Stiamo affrontando la crisi climatica e la transizione ecologica con armi spuntate e senza visione, mettendo a repentaglio il nostro futuro. Dal Forum di Sbilanciamoci!, le analisi e le proposte dell’Alleanza Clima Lavoro per un modello di sviluppo e di mobilità ambientalmente e socialmente sostenibili.
Due sessioni sulla transizione ecologica e la mobilità sostenibile, oltre tre ore di dibattito, dodici relatori in rappresentanza delle undici organizzazioni promotrici dell’Alleanza Clima Lavoro e del suo Comitato scientifico, sei interventi dal pubblico, centocinquanta persone ad assistere in sala e altrettante collegate alla diretta streaming dell’evento (la registrazione integrale di tutti gli interventi di entrambe le sessioni è disponibile qui). Questi i numeri della partecipazione dell’Alleanza Clima Lavoro alla prima giornata, lo scorso venerdì 1 settembre, del XIII Forum di Sbilanciamoci! “La strada maestra”, svoltosi a Como presso lo spazio Arci Gloria Xanadù.
Quale transizione?
La prima sessione del Forum di Sbilanciamoci! dedicata ai temi e alle proposte dell’Alleanza Clima Lavoro, dal titolo “Le politiche per la giusta transizione sociale e ambientale”, ha avuto come protagonisti, coordinati dal Portavoce della Campagna Sbilanciamoci! Giulio Marcon, il Direttore scientifico di ASviS-Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile, ex Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili e membro del Comitato scientifico dell’Alleanza Clima Lavoro Enrico Giovannini, il Segretario generale della FLAI-CGIL Giovanni Mininni, il Segretario generale della FIOM-CGIL Michele De Palma, la Responsabile Clima ed Energia del WWF Italia Mariagrazia Midulla, il Direttore generale di Greenpeace Italia Pippo Onufrio (in collegamento).
Tutti concordi nel denunciare la gravità della crisi climatica che stiamo vivendo, con le previsioni e le raccomandazioni largamente inascoltate degli scienziati, e il grave ritardo dell’Italia sul fronte della transizione, con la colpevole assenza di una visione sistemica e di un quadro organico di politiche pubbliche di coordinamento e accompagnamento. Quello che in particolare manca al Paese è un governo della transizione che, nel massimizzare gli effetti positivi su ambiente, clima e salute, possa al contempo anticipare, prevenire ed eventualmente gestire e minimizzare gli impatti negativi che questa – senza risorse, interventi e misure adeguate – può comportare sul lavoro, il reddito, le disuguaglianze.
È per questo che, come hanno unanimemente sottolineano i relatori nei loro interventi, la transizione non può non essere pensata in modo sistemico e declinata in una chiave di condizionalità sociale, affinché i suoi benefici e le sue opportunità siano equamente distribuiti e accessibili a tutti, e che i suoi rischi e i suoi costi non ricadano sulle spalle dei meno abbienti e dei più vulnerabili. Tutto ciò significa – come viene ribadito anche nel Manifesto programmatico dell’Alleanza Clima Lavoro – orientare i processi in corso nella direzione precisa di una transizione giusta: ambientale e sociale.
È necessario, in quest’ottica, liberarsi dalla “dittatura del petrolio” con robuste politiche energetiche che ci consentano di superare la dipendenza dalle fonti fossili e investimenti mirati e consistenti sulle rinnovabili e le nuove tecnologie pulite. Occorrono politiche di prevenzione e messa in sicurezza dei territori dal rischio idrogeologico, di mitigazione climatica, di tutela delle acque, del suolo, della biodiversità, di cura e rilancio delle aree interne. Servono programmi di formazione e riqualificazione degli occupati, insieme a una riforma complessiva del sistema degli ammortizzatori sociali e a un piano per la riconversione industriale delle produzioni insostenibili e per l’occupazione che preveda – anche – la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Senza dimenticare che la sfida della transizione si vince se è guidata da una politica industriale coerente e ambiziosa, con al centro un rinnovato ruolo dell’attore pubblico, e da politiche fiscali di segno progressivo e redistributivo.
L’obiettivo condiviso dai relatori dell’Alleanza Clima Lavoro è, insomma, quello di incardinare il percorso della transizione nella cornice di un modello di sviluppo sostenibile e di qualità, che abbia come stella polare la decarbonizzazione e il conseguimento della neutralità climatica guardando al benessere di chi ha di meno, privilegiando i soggetti economici che investono su produzioni e tecnologie verdi, sostenendo le realtà imprenditoriali nella riconversione, proteggendo i lavoratori dagli effetti potenzialmente avversi del passaggio a un nuovo modo di produrre, consumare, muoversi, convivere. Contestualmente, nell’indicare la rotta da seguire, è necessario ribaltare la retorica dominante che vede la transizione come un pericolo per i cittadini, sfidando a viso aperto i suoi detrattori e demistificando le falsità che vengono quotidianamente diffuse e alimentate nell’arena pubblica, a cominciare dal ritornello dell’impossibilità di coniugare ambiente e salute, diritti e lavoro, crescita e sostenibilità.
Mobilità al bivio
Questa stessa visione sistemica sulle sfide della transizione ecologica ha caratterizzato anche la seconda sessione dell’Alleanza Clima Lavoro nel corso della giornata di apertura del Forum di Sbilanciamoci!. La sessione, intitolata “La mobilità di oggi e di domani” e coordinata da Rachele Gonnelli di Sbilanciamoci!, è stata animata dagli interventi del Segretario generale della FILT-CGIL Stefano Malorgio, dell’economista dell’Università di Pisa Simone D’Alessandro, del Segretario generale della CGIL Piemonte Giorgio Airaudo, del Policy officer di Transport&Environment Carlo Tritto, del Segretario generale di Motus-E Francesco Naso (in collegamento).
Il dibattito ha preso le mosse dalla comune consapevolezza dei relatori che sul terreno della mobilità si stia giocando oggi una partita cruciale. Ciò non stupisce, considerando la latitudine degli interessi mobilitati e la magnitudine del suo impatto sul clima, economia e il lavoro: basti pensare che in Italia il complesso dell’automotive – industria e servizi – occupa un milione e duecentomila addetti, coprendo quasi un quinto del Pil, mentre il settore dei trasporti è responsabile di un quarto delle emissioni totali di gas serra e del 30% delle emissioni di CO2 (oltre il 90% di queste ultime è legato al trasporto su strada). E comune è anche la preoccupazione espressa nei vari interventi della sessione sul fatto che, anche in questo caso, il nostro Paese appare in forte ritardo rispetto alla tabella di marcia della transizione all’elettrico legata al phase out dei motori endotermici dal 2035.
Emblematico il caso del trasporto pubblico, che subisce il peso del cronico sottofinanziamento del Fondo nazionale trasporti e che sconta una drammatica disomogeneità – con marcati squilibri tra Nord e Sud, tra aree interne e aree metropolitane, tra centri urbani e periferie – nell’erogazione e nella qualità dei servizi e nella distribuzione territoriale delle reti. A questo si aggiunge una pressione insostenibile sulle infrastrutture della mobilità – dalla costruzione di nuovi porti, ferrovie e aeroporti, all’adeguamento infrastrutturale e alla manutenzione ordinaria – che, da un lato, rende di fatto impossibile operare una transizione modale del nostro sistema dei trasporti e della logistica, ancora largamente dipendente dall’utilizzo del mezzo privato, e dall’altro scarica i suoi effetti negativi in termini di salari e condizioni di lavoro sulle spalle degli occupati nel trasporto.
Per quanto riguarda l’automotive, la situazione non è migliore. L’attuale penetrazione sul mercato italiano delle vetture elettriche si attesta su una quota percentuale estremamente bassa, sotto al 4%. Inoltre, il Paese è ancora al palo sul fronte della produzione di batterie elettriche e la realizzazione di gigafactories (così come sulla politica per i materiali critici). Ma la crisi dell’auto – è bene specificarlo per non incorrere in errori di valutazione e per non avallare le tesi di chi vi si oppone – non dipende dalla transizione all’elettrico: da oltre due decenni assistiamo passivamente a un lungo declino produttivo e occupazionale in uno dei settori storicamente più importanti e trainanti per l’economia nazionale: in Italia siamo passati dal produrre circa un milione e mezzo di veicoli alla fine degli anni ’90 ai 473mila del 2022, con una perdita di posti di lavoro di oltre 36mila unità nel ventennio 1998-2018.
Mutatis mutandis, oggi, nel mezzo di una transizione alla mobilità elettrica segnata da una crescente competizione internazionale e da una posizione di svantaggio tecnologico e competitivo di Europa e Italia rispetto a Stati Uniti e Cina, gli sforzi di riconversione compiuti dalle nostre imprese dell’automotive – a cominciare da quelle della componentistica legate alla produzione dei motori endotermici e all’esportazione – non sono coordinati entro un quadro di politica industriale volto ad attrarre investimenti e rilanciare un’occupazione nel settore in calo da tempo. E Stellantis, la proprietaria del mondo FCA (ex FIAT) che determina quasi unilateralmente la traiettoria di sviluppo del settore in Italia, non ha ancora presentato un piano industriale concreto e di dettaglio per il futuro produttivo e occupazionale dei vari insediamenti industriali presenti nel Paese.
Per favorire una giusta transizione alla mobilità sostenibile ed elettrica, non occorre soltanto fare buon uso delle decine di miliardi di euro allocati sul Fondo automotive e sul PNRR, ma serve anche un radicale cambio di rotta. In questa direzione, bisogna innanzitutto ribadire che nessuna transizione è possibile senza un forte investimento sul trasporto pubblico; al contempo, guardando al Piano automotive del Governo atteso a breve, sono necessarie politiche industriali che mettano a disposizione risorse e strumenti per la riconversione industriale della filiera, l’innovazione e il rilancio della ricerca e sviluppo, che sostengano l’avvio di gigafactories, che favoriscano la creazione di reti e consorzi di imprese capaci di risalire la catena del valore, che finanzino il rinnovo delle flotte pubbliche, gli ammortizzatori sociali e la formazione per la salvaguardia, la crescita e la rigenerazione dell’occupazione.
Una lezione di metodo e di merito
Con le due sessioni all’interno del Forum di Sbilanciamoci!, l’Alleanza Clima Lavoro ha portato avanti la sua azione territoriale di confronto, informazione e sensibilizzazione pubblica sui temi della giusta transizione e della mobilità sostenibile: un impegno che si intensificherà ancora nei prossimi mesi. Da Como, intanto, arriva una prima lezione da cogliere. Con le elezioni europee del 2024 ormai alle porte, l’esempio che viene dall’esperienza dell’Alleanza può rappresentare infatti un’indicazione di merito e di metodo per contrapporsi all’avanzata – in Italia e non solo – del fronte del negazionismo climatico.
Come è stato più volte sottolineato negli interventi di entrambe le sessioni, l’intreccio tra crisi climatica, occupazione (in particolare il lavoro povero e precario) e società è diventato oggi talmente inestricabile da rendere obsoleti e perdenti approcci e posizioni votati all’isolamento o alla difesa corporativa delle proprie posizioni e prerogative. In queste condizioni, la strada da seguire è quella dell’aggregazione, della creazione di un campo largo di forze sociali e della convergenza tra queste nell’analisi, nella mobilitazione e nella proposta politica e programmatica.
In questo senso, la costituzione di una coalizione come l’Alleanza Clima Lavoro che raggruppa al suo interno organizzazioni del mondo sindacale e di quello dell’ambientalismo – unendo competenze e sensibilità diverse e armonizzando in un quadro unitario di iniziativa e di prospettiva le ragioni del lavoro e quelle della sostenibilità ecologica – appare una strada necessaria e praticabile per contrastare la narrazione, a cui il nostro attuale Governo è tutt’altro che insensibile, del blocco di forze economiche, politiche e sociali ostile alla transizione.
Si tratta di una strada da percorrere insieme e da subito, per vincere una sfida – quella di una giusta transizione ambientale e sociale – da cui dipende il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno.