Top menu

La “sindrome Marchionne” e la transizione energetica

Sembra che Palazzo Chigi lasci a Enel ed Eni ogni decisione su temi vitali come la riconversione energetica. Così Enel investe nelle rinnovabili, l’Eni ancora sul fossile e sullo stoccaggio di CO2 ma con l’appoggio del governo. Mentre sull’auto il ministro Giorgetti nei fatti si riscopre anti europeista.

La “sindrome Marchionne” conquista anche il governo 

Sergio Marchionne raccontò a lungo che l’auto elettrica non funzionava, che non era poi tanto verde, che c’erano problemi tecnologici e così via. E, dimostrandosi conseguente, non investì nella nuova tecnologia, mettendo in prospettiva ancora più nei guai il gruppo, alla fine salvato con l’acquisto da parte dei francesi. 

Non è del tutto chiaro perché il manager sostenesse quella posizione, se per convinzione, per mancanza di soldi da investire nella nuova tecnologia, perchè gli Agnelli avevano deciso di vendere il gruppo e quindi non guardavano al futuro, o per più di una delle suddette ragioni. In ogni caso, il tutto ormai non ha più molta importanza; più rilevante, il fatto che ora la sindrome Marchionne sembra stia contagiando molti. Da qualche tempo si chiede da più parti di rallentare, frenare, ridimensionare sul fronte delle energie rinnovabili. 

Ricordiamo a tale proposito due episodi di questi giorni.

Apprendiamo intanto che il governo italiano, con le dichiarazioni in proposito del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, si oppone incredibilmente alla decisione della UE che ha proposto di fissare al 2035 la fine della produzione e della vendita di veicoli a energia fossile, dichiarando il ministro che la data appare troppo ravvicinata.

Ora, il problema semmai è quello che essa andrebbe invece anticipata. In effetti nel 2030, secondo le previsioni più attendibili, secondo le regole attualmente in vigore e quelle previste, circoleranno ancora nel mondo 1,5 miliardi di vetture a propulsione tradizionale (benzina o diesel), 150 milioni di più di oggi. Queste consumeranno quindi presumibilmente delle quantità di carburante (con relativi livelli di inquinamento) almeno pari, ma probabilmente superiori, a quelle odierne. 

La seconda notizia riguarda il fatto che martedì 1 dicembre si è tenuto un convegno sull’energia a cura della Confindustria (il presidente di Confindustria Energia è significativamente un dirigente Eni) con la partecipazione dei segretari sindacali (mancava però Landini) e del governo ai massimi livelli (Draghi e Cingolani). Il tono del convegno, in cui è stato presentato il “Manifesto lavoro ed energia per una transizione sostenibile”, può essere indicato dal fatto che nel manifesto si legge che bisogna inserire il gas metano tra le fonti sostenibili, mentre nella produzione di idrogeno non avrebbe importanza il colore, blu o verde che sia, intendendo che va bene anche quello prodotto da fonti fossili, affermazione certamente inaudita; il governo sembra appoggiare tali idee. Si tratta dell’ennesimo tentativo di rallentare la transizione ecologica, come ha commentato il rappresentante del coordinamento No Triv.   

Mentre la Confindustria pensa in maniera miope al business e ai soldi, i sindacati sono giustamente agitati per il rischio della perdita di molti posti di lavoro, come del resto ha mostrato “in anteprima”, nei mesi scorsi, la crisi di alcune imprese della componentistica, dalla Gkn in poi. 

Si intravedono minacce non solo in quest’ultimo comparto, ma anche in quelli delle fabbriche dell’auto, settore già da noi pericolante, delle officine di riparazioni e poi dei trasporti carburante e così via. Per quanto riguarda poi il settore dell’energia si teme per l’occupazione nelle raffinerie, nelle centrali tradizionali, di nuovo nei trasporti. Il timore è accentuato dal fatto che nei comparti delle energie rinnovabili, quali l’eolico, il solare, le batterie, la nostra industria praticamente non esiste e le tecnologie impiegate vengono tutte dall’estero. Lungimiranza pubblica e privata.

Ma in questi stessi giorni, significativamente, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), afferma, nel suo rapporto annuale, che il tasso di crescita nel mondo degli investimenti in energia rinnovabile, pur attualmente positivo, deve crescere del doppio se vogliamo limitare il riscaldamento globale.  

Intanto non è una grande consolazione sapere che non siamo i soli matti del villaggio. Apprendiamo così che in Francia le destre hanno scatenato una feroce campagna contro gli impianti eolici, tra l’altro sotto il pretesto che sarebbero antiestetici. Evidentemente gli impianti nucleari e le centrali a carbone sono esteticamente migliori.

Enel ed Eni

Su di un altro fronte, sembra che il governo Draghi non badi molto a quello che fanno le sue aziende controllate, lasciando che decidano come gli pare su temi vitali quale la riconversione energetica. 

Guardiamo in effetti alle strategie comparate di Enel ed Eni in questo campo. 

L’Enel è un’impresa all’avanguardia a livello internazionale in tema di energie pulite; la società lavora in tal senso da tempo, dichiarando come obiettivo di fondo quello di portare un’elettricità pulita e rinnovabile in giro per il mondo. L’Enel ha presentato nei giorni scorsi il nuovo piano industriale 2022-2030, con il quale si impegna a raggiungere il traguardo di zero emissioni nette entro il 2040, con l’addio al carbone nel 2027 e al gas nel 2040. Dei 170 miliardi di euro di investimenti previsti, 70 sono dedicati alle rinnovabili e altri 70 al conseguente rinnovamento della rete. L’ad della società, Francesco Starace, non ha mancato di sottolineare come con lo stesso piano verrà triplicata la capacità dell’impresa nel settore delle rinnovabili, capacità che sarà la più grande al mondo tra le aziende private, mentre ha anche dichiarato che il gas continuerà a dare sorprese negative e l’azienda sta facendo di tutto per uscire dalla dipendenza di questa fonte energetica.

Tutta un’altra musica se guardiamo all’Eni. Qualche recente episodio mostra  lati non entusiasmanti delle strategie del gruppo. 

E’ di pochi giorni fa la notizia che un progetto dell’Eni per la cattura e lo stoccaggio della CO2 non avrà il sostegno finanziario del fondo europeo per l’innovazione. Con questa tecnologia il gruppo si ripromette di stoccare nei giacimenti di gas dismessi sul fondale marino nei pressi di Ravenna 50 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pareggiando così il fatto che avrebbe continuato a emettere anidride carbonica con i suoi progetti tradizionali, sostenendo alla fine di essere carbon neutral; non fornendo di conseguenza alcun segno di voler recedere dalle attività nelle energie fossili, come sottolinea un articolo apparso su Domani del 27 novembre. Un comportamento ben diverso da quello della danese Dong-Orsted, diventata un campione al 100% delle energie rinnovabili. Al contrario di quanto sostiene con fermezza l’Enel, secondo le dichiarazioni dell’ad di Eni ci sarà sempre più bisogno di gas in Italia e nel mondo. E, coerentemente, sempre a Ravenna, la società ha appena inaugurato un grande impianto per lo stoccaggio del gas liquido.

Incidentalmente, la strategia molto differente di Enel ed Eni nel campo delle energie rinnovabili non appare il solo caso di imprese controllate dalla mano pubblica e che si comportano in maniera anche antitetica. Così, per quanto riguarda la politica del personale apprendiamo sempre in questi giorni che la nuova dirigenza della società Autostrade ha creato un comitato bilaterale di sviluppo strategico con i sindacati, imboccando un modello partecipativo in qualche modo sull’esempio tedesco; ma intanto alla Ita, la nuova società per il trasporto aereo, il suo presidente parla di licenziamenti indiscriminati ed insulta i suoi più stretti collaboratori, come riferisce ad esempio Il Fatto Quotidiano del 25 novembre.

Misteri romani. 

Cosa bisognerebbe fare    

Che fare? Intanto pensiamo che sul fronte delle nuove energie sia necessario accelerare, non rallentare, gli sforzi, strategia quest’ultima suicida nel lungo termine in un campo in grande sviluppo ed in rapida trasformazione; e questo sia per la salvezza del pianeta che per le prospettive dell’economia e dell’occupazione nel nostro paese.

Quello che manca nel settore dell’automotive e dell’energia è una presenza adeguata del governo, che solo potrebbe sbrogliare il problema del contemperamento dell’innovazione e dell’occupazione, con un piano di intervento massiccio, imponendo anche, tra l’altro, all’Eni di smetterla di scherzare. Senza tale presenza l’Italia non governerà il problema né dell’auto né dell’energia. 

Ma forse è da disperati sperare che Draghi e Giorgetti facciano la cosa giusta ed intervengano con efficacia. Per la verità qualche mese fa il viceministro dell’economia, Gilberto Pichetto Fratin, aveva annunciato un modesto piano di riconversione per l’automotive, ma nel frattempo non sembra essere successo niente.