La Regione più popolosa d’Italia si ritrova governata dalla destra di Fontana che però ha solo il 20% dei consensi reali, tutte le forze politiche perdono fette importanti di elettorato in termini assoluti. Prevale la resistenza al cambiamento e la conferma tacita dello status quo.
Le elezioni regionali in Lombardia sono state vinte dal centrodestra, come abbiamo visto, ma governare con il 20% degli aventi diritto al voto solleva delle domande su chi, come e che cosa si governa.
La premessa è l’incapacità della spesa pubblica aggregata, quasi 200 mld di euro ogni anno, di cambiare il motore della propria macchina senza fermarla; evento dopo evento, prima EXPO ed ora le olimpiadi invernali, hanno trasformato la Regione da un’area manifatturiera in una economia fondata sostanzialmente sui rentier, consolidando la parte di società meno innovativa e trasformandola in un blocco consolidato di potere finanziario e immobiliare. Si tratta di interessi potenti, profondi e resistenti al cambiamento. In effetti la crescita degli investimenti e della produzione sono instabili, mentre il reddito da lavoro dipendente in rapporto al Pil è pari al 43%, contro una media europea saldamente al di sopra del 50%.
Quando il passato si ripete e non evolve, la paura di perdere i “privilegi” è più forte della speranza del cambiamento. Il fenomeno è conosciuto come “Sindrome di Crono” e riflette il mondo attuale e frenetico, in particolare quello di essere sostituiti in ambito lavorativo, sociale, sino a perdere ciò che è stato ottenuto con fatica. La dimensione dell’astensione, poco meno del 60%, unitamente alla diminuzione dei voti per tutte le forze politiche che hanno partecipato alla competizione elettorale in Lombardia, richiamano in fondo il concetto di razionalità, ovvero la dimensione strumentale dell’azione del voto, nell’ambito della quale un attore sceglie i mezzi adeguati per raggiungere un fine. In effetti, la scelta di non cambiare è manifesta e deriva dalla capacità di selezionare i mezzi (il non voto) giusti per raggiungere il fine specifico: difendersi da qualsiasi cambiamento che pregiudica lo stato delle cose.
Davanti all’ignoto, nessuno dei contendenti ha delineato un orizzonte credibile; la presenza di grandi industrie e di servizi insufficienti per proteggere il benessere sociale e la ricchezza della popolazione rispetto ad altre regioni europee, si riflette nel voto della Regione Lombardia, ovvero lo specchio fedele di tutte le paure, vere e presunte.
Solo il 41% degli aventi diritto al voto ha votato. Rispetto alle elezioni dell’anno scorso non hanno votato poco meno di 1.800 mila persone, cioè il 34%. Forse le elezioni regionali sono meno sentite rispetto a quelle nazionali, ma l’impressione che si evince dall’andamento del voto è quella di un corpo elettorale che, in realtà, ha scelto “razionalmente” l’esistente: “il cambiamento” non è mai stato messo realmente in discussione, ma è stato sufficiente evocarlo per comprimere qualsiasi giudizio (voto).
In effetti il governatore Fontana, riconfermato con solo il 20% dei voti sul totale degli aventi diritto, che vale il 54% dei votanti, non ha mai fatto campagna elettorale; sostanzialmente ha rappresentato in sé e per sé una rassicurazione politica per il proprio elettorato.
Andando oltre i voti dei candidati governatori, che sono sempre più alti della somma dei voti della loro coalizione, e considerando solo i voti dei partiti e delle coalizioni elettorali tra i risultati nazionali (2022) e regionali (2023), si registra come e quanto tutti i partiti abbiano perso elettori.
La coalizione di centro destra ha perso 1.117 mila voti, pari al 40% degli aventi diritto al voto tra le elezioni nazionali e quella regionale. In numeri assoluti è Fratelli di Italia la forza politica che ha perso più voti (718 mila), seguiti dalla Lega (195 mila) e Forza Italia (190 mila). Il centro destra ha vinto le elezioni, unitamente a una perdita di consenso che non ha precedenti storici, almeno nel recente passato.
Il centro sinistra ha perso quasi 900 mila voti, pari al 48%; sebbene il Partito Democratico sia il partito che ha perso più voti (333 mila, pari al 34%), il Movimento 5 Stelle ha perso ben 265 mila voti, pari al 70%. Si tratta di una emorragia di voti importante, che fa il paio con quella di Alleanza Verdi e Sinistra: quasi 100 mila voti persi, pari al 51%.
Calenda e Italia Viva, che hanno candidato Letizia Moratti, hanno perso quasi la metà dei voti raccolti con le elezioni nazionali, passando 522 mila voti dell’anno scorso a 275 mila del 2023.
Unione Popolare non è andata molto diversamente perdendo 17 mila voti, pari al 30%.
Disaffezione e/o paura hanno concorso all’esito del voto, ma la destra governa con una percentuale molto esigua.
Come già ricordato, quando il passato si ripete e non evolve, la paura di perdere i “privilegi” è più forte della speranza del cambiamento. Forse le forze sociali potrebbero avere un ruolo importante, sembrano più rappresentative dei partiti, ma nessuno appare sufficiente o adeguato a cambiare il motore della macchina della Lombardia.
Poteva andare peggio? Direi di no. Destra e Sinistra politica sono entrambe residuali nel corpo degli aventi diritto al voto, e le forze sociali non si smarcano più che tanto, sembrano più interessate a difendere gli interessi costituiti che a partecipare al governo del cambiamento.
Nota: le elaborazioni dell’istituto Cattaneo sul voto per i partiti in Lombardia e in Lazio