Senza mandato Onu e senza voto parlamentare stiamo per prendere il comando tattico della missione Aspide nel Mar Rosso. Una missione potenzialmente offensiva, con regole di ingaggio fumose, che ci espone al coinvolgimento diretto nella possibile escalation. Non c’è altra via se non mobilitarsi per fermare il genocidio a Gaza, fermare le guerre e il riarmo.
La Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, su iniziativa del Sudafrica, ha messo Israele sotto inchiesta per genocidio. E ha imposto ad Israele di non commettere alcuna azione connessa a questo crimine.
La sentenza vieta formalmente ad Israele di uccidere civili, di mettere a repentaglio in qualsiasi modo la loro sicurezza, e lo obbliga ad assicurare alla popolazione di Gaza tutti gli aiuti e l’assistenza necessaria.
C’è voluto un tribunale, per guardare in faccia la verità e dire ciò che la politica della comunità internazionale da quattro mesi rifiuta di ammettere.
L’operazione di assedio, deportazione e sterminio condotta a Gaza è uno dei più tremendi crimini di guerra degli ultimi decenni, compiuto sotto gli occhi del mondo intero. Le sofferenze inflitte alla popolazione palestinese sono immense, e neppure l’enorme numero dei morti salito ormai a 27.000 ne riesce a dare conto.
A Gaza si stanno compiendo tutti i crimini di guerra possibili, in una magnitudine di orrore: è un salto enorme nella barbarie, non solo per chi la commette, non solo per chi la giustifica, ma anche per chi la guarda e piano piano, come sta accadendo, si abitua.
In Israele i familiari degli ostaggi continuano a manifestare per chiedere inutilmente che Netanyahu faccia ogni accordo possibile per riportarli a casa. E invece le forze politiche della destra israeliana fanno a gara nel proporre senza vergogna né pudore piani di deportazione definitiva dei palestinesi di Gaza, e invocano il diritto al massacro di un popolo intero.
Sono gli ultimi tragici frutti avvelenati di decenni di occupazione militare, di impunità per le continue violazioni del diritto internazionale e umanitario, della complicità e della ignavia della comunità internazionale.
Le speranze di pace degli anni 90 sono state fatte svanire nel nulla, senza che nessuno muovesse un dito. I palestinesi vivono in un regime di apartheid consolidato e istituzionalizzato, Gaza è circondata e chiusa da anni in un assedio illegale.
In Palestina si è deteriorato tutto, non solo la qualità di vita delle persone ma anche la politica, nel popolo che era davvero il più laico e progressista del Medio Oriente. Israele è un paese sempre più malato. Lo denunciano da anni i pacifisti israeliani, quanto sia pericoloso declinare l’insicurezza in chiave securitaria, militarista, colonialista e razzista.
L’oppressione non produce giustizia, né in chi la compie né in chi la subisce. E’ solo la politica giusta che genera giustizia. E la politica giusta pare scomparsa, in questo mondo. Eppure il Sudafrica che ha portato Israele alla sbarra è la dimostrazione che esisterebbe la possibilità e che esistono anche gli strumenti, per non arrendersi alla barbarie.
Fra qualche giorno saranno due anni dall’inizio della guerra in Ucraina, che ha prodotto 750.000 morti. E anche di quel conflitto non si vede la fine.
Di fronte alla invasione russa, l’Occidente si è schierato con il popolo invaso e ha armato la sua resistenza. Di fronte all’occupazione israeliana, l’Occidente da sempre difende l’occupante. Due pesi e due misure, come sempre.
Il diritto internazionale riconosce il diritto alla resistenza dei popoli occupati, anche armata. Ai resistenti, come agli agli Stati, è fatto divieto, come agli Stati, di compiere crimini di guerra e di colpire i civili.
Alla comunità internazionale, come recita l’articolo 5 della Carta dell’Onu, di fronte alle occupazioni spetta invece il compito di ristabilire al più presto con misure politiche – non certo con le armi – la legalità internazionale.
Ma ciò non accade: anzi, la guerra e l’uso della forza sono tornate a sostituire la politica fondata su principi di giustizia, e non ci sono segnali di inversione di tendenza.
La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia imporrebbe anche a tutti i paesi membri delle Nazioni Unite il rispetto delle misure prescritte per prevenire il genocidio a Gaza.
Sarebbe un obbligo, a questo punto, smettere di essere complici del massacro. E quindi, ad esempio, la decisione di molti Paesi, e dell’Italia fra questi, di sospendere i fondi all’UNRWA per garantire aiuti e assistenza umanitaria è ora da considerarsi, oltre che sbagliata, anche illegittima e illegale.
In questo quadro, il governo Italiano persiste a muoversi in direzione opposta e contraria.
Senza mandato dell’ONU e senza voto parlamentare stiamo poi per prendere il comando tattico della missione ASPIDES nel Mar Rosso contro le azioni degli Houti yemeniti. E’ una missione potenzialmente offensiva, con regole di ingaggio fumose, che ci renderà attori attivi del conflitto in Medio Oriente e ci espone al coinvolgimento diretto nella possibile escalation.
Invece che contribuire a risolvere il problema alla radice, mettendo fine al massacro a Gaza, andiamo alla guerra.
Stiamo finendo mani e piedi direttamente coinvolti nella terza guerra mondiale che sempre più si avvicina ad essere non a pezzetti, ma intera e globale.
Con il Medioriente in fiamme, la guerra nell’est dell’Europa, i conflitti africani, la grande deflagrazione che si prepara in Asia, gli esperti discutono sugli anni che ci separano da un vero conflitto mondiale, e molti Paesi europei cominciano a parlare di mobilitazione dei riservisti e del ritorno alla leva militare.
Il nostro governo aumenta le spese militari, annuncia l’invio di portaerei e F35 nell’Indo-Pacifico, e compie giorno dopo giorno i passi che ci portano in guerra.
Un disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri ha modificato le norme per le missioni militari all’estero, per accelerare i tempi della loro approvazione e per evitare il voto in Parlamento.
La Commissione Affari Esteri e Difesa del Senato ha modificato la legge sul commercio delle armi rendendo più semplice l’import/export, rendendo meno trasparenti e leggibili i dati: un favore ai produttori e ai mercanti di armi, e alle banche armate.
Non c’è altra via se non mobilitarsi in tutti i modi per fermare il genocidio a Gaza, fermare le guerre, i crimini di guerra, il riarmo, l’apertura di nuovi fronti. Basta con il neo-colonialismo, i due pesi e due misure, le violazioni del diritto internazionale.
Facciamo il possibile per costruire il massimo di unità e di azione unitaria, rompendo tutte le gabbie mentali e ideologiche, intorno a poche essenziali richieste per Gaza, che è assoluta priorità di oggi: cessate il fuoco immediato e permanente, liberi tutti e tutte, fine dell’occupazione, autodeterminazione per il popolo palestinese, stessi diritti per due popoli.
Non abbiamo altre possibilità. Solo questa. E il tempo stringe.
Continueremo a tenere alta l’attenzione, a denunciare, a non cadere in semplificazioni: siamo a fianco del popolo palestinese, di chi in Israele si batte contro l’occupazione, e di tutte e tutti coloro che nel mondo si impegnano per una pace giusta e per l’uguale diritto dei due popoli alla benessere, alla dignità e all’autodeterminazione.