Dis-connessi/Bisogna andare oltre le letture pessimistiche del neoindividualismo e guardare agli aspetti positivi della declinazione dell’amore di sé
Da molti anni ormai la nozione di individualismo non gode di buona fama e nel senso comune e nelle letture della società contemporanee viene identificata con liquidità, nomadismo, narcisismo, egoismo e tutte le possibili declinazioni negative della soggettività.
Ad aver vinto sembra solo quell’individualismo della differenza che afferma il principio della salvaguardia della propria unicità e particolarità.
La fine di antiche solidarietà, il trionfo del liberismo economico, morale ed emozionale confermerebbero il trionfo di una cultura di negazione dell’altro e di affermazione solo di un sé ipertrofico.
Ma la moderna cultura dell’individualismo, che è alla base dei diritti, può essere ridotta solo a questa visione e a questa lettura della società? E se provassimo a riaffermare un individualismo virtuoso e riconoscere un buon uso dell’individualismo?
Osservando le pratiche sociali, le interazioni della vita quotidiana, i nuovi movimenti collettivi sembra che un altro individualismo sia possibile e in grado di recuperare i principi dell’autonomia individuale, del rispetto delle differenze, senza per questo approdare alla negazione di ogni forma di legame sociale.
Spaventati dalla fine delle ideologie e dalla de-isituzionalizzazione che ha dissolto nell’aria norme e valori morali validi per tutti, ci si è accaniti a creare argini al neoindividualismo rifugiandosi o nei comunitarismi o nel rimpianto di un mitico passato di solidarietà e altruismo.
Eppure Brecht ci aveva già ricordato che «non dobbiamo partire dalle buone vecchie cose ma dalle cattive cose nuove».
Forse bisogna andare oltre le letture pessimistiche del neoindividualismo e guardare agli aspetti postivi, ai lati generosi e virtuosi della declinazione dell’individualismo e dell’amore di sé. Forse bisogna distinguere fra un amore di sé auto-affermativo e un amore di sé come parte del mondo, quello che Tocqueville ha definito come «illuminato amore di sé» e che mobilita passioni e ragioni per l’affermazione di un sé non egoistico.
La moderna passione per l’individualità, il desiderio di autorealizzazione connesso al liberismo economico produce un amore di sé narcisistico che pretende riconoscimento solo per sé, ma questo stesso desiderio, proprio perché basato su una forte e consolidata affermazione dell’individuo, richiede rispetto per tutte le forme d’individualità.
L’amore di sé nelle società democratiche moderne è strettamente connesso a un’idea d’individuo come degno di rispetto e come, almeno in principio, eguale. L’eguaglianza diviene una componente sempre più significativa nella costruzione di sé e della propria autostima.
Probabilmente all’origine di molte nuove forme di mobilitazione c’è una forte e modernissima nozione di sé, un virtuoso individualismo, che denaturalizza diseguaglianze, ingiustizie e umiliazioni, che pone rispetto, riconoscimento, dignità, autonomia alla base della vita propria e di tutti gli altri individui.
L’ira giusta, l’indignazione, la vergogna della disuguaglianza e dell’umiliazione, l’orgoglio di saper creare nuove immagini di mondo sono moderne passioni dell’io, passioni timotiche che sempre più spesso spingono donne e uomini a prendere la parola, a essere con gli altri, a cercare interazioni non mercantili.
Le nuove forme di legami sociali, di mobilitazioni collettive, credo che vadano lette come manifestazioni del moderno individualismo e cercate in quegli spazi casuali in cui il superamento del particolarismo è frutto dell’interazione fra gli individui, dei progressivi aggiustamenti fra diversi ma non necessariamente contrapposti interessi personali.
L’emergere di molteplici punti di vista e differenziazioni può essere una risorsa come lo è l’esperienza dell’essere con l’altro, sia pure per fasi temporali brevi, o anche perché accomunati da interessi settoriali. La condivisione di forme di partecipazione si presenta al moderno individuo come valorizzazione di sé come parte di, spesso come fonte di senso e di gioia individualizzata e come apprendimento morale fondato sull’esperienza, piuttosto che solo su norme.