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L’ideologia bellica e la sindrome dello struzzo

Tavola rotonda tra pacifisti e esperti di relazioni internazionali attorno al nuovo libro di Francesco Strazzari “Frontiera Ucraina”, per tentare di scardinare il meccanismo propagandistico della guerra e riannodare un pensiero critico sulla geopolitica e il riarmo “necessario”.

“All’avvicinarsi del pericolo, due voci parlano sempre ugualmente alto nell’anima dell’uomo: l’una dice molto ragionevolmente di riflettere sulla qualità stessa del pericolo e sul mezzo di evitarlo. L’altra dice, ancor più ragionevolmente, che è troppo penoso, troppo tormentoso pensare ai pericoli, quando prevenirli tutti e scansarli non è in potere dell’uomo, di modo che val meglio distogliersi dalle cose penose sino a che non giungano e pensare alle cose piacevoli”. Questo dice Lev Tolstoj in Guerra e Pace a proposito della vita dei moscoviti all’avanzare delle truppe di Napoleone Bonaparte. E nessuna frase potrebbe descrivere meglio l’atteggiamento prevalente della popolazione italiane e europea di fronte ai pericoli oggi incombenti, a cominciare dalla guerra russo-ucraina con i suoi rischi di escalation anche nucleare. 

Quel sentimento di fondo che Tolstoj descrive nei moscoviti ha iniziato a cambiare sabato 5 novembre a Roma, con le 100 mila persone della manifestazione di Europe for Peace. E’ entrato in scena un soggetto collettivo, si è aperta una riflessione sulla qualità del pericolo che abbiamo di fronte e sul mezzo per evitarlo, collettivamente. 

Un passo importante in questa riflessione è venuto lunedì 7, a quarantotto ore dalla manifestazione, con la discussione promossa da Fondazione Basso e Sbilanciamoci – uno dei protagonisti della piattaforma Europe for Peace – intorno al libro, appena uscito per il Mulino, “Frontiera Ucraina” di Francesco Strazzari, professore di Relazioni Internazionali alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (qui un estratto per Sbilanciamoci). Alla tavola rotonda hanno partecipato, oltre all’autore, Franco Ippolito, presidente della Fondazione Basso, Mario Giro, già viceministro degli Esteri nei governi Renzi e Gentiloni e professore di Relazioni internazionali all’Università per stranieri di Perugia oltre che amministratore del laboratorio di italianistica Dante Lab, il portavoce di Sbilanciamoci Giulio Marcon, la pacifista e già parlamentare europea Luciana Castellina e la ricercatrice italo-georgiana Nona Mikhelidze del think tank Istituto Affari Internazionali. 

Il dibattito ha offerto due ore di documentazione e di confronto di grande interesse, ed è disponibile in video nella sua versione integrale dal sito della fondazione Basso nella sezione pubblicazioni (qui il link). 

Per Franco Ippolito “Il libro di Strazzari è un contributo importante alla comprensione delle origini, del senso e delle implicazioni anche teoriche e ideologiche del conflitto che ha ora varcato la soglia dei nove mesi”. Oltre che costruire un approccio critico alle dinamiche del conflitto, è necessario oggi – sostiene Ippolito – trovare una via d’uscita. E ha ricordato il primo intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Consiglio d’Europa – dimenticato dai media – che ipotizzava una conferenza internazionale sul modello di quella di Helsinki che negli anni Settanta rilanciò la sicurezza e la cooperazione internazionale, e fu sottoscritto da 35 paesi. 

Mario Giro ha ricordato le parole d Papa Francesco sull’impossibilità oggi, per l’umanità, di utilizzare lo strumento della guerra per risolvere le controversie tra Stati e ha rimarcato come “dall’analisi degli ultimi trent’anni si può vedere che la guerra non funziona più neanche in termini di vittoria”. Gli Stati Uniti hanno perso in Vietnam e in Afghanistan e neanche gli israeliani riescono a spuntarla a Gaza. Siamo di fronte ad una crisi della globalizzazione, “come fu per la prima globalizzazione ai tempi della Belle Epoque”, ha detto Giro, con la differenza che adesso negli interstizi delle ex sfere di influenza avanza il ruolo delle medie potenze, come la Turchia, l’Iran, Israele, l’Arabia Saudia e gli Emirati. “Non credo – ha aggiunto Giro – che lo scontro sia tra democrazia e autoritarismo, da parte degli Usa il tema è quello dell’egemonia geostrategica” in cui i rapporti con la Cina hanno un ruolo chiave. Proprio la Cina è stata colpita dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni occidentali con il blocco del grande progetto della Via della Seta e delle linee di comunicazione che prevedeva.

In Europa – ha continuato Giro – il nodo di fondo riguarda la Germania, che basava la sua crescita sull’alleanza energetica con la Russia e sull’alleanza commerciale con la Cina. Il cancelliere Scholz, di fronte alla guerra voluta da Putin, sembra disposto a rinunciare alla Russia ma non al rapporto con la Cina, come dimostra il suo recente viaggio a Pechino. E l’Italia, in quando subfornitrice dell’economia tedesca, è destinata a essere legata alla strategia di Berlino.

Giulio Marcon ha sottolineato la mutazione della natura dell’Alleanza Atlantica e gli errori della Nato nell’alimentare i nazionalismi nei paesi dell’Est Europa dopo la caduta del muro di Berlino. Ha fatto notare che nel volume di Strazzari manca un’analisi degli accordi di Minsk che dovevano evitare il conflitto militare in Ucraina e auspicato proposte per il cessate il fuoco e un esito negoziale della guerra. Ha ricordato i dati del Sipri sulla corsa al riarmo, i 2.100 miliardi di dollari di spesa militare mondiale e i 50 miliardi di aumento nell’ultimo anno, dieci volte quanto è stato stanziato per CoVax, il paracadute vaccinale sul covid per i paesi in via di sviluppo. L’Italia, ha insistito Marcon, continua a alimentare la crescita della spesa militare e dell’export di armi: quando Renzi e Calenda erano presidente del Consiglio e ministro dello sviluppo economico, nel 2016, l’Italia ha venduto 94 blindati Lince a Putin: “e poi accusano noi pacifisti di essere ipocriti”.

Nona Mikhelidze ha sottolineato il ruolo della società civile ucraina, che si è espressa “nella resistenza e nella resilienza di fronte ai bombardamenti” e le trasformazioni in corso nella costruzione dell’identità ucraina, che accompagnano la sua incerta democrazia. Ha segnalato che nel volume di Strazzari “manca una analisi di cosa sia successo a Maidan” la protesta del 2014 a Kiev quando l’allora presidente Yanukovich rifiutò di firmare gli accordi di associazione con l’Unione europea, “un fenomeno collegato più all’aspirazione europea che all’avanzata del nazionalismo”. Per Mikhelidze il problema principale è la possibilità che la Russia di Putin, fermata in Ucraina, indebolita nel Caucaso e nei rapporti con le ex repubbliche sovietiche, possa “implodere”, con scontri tra fazioni del regime e un collasso politico interno; su questo un avvertimento inquietante è l’apertura di una sede del gruppo mercenario russo Wagner a San Pietroburgo. 

Luciana Castellina ha sottolineato come in nove mesi di guerra non ci sia stata una vera iniziativa comune europea per fermare l’escalation. L’unico accordo limitato tra le parti è stato quelle esportazioni di grano mediato da Erdogan. Ha denunciato la follia del rischio nucleare, l’irresponsabile disinvoltura con cui politici e media parlano di uso di armi nucleari “tattiche” in Europa e ha sollecitato il movimento pacifista a tornare a chiedere con forza la sottoscrizione da parte dell’Italia del trattato contro le armi nucleari siglato in sede Onu. “Dobbiamo abbandonare la cultura ottocentesca delle armi come strumento per risolvere i conflitti”. E in questo senso “il fatto che il segretario generale della Cgil Landini sul palco di Europe for Peace abbia chiesto di ridurre gli investimenti in armamenti è un fatto molto importante”. 

Nelle conclusioni Francesco Strazzari ha spiegato che il libro, scritto a sei mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, vuole essere un inizio di riflessione per andare oltre i limiti del dibattito in corso: “il libro pone più domande di quante risposte offra”. Serve mettere al centro l’analisi critica di trent’anni di transizione deragliata nell’Est Europa, e capire la natura del conflitto:  “la guerra in Ucraina non ha avuto nessun momento di rallentamento e le lezioni della storia sono che i conflitti tendono ad un escalation sia orizzontale, coinvolgendo altri paesi, che verticale, usando armi più distruttive”. Se guardiamo ai Balcani o alla Siria, vediamo che i cicli di guerra “sono in genere di dieci anni” e fermare il conflitto è ora la priorità per tutta l’Europa: non abbiamo tempo di aspettare che anche questa guerra esaurisca il suo ciclo. A differenza dei moscoviti di Tolstoj dobbiamo agire.