Mediobanca è che il giro d’affari complessivo della sanità privata in Italia raggiunga i 70 miliardi, tra erogazioni pubbliche per servizi in accreditamento – ancora la quota dominante – e spesa diretta dei cittadini; nel complesso si stima che tale volume rappresenti circa il 40% della spesa nazionale complessiva.

Nel 2022 la spesa privata dei cittadini è stata diretta soprattutto verso l’assistenza ambulatoriale per cura e riabilitazione (il 37%), l’acquisto di prodotti farmaceutici e altri presidi medici non durevoli (29,9%), l’assistenza sanitaria residenziale e ospedaliera di lunga durata (10,7%), l’acquisto di apparecchi terapeutici e altri presidi medici durevoli (10,4%). 

Una questione di grande rilievo è il ruolo delle assicurazioni sanitarie che nel 2023 hanno intermediato attività per circa 5,2 miliardi (+5,5% medio annuo). Si tratta di sviluppi che riguardano soprattutto alcuni settori professionali, con una concentrazione degli assicurati nel Nord del paese e nei livelli di reddito più elevati, ma con una rapida espansione. Le spese sanitarie intermediate da polizze sanitarie volontarie e fondi integrativi sono salite da 82 euro pro-capite nel 2018 a 97 nel 2021, e a 105 euro nel 2022. L’Italia resta ancora sotto la media europea, in quanto alcuni paesi hanno sistemi con un ruolo maggiore dei soggetti privati, ma l’aumento è assai rilevante.

Le compagnie assicurative stanno facendo forti investimenti nella sanità privata, con l’obiettivo di offrire un sistema integrato di copertura assicurativa – spesso a partire dagli accordi per il welfare aziendale – e di fornitura di servizi. Ad esempio, Unipol ha acquisito nel dicembre 2022 Società e Salute, titolare del Centro Medico Santagostino (50 milioni di ricavi nel 2022), mentre Generali Italia ha stipulato un accordo con il Gruppo San Donato per la realizzazione di una rete di strutture sanitarie Smart Clinic in tutto il Paese. In molti ambiti si profila così l’emergere di un vero e proprio sistema privato, alternativo al Servizio sanitario pubblico. A sua volta, il welfare aziendale è cresciuto nel corso del tempo, sulla base delle politiche di ampi sgravi fiscali per le imprese che offrono coperture sanitarie.

Quali sono i protagonisti di queste attività private? C’è una forte concentrazione in pochi grandi gruppi, poco noti al grande pubblico: Papiniano-Gruppo San Donato (1,7 miliardi di ricavi nel 2022, 11 mila dipendenti), Humanitas (1,1 miliardo di ricavi, 5 mila dipendenti), Gruppo Villa Maria (840 milioni di ricavi, 5 mila dipendenti), Kos (700 milioni di ricavi, 11 mila dipendenti, facente capo alla Cir di Carlo De Benedetti), Segesta (600 milioni di ricavi, 5 mila dipendenti, del gruppo francese Clariane), Synlab (400 milioni di ricavi, 2 mila dipendenti). 

Di rilievo sono poi le Fondazioni Policlinico Università A. Gemelli (800 milioni di ricavi, 6 mila dipendenti), l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (400 milioni di ricavi, 3 mila dipendenti, appartenente alla Santa Sede), la Fondazione Don Gnocchi (300 milioni di ricavi, 4 mila dipendenti), che sono enti non profit. 

Le imprese maggiori vanno assumendo una forte caratterizzazione finanziaria e operano sempre più a scala internazionale: varie società rappresentano filiali italiane di multinazionali straniere della sanità, mentre alcune aziende italiane hanno effettuato acquisizioni all’estero.

Papiniano e Humanitas rappresentano i primi due operatori privati italiani e hanno attività concentrate soprattutto in Lombardia, oltre che in Emilia-Romagna (nel caso di Papiniano), e in Piemonte e Sicilia (nel caso di Humanitas). Papiniano ha di recente acquisito due aziende in Polonia (American Heart of Poland e Scanmed) e ha realizzato contratti di gestione di realtà sanitarie in Arabia Saudita, Iraq ed Egitto. Un’ampia distribuzione territoriale è registrata dal Gruppo Villa Maria, Garofalo Health Care e da protagonisti della long term care come Kos, Sereni Orizzonti e la Don Gnocchi, tutti presenti in una decina di Regioni del paese.

Se questa è la fotografia, quali possono essere le risposte a una tale espansione della sanità privata in Italia?

Occorre innanzi tutto riaffermare una visione della salute come diritto sociale e di libertà per tutti. La sanità non può essere una merce che possono comprare sul mercato soltanto coloro che hanno una capacità di spesa e alti redditi. E non si tratta di un tema “di settore” da lasciare agli addetti ai lavori, ma è un tema politico, al centro di visioni contrapposte sulla società, sui diritti, sui modelli culturali e istituzionali, sul ruolo dell’azione pubblica e del mercato. Occorre una visione sistemica del modello di cura e sanità pubblica, volta a rimettere la salute al centro del cambiamento sociale, politico e culturale. La salute ha rappresentato in alcune stagioni storiche un terreno di conflitto in cui le esigenze sociali e le mobilitazioni hanno portato a sperimentare nuove soluzioni e servizi collettivi di welfare. Ambito costitutivo della vita umana, la salute resta un terreno fondamentale per offrire risposte alle istanze di uguaglianza e di libertà. Tale prospettiva mette al centro il benessere delle persone, la qualità della vita, l’esigibilità dei diritti, il soddisfacimento di bisogni individuali e collettivi, i risultati di salute, una logica di produzione della salute e non di mera erogazione delle prestazioni.

Ripartendo da qui si potrebbe rovesciare il lungo processo di ridimensionamento del servizio pubblico, da un lato contrastando il dirottamento delle risorse pubbliche verso la sanità privata; dall’altro arrestando l’estensione delle modalità operative del privato anche nelle strutture pubbliche, dove si è introdotto, in nome dell’efficienza, un paradigma aziendale guidato da approcci “prestazionali”, con cittadini ridotti a semplici consumatori di servizi.

L’approvazione della autonomia regionale differenziata (L. n. 86/2024) complica drammaticamente questo quadro. Con la frammentazione istituzionale che seguirà, si aggraveranno le disuguaglianze sociali, territoriali e di genere, oltre a compromettere gravemente le istanze solidaristiche. 

In questo contesto, segnato dall’arretramento della politica e dall’affermazione del mercato, le sfide sono moltissime ed è fondamentale una ripresa delle mobilitazioni e dei conflitti sulle questioni della salute. 

Negli ultimi tempi sono emerse diverse iniziative volte a riportare la salute al centro della politica, ma per superare le attuali difficoltà si rende ancor più necessaria una rete e una convergenza tra soggettività diverse: l’azione del personale sanitario, le iniziative dei cittadini e delle associazioni, il ruolo del sindacato. Mettere in sinergia differenti e plurali esperienze, realizzare momenti di riflessione e ricerca comune, qualificare la discussione scientifica e politica, produrre narrazioni e proposte alternative a quelle dominanti consentirebbe di rafforzare la partecipazione collettiva su tale questione di vitale importanza. 

A partire da una visione alternativa della salute e dai problemi concreti che investono il sistema sanitario, costruire mobilitazioni e conflitti può contribuire a rilanciare e riqualificare quello che è – e dovrebbe rimanere – uno dei maggiori capisaldi di universalismo e uguaglianza del paese: il servizio sanitario pubblico, nel quadro di politiche di welfare all’altezza delle antiche e nuove esigenze di giustizia sociale. Viceversa, la rinuncia al ruolo centrale del servizio sanitario pubblico avrebbe conseguenze irreversibili sul piano delle condizioni sanitarie dei cittadini e dell’aggravamento delle diseguaglianze di salute.