In due anni di pandemia ci sono state nel mondo, secondo l’OMS, 15 milioni di morti aggiuntive. L’accesso ai vaccini per il Sud del pianeta resta un nodo irrisolto, un tema affrontato nell’incontro alla Scuola Nomale Superiore “Brevetti e vaccini al tempo della pandemia” con Nicoletta Dentico.
Siamo entrati da pochi mesi nel terzo anno della pandemia di Covid-19 e nel periodo compreso tra gennaio 2020 e dicembre 2021 secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sull’eccesso di mortalità rispetto al passato, il numero di vittime legate direttamente o indirettamente alla pandemia è più del doppio di quello ufficialmente dichiarato, toccando quasi i 15 milioni nel mondo. I contagiati confermati a livello globale calano rispetto ai mesi scorsi ma restano più numerosi di un anno fa. Nuove varianti del virus si diffondono, acuendone la trasmissibilità e preannunciando la prossima ondata.
La pandemia continua a colpire in maniera profondamente asimmetrica. Le aree con il numero maggiore di vittime sono l’Asia del Sud, il Nord Africa e Medio Oriente e l’Europa Orientale; un’analisi dettagliata è stata fornita da Vittorio Valli nel suo articolo “Vaccini contro varianti. La pandemia è ancora con noi” su Sbilanciamoci.info del 5 aprile scorso.
Secondo uno studio che mette in relazione la mortalità in eccesso legata alla pandemia e i livelli di reddito pro-capite, i paesi a basso e medio reddito risultano di gran lunga i più colpiti, mentre livelli ridotti di copertura vaccinale della popolazione sono generalmente associati a tassi più alti di mortalità in eccesso. In altre parole, la disuguaglianza, anche nell’accesso ai vaccini, coincide con una distribuzione diseguale delle vittime da Covid-19.
La differenza nella somministrazione dei vaccini anti-Covid-19 nel mondo rimane profonda. All’inizio di maggio 2022, nei paesi ad alto reddito erano state somministrate 200 dosi di vaccino ogni 100 abitanti (booster inclusi) mentre nei paesi a reddito basso il numero era fermo a poco più di 20.
Questi temi, e le sfide politiche che emergono sulla salute globale, sono stati affrontati nell’incontro online della Scuola Normale Superiore “Brevetti e vaccini di fronte alla pandemia” con Nicoletta Dentico della Society for International Development e Mario Pianta della SNS, tenuto il 9 maggio scorso e disponibile qui.
Covax, proprietà intellettuale, ‘apartheid vaccinale’
L’ “apartheid dei vaccini” – secondo l’eloquente formula del presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa – sembra destinata a durare. Le dichiarazioni di intenti della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che definivano i vaccini un ‘bene pubblico globale’ sono ormai lontane, e le iniziative dell’OMS per condividere conoscenze e tecnologie per trattamenti, kit diagnostici, e medicine contro il Covid-19 sono naufragate con il rifiuto delle case farmaceutiche.
Ingenti fondi pubblici hanno finanziato lo sviluppo in tempi record di vaccini sicuri. Contratti di acquisto preventivo sono stati siglati con le case farmaceutiche che lavoravano a sviluppare i vaccini ancora prima che questi avessero concluso i necessari test clinici per le autorizzazioni alla somministrazione con l’intento di incentivare i capitali privati ad investire nella ricerca. Si tratta di strategie di de-risking con i quali gli attori pubblici assumono il rischio di impresa per convincere capitali privati ad investire in ricerche dagli esiti incerti.
I vaccini prodotti sono però ora proprietà delle imprese farmaceutiche che ne hanno brevettato processi e prodotti. Lo sforzo collettivo di produzione della conoscenza necessaria a uscire dalla pandemia si è trasformato nel diritto di proprietà di poche grandi imprese farmaceutiche. L’acquisto e la somministrazione dei vaccini è diventata materia di negoziazione tra governi e poche imprese in regime di oligopolio. Prezzi d’acquisto, localizzazione della ricerca e produzione e quantità prodotte sono rimaste anch’esse competenza esclusiva di imprese che decidono a chi e come vendere, dove e quanto produrre.
L’iniziativa principale della comunità internazionale e dell’OMS per garantire un accesso equo ai vaccini, indipendentemente dalla capacità di acquisto dei singoli paesi, è stata la creazione di COVAX, una piattaforma di acquisto globale co-diretto assieme alle partnership pubblico-private GAVI, the Vaccine Alliance e CEPI, The Coalition for Epidemic Preparedness Innovations. COVAX è stata creata per fornire una centrale di acquisto globale centralizzata dove paesi ricchi e poveri potessero indirizzare i propri fondi per acquistare i vaccini. La piattaforma avrebbe dovuto assicurare una distribuzione solidale ed equa dei vaccini acquistati, dando priorità al personale sanitario e ai soggetti a rischio in tutto il mondo, e avrebbe dovuto evitare che i produttori di vaccini usassero accordi commerciali con i singoli stati per alzare i prezzi di vendita mettendo gli stati in competizione tra loro. Da centrale di acquisto solidale, però, COVAX, è diventata poco più che un meccanismo attraverso il quale i paesi ricchi fanno donazioni affinché i paesi poveri possano acquistare le loro dosi, o donano direttamente le dosi che hanno acquistato in eccesso. Gli obiettivi che COVAX si era prefissato di consegnare due milioni di dosi nel mondo entro la fine del 2021, non sono stati raggiunti. Le consegne a fine anno erano poco meno della metà. Una delle ragioni principali di questo fallimento è la decisione dei paesi ricchi di aggirare COVAX e stringere patti bilaterali di acquisto direttamente con le imprese farmaceutiche lasciando i paesi poveri in coda nella fila per gli acquisti. Tuttavia, per numerosi osservatori COVAX era destinato al fallimento sin dall’inizio, ingabbiato tra fiducia nel mercato, produzione oligopolistica, e nazionalismo vaccinale.
È per questo che già nell’ottobre 2020 India e Sudafrica proponevano all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) una moratoria dei diritti di proprietà intellettuale (non solo brevetti, ma anche know-how, dati clinici e segreti industriali) per permettere a tutte le imprese capaci di produrre vaccini e medicine e test di farlo da sé decentralizzando e aumentando l’offerta globale in tempi rapidi.
Alla proposta di moratoria, che di fatto chiede la sospensione temporanea dell’applicazione dell’Accordo TRIPS (Trade related aspects of intellectual property rights) si sono uniti un centinaio di stati membri dell’OMC, centinaia di ONG, movimenti sociali, organizzazioni no-profit, sindacati, partiti politici, parlamenti nazionali (perfino il Parlamento europeo), e molte personalità di spicco nel mondo della scienza e della cultura. Nell’Unione Europea, movimenti, organizzazioni e personalità hanno dato vita ad una Iniziativa di legge dei cittadini europei a cui si può ancora aderire che chiede alla Commissione di ridiscutere la regolamentazione delle proprietà intellettuali che riguardano la ricerca e la produzione di dispositivi e tecnologie medicali salvavita per la pandemia di Covid-19.
Lo stesso accordo TRIPS prevede già la possibilità di derogare ai diritti di proprietà per motivi di salute pubblica attraverso l’istituto di licenze obbligatorie che permettano ad attori pubblici o privati di produrre i dispositivi medicali necessari, anche violando i brevetti delle case farmaceutiche e garantendo loro una royalty adeguata. Le licenze obbligatorie prevedono però un lungo processo burocratico e di negoziazione con i proprietari dei brevetti. La moratoria ha lo scopo di permettere alle imprese che ne sono in grado di iniziare subito a produrre vaccini, medicine e dispositivi diagnostici per combattere il covid, senza intraprendere lunghe trattative e rischiare costose cause legali.
Su questa proposta si è aperto un conflitto di grande rilievo. Le principali case farmaceutiche si sono opposte duramente alla prospettiva di una moratoria. Per essere approvata, la proposta dev’essere accettata dall’unanimità dai paesi membri dell’OMC; nonostante l’ampio appoggio dei governi del Sud del mondo, Unione Europea, Svizzera e Regno Unito e pochi altri si sono subito opposti. Secondo l’Unione Europea la moratoria non velocizzerebbe la produzione di vaccini dal momento che nel mondo solo poche imprese sarebbero capaci di produrre dispositivi così complessi senza un lungo periodo di formazione guidato dalle imprese in possesso degli stessi brevetti. Inoltre per l’Unione Europea le flessibilità previste all’interno dell’accordo TRIPS permettono già ai governi di ricorrere alle licenze obbligatorie. In sostanza, la posizione dell’Unione è allineata a quella delle grandi imprese.
In realtà le licenze obbligatorie non rispondono all’esigenza di produrre il prima possibile ovunque sia possibile farlo e l’idea che solo le imprese che hanno brevettato le tecnologie necessarie a produrre i vaccini siano davvero capaci di produrli è stata smentita dai fatti. Uno studio di Medici Senza Frontiere dimostrava già a dicembre 2021 che più di 100 aziende sarebbero state capaci di produrre in tempi brevi i vaccini ad mRNA se le barriere legali dei brevetti fossero venute meno. Inoltre, all’inizio di quest’anno l’impresa sudafricana Afrigen, sostenuta da un progetto dell’OMS, è riuscita in tempi brevi a riprodurre il vaccino Moderna senza alcuna cooperazione della stessa.
A maggio 2021 anche gli Stati Uniti hanno annunciato formalmente di appoggiare una moratoria degli accordi TRIPS sui soli vaccini (e non su medicine e kit diagnostici). Nonostante gli annunci però, secondo gli attivisti, l’amministrazione del presidente americano Joe Biden non ha fatto leva sul suo peso all’OMC per smuovere le trattative. L’Unione Europea, d’altro canto, ha continuato ad opporsi alla moratoria, sostenendo che la via più rapida per ampliare la produzione resterebbe affidarsi alle imprese farmaceutiche e al mercato.
Le negoziazioni sulla proposta di moratoria avrebbero dovuto tenersi a Ginevra alla conferenza interministeriale dell’OMC nel novembre 2021. L’incontro è stato però rimandato a giugno 2022 perché, proprio nei giorni precedenti, la variante Omicron riportava il mondo, anche quello ricco e vaccinato, nel pieno di una nuova ondata pandemica. Le trattative informali sono però continuate lo stesso. In particolare, il cosiddetto gruppo Quad composto dalle delegazioni di India, Sudafrica, Stati Uniti e Unione Europea ha portato avanti le trattative. L’Unione Europea, pur mantenendo la stessa posizione contraria alla moratoria, ha moltiplicato le iniziative di supporto al continente africano a sostegno delle istituzioni di controllo e regolazione dei prodotti medicali, o con iniziative di trasferimento di tecnologie produttive e supporto alla crescita delle capacità manifatturiere locali.
Le imprese farmaceutiche intanto, già all’inizio del 2022 comunicavano di aver raggiunto una capacità produttiva globale di vaccini superiore alla domanda. Secondo loro la persistente asimmetria nella copertura vaccinale globale è il risultato del sottofinanziamento di COVAX, del nazionalismo vaccinale che ha portato alcuni paesi ad acquistare più dosi del proprio fabbisogno, dello scetticismo di alcuni segmenti della popolazione verso i vaccini, e dell’incapacità di alcuni sistemi sanitari nazionali di realizzare campagne di somministrazioni capillari. Le imprese, tuttavia, dimenticano che sono loro stesse i principali beneficiari della situazione attuale: i produttori di vaccini hanno visto profitti e dividendi crescere a ritmi mai visti prima. Durante la pandemia i profitti fatti sui vaccini hanno creato nove nuovi miliardari, i cui patrimoni da soli sarebbero sufficienti a vaccinare tutti i paesi in via di sviluppo.
Il compromesso Quad: una finta moratoria?
In questo contesto di trattative informali e di stallo politico all’OMC, nel marzo scorso la testata online Politico ha pubblicato una bozza di ‘compromesso’ che secondo le prime indiscrezioni i membri del gruppo Quad avrebbero sottoscritto. Si scoprirà dopo che si trattava di un testo di base per discussioni a venire. Il compromesso viene presentato ugualmente come una bozza di moratoria, nonostante si tratti piuttosto di una lista di specificazioni che dovrebbero chiarire come gli Stati possono ricorrere alle licenze obbligatorie. Le aziende farmaceutiche hanno subito respinto con forza il testo, ma anche i movimenti a favore della moratoria proposta da India e Sudafrica si sono opposti. ONG, movimenti sociali, e personalità di spicco hanno criticato il testo, chiedendo ad India e Sudafrica di respingerlo e continuare a sostenere la loro proposta iniziale. I problemi principali del testo trapelato sono quelli di non facilitare le licenze obbligatorie già previste nell’accordo TRIPS, ma piuttosto di aumentarne i requisiti e gli adempimenti, di essere ristretto ai soli vaccini e ai soli brevetti, lasciando fuori altre forme di protezione intellettuale e medicinali e kit diagnostici, e di limitare l’uso dello strumento giuridico solo ad alcuni paesi.
Né gli Stati Uniti, né India e Sudafrica hanno ufficialmente appoggiato la bozza. Ngozi Okonjo-Iweala, la direttrice generale dell’OMC, ha tuttavia descritto il testo come un primo passo fondamentale verso una discussione più ampia da sottoporre agli altri membri dell’Organizzazione. Nonostante la contrarietà di imprese, movimenti e parti negoziali, infatti, una versione solo leggermente modificata rispetto al documento è stata ufficialmente presentato dalla direttrice Ngozi come base per le future negoziazioni nelle sedi formali e allargate dell’OMC. Se da un lato l’incapacità di produrre risultati tangibili sulla produzione e distribuzione dei vaccini mina la già precaria legittimità dell’Organizzazione proprio quando le tensioni dovute alla guerra in Ucraina rendono ancora più difficile le negoziazioni, dall’altro l’impasse sulla moratoria rischia di bloccare anche altri negoziati in programma a Ginevra su pesca e agricoltura. I movimenti sociali e gli Stati a favore della moratoria dovranno quindi lavorare a migliorare il testo o provare a convincere un numero considerevole di membri a rifiutarlo per ripartire dalla proposta iniziale di moratoria.
Oltre l’OMC: condivisione della conoscenza e conflitti
A pochi giorni di distanza dagli eventi dell’OMC, il secondo Summit Globale sul Covid-19, organizzato congiuntamente da Stati Uniti, Belize, Germania, Indonesia e Senegal si è chiuso raccogliendo impegni di donazioni da parte della comunità globale pari a circa 3 miliardi di dollari da investire nella lotta alla pandemia. Il presidente Biden ha poi annunciato che la Casa Bianca userà la piattaforma dell’OMS, il Medicine Patent Pool, per condividere con licenze aperte e non esclusive, le tecnologie sviluppate dall’ente pubblico di ricerca statunitense National Institutes of Health, cruciali allo sviluppo di vaccini, kit diagnostici, e medicinali contro il Covid-19.
Negli ultimi mesi, la produzione globale di vaccini continua ad eccedere la domanda, tant’è che le imprese produttrici hanno dovuto rivedere le loro stime di vendita. La questione dei monopoli resta tuttavia cruciale. Per le imprese farmaceutiche la strategia più razionale è quella di continuare a vendere vaccini, possibilmente di nuova generazione sempre più efficaci contro le varianti che si svilupperanno nei prossimi mesi.
Questo scenario però resta pericoloso per due motivi. Il primo è che non si può escludere che nuove varianti più letali emergano. Il secondo è che se non si eliminano le condizioni strutturali che hanno finora portato all’ ‘apartheid vaccinale’, questa divaricazione continuerà a riprodursi anche quando nuovi vaccini e nuove medicine verranno sviluppate nei prossimi mesi.
La pandemia di Covid-19 mostra che affidarsi a imprese e mercati per affrontare i problemi della salute globale aumenta ingiustizie, disparità e perdite di vite umane. Si prospetta un futuro sempre più disuguale e insostenibile. La pandemia non è finita, e il conflitto su come possiamo uscirne, con politiche che riaffermino il diritto alla salute di tutti gli abitanti del pianeta, resta ancora aperto.
La registrazione dell’incontro online della Scuola Normale Superiore “Brevetti e vaccini di fronte alla pandemia” con Nicoletta Dentico della Society for International Development e Mario Pianta della SNS, tenuto il 9 maggio scorso è disponibile qui.