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«Le società di consulenza privatizzano i governi»

Intervista all’economista Mariana Mazzucato sul suo ultimo libro «Il grande imbroglio»: “Gli stati sono deboli e si fanno corrompere facilmente”. Il ruolo della società di consulenza McKinsey anche nel vaglio dei progetti del nostro Pnrr.

Sarebbe difficile includerla nel novero delle rivoluzionarie. Ma da tempo il suo lavoro di ricerca illumina alcune storture dell’economia e della politica. Stiamo parlando di Mariana Mazzucato, economista e docente all’University College London, dove dirige l’Institute for Innovation and Public Purpose. L’abbiamo incontrata a Roma in occasione del lancio del suo ultimo libro scritto con Rosie Collington, Il Grande Imbroglio, tradotto da Laterza. Un’indagine sul ruolo delle società di consulenza, come McKinsey, Deloitte, Kpmg, a cui i governi affidano sempre più spesso il disegno e la gestione degli orizzonti strategici da perseguire.

Questa volta ha deciso di rompere il silenzio su una delle strutture intermedie più influenti e opache che oliano gli ingranaggi del capitalismo contemporaneo.
Tutto il mio lavoro ruota intorno alla stessa domanda: come governiamo e come risolviamo le sfide del nostro tempo (salute, clima, digital divide)? E la questione è sempre la stessa, il ruolo della funzione pubblica, lo Stato che ha smesso di investire sulle proprie capacità e ha preso a imitare il settore privato, con le sue parole d’ordine, le sue logiche, perdendo il controllo della situazione. La pervasiva presenza, del tutto inefficiente e tossica, delle società di consulenza dentro le stanze decisionali della funzione pubblica a livello globale non è che una delle manifestazioni meno conosciute di questo processo di privatizzazione occulta, e in ultima analisi di “infantilizzazione” dei governi e delle loro funzioni.


Quindi sta dicendo che i governi devono recuperare un nuovo senso di sé e delle responsabilità che sono chiamati a esercitare?

Precisamente. Dopo Thatcher e Reagan ai governi è stato riservato il ruolo di riparare i fallimenti del mercato nella migliore delle ipotesi, più spesso di togliersi di mezzo. Ai governi spetta trovare i soldi, spetta facilitare (la più subdola parola al mondo), ridurre i rischi per gli investitori. Ma perché mai lo Stato dovrebbe assorbire il rischio d’impresa? Occorre sovvertire le narrazioni sulle incapacità della funzione pubblica. Dobbiamo esigere una politica che sia capace di rischiare, sperimentare, orientare le proprie azioni verso missioni strategiche. La funzione pubblica deve essere in grado di riprendere la regia rispetto al settore privato, non il rapporto sregolato e parassitario oggi in essere. Altro che società di consulenza, con i loro power point sempre uguali: non capiscono nulla di funzione pubblica!

Eppure sono ovunque ormai, spesso invisibili alla società.
Per questo si affronta il tema nel libro. Sono ovunque, parassiti di sistema. È il motivo per cui non ho firmato il rapporto della Commissione Colao, di cui facevo parte, in pieno Covid-19. Al primo incontro eravamo una quindicina fra accademici ed esperti, ma nella stanza c’erano anche 13 persone di McKinsey, infiltratesi silenziosamente. Ho chiesto conto della loro non neutrale presenza. In tutta risposta, Colao mi ha assicurato che prestavano la consulenza a titolo gratuito e che la funzione pubblica italiana non avrebbe potuto gestire la cosa. Primo, non è vero. Secondo, qui si parlava di fondi, di scelte strategiche, di cosa mettere o non mettere nelle misure del governo. E infatti nel rapporto finale ci avevano messo anche il patent box (agevolazioni fino al 50% dei redditi per incentivare investimenti in ricerca e sviluppo, e l’utilizzo di beni immateriali come i brevetti). Una misura sbagliata di cui ho scritto tutta la vita. Che senso ha incentivare i brevetti, monopoli che già assicurano sconfinati profitti? Certo, ha senso per McKinsey e i suoi clienti privati. E ora la selezione dei progetti del Pnrr è nelle mani di queste società di consulenza.

Una forma di colonizzazione insomma.
Esatto, colonizzatori che riescono a farti parlare la loro lingua, veicolando le loro idee, quelle del settore privato. Perché uno Stato debole e impaurito, un governo che facilita si fa catturare facilmente, si fa corrompere, questo è il problema. Succede in Italia, negli Stati Uniti, in Africa.

Quale è la relazione fra le società di consulenza e la privatizzazione e finanziarizzazione della agenda sociale?
Il libro è pieno di esempi, più o meno recenti, anche nei paesi che hanno investito in capacità pubblica, come l’Australia, dove però hanno elargito a McKinsey 6 milioni di dollari per redigere una strategia climatica notoriamente pessima, piena di conflitti di interesse. Oppure la Gran Bretagna: durante il Covid ha firmato un contratto di 1 milione di sterline al giorno con Deloitte per tracciare i test. Un disastro, che ne capisce questa di contagi?

Dunque, che fare?
Non siamo contro i consulenti, siamo contro l’industria delle consulenze e la sua velenosa pervasività nella funzione pubblica. Il segno di una insicurezza che va sanata. Proponiamo diverse soluzioni. In primis, occorre intervenire sui conflitti di interesse e sui termini della relazione con i privati. Serve re-immaginare il ruolo dello Stato dopo queste catastrofi. Cambiare la cultura dei governi, rendere la pubblica amministrazione creativa e agile, per una economia di missione è possibile. Necessario, direi.

Intervista pubblicata da il manifesto del 22 novembre 2023