Riflessione sulla politica monetaria restrittiva della Bce. Sono ingiustificati i timori del ripetersi della rincorsa prezzi-salari degli anni ’70 per i mutati rapporti sul mercato del lavoro; una politica monetaria che prospetta una “stagflazione moderata” è inadeguata alla ristrutturazione produttiva e sociale oggi necessaria. Da Eticaeconomia.
Christine Lagarde ha comunicato, nella conferenza stampa del 26 ottobre, che i “tassi di interesse di riferimento della Bce [dovranno collocarsi] su livelli che, mantenuti per un periodo sufficientemente lungo, forniranno un contributo sostanziale al conseguimento [dell’obiettivo del 2% a medio termine]” precisando che l’impegno è di mantenere i tassi “su livelli sufficientemente restrittivi finché necessario” al fine di debellare qualsiasi aspettativa in grado di attivare una crescita fuori controllo dei prezzi.
Sull’inflazione degli anni 2021-22 che ha interessato le economie del mondo occidentale un’esposizione sistematica ed esauriente la offrono i contributi del libro curato da Mario Pianta (L’inflazione in Italia. Cause, conseguenze e politiche, 2023) e da essi prendo lo spunto per riflettere su quali giustificazioni possa avere una restrizione monetaria da protrarre “per tutto il tempo necessario”. Tanto più che, a ottobre, il tasso annualizzato dell’inflazione nell’area euro era già sceso – secondo di dati della stessa Bce – al 2,9%, un livello non molto distante dal 2% che è il suo obiettivo canonico. La giustificazione fornita inizialmente che la restrizione era necessaria per evitare il ripetersi di una rincorsa prezzi-salari-prezzi quale quella sperimentata negli anni Settanta, non appare accettabile (forse nemmeno per la banca centrale) per cui occorre considerare se vi sono, e quali, altre motivazioni.
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