È online il Rapporto di Sbilanciamoci! sui Sussidi Ambientalmente Dannosi (che ammontano a 19,8 miliardi di euro l’anno), con dati, analisi e proposte per la loro eliminazione entro il 2025. Scarica il Rapporto gratuitamente.
Con la pubblicazione del Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi (SAD)[1] l’Italia si è finalmente dotata di uno strumento di rendicontazione dell’impatto dei sussidi sull’ambiente. Quello che manca oggi è un piano che porti alla loro definitiva cancellazione. Più di 10 anni fa al G20 di Pittsburgh i governi hanno preso l’impegno alla rimozione dei SAD. Da allora, diversi summit internazionali ne hanno ribadito l’urgenza. I passi avanti però sono stati finora modesti.
In Italia, con il Decreto Clima e la Legge di Bilancio 2020-2022, il governo ha avuto il merito di avviare una discussione politica sul tema, pur tra incertezze e contraddizioni. A metà febbraio si è insediata al Ministero dell’Ambiente una commissione ad hoc con il compito di elaborare una proposta organica di revisione dei SAD entro il prossimo ottobre, sulle cui valutazioni si sa finora ben poco. La discussione, però, non è ancora entrata nel vivo.
Noi di Sbilanciamoci! crediamo sia urgente avviare un dibattito sulla direzione che il nostro paese vuole imprimere alla transizione ecologica, tema ineludibile dopo il diffondersi della pandemia di Covid-19 e la ricostruzione che attende il sistema produttivo nei prossimi anni. In questa direzione, riteniamo che la rimozione dei sussidi ambientalmente dannosi (SAD) rappresenti un banco di prova importante per la credibilità del governo sulle questioni ambientali.
Con questo Rapporto ci poniamo così un duplice obiettivo: da un lato favorire una discussione il più aperta possibile sul processo di revisione dei SAD – un tema complicato, che abbraccia numerose questioni, fiscali, ambientali, legislative; dall’altro, suggerire una strategia di riforma che possa condurci alla loro definitiva cancellazione. Il Rapporto è redatto da Sbilanciamoci!, ma si è avvalso del confronto con le principali associazioni ambientaliste italiane.[2] Esso definisce un metodo di lavoro basato su una concertazione con gli operatori economici dei diversi settori al fine di rimuovere i sussidi dannosi all’ambiente: l’idea è quella di pianificare interventi compensativi sulle categorie coinvolte in grado di favorire la transizione ecologica dell’economia e ridurre l’impatto sulle famiglie più vulnerabili.
Siamo dell’opinione che le conseguenze economiche della pandemia non debbano rallentare la lotta al cambiamento climatico.[3] La diffusione del coronavirus è del resto anche la diretta conseguenza dell’impatto dell’attività umana sugli ecosistemi naturali e della riduzione della biodiversità che abbiamo loro imposto; ma sono molti anche i legami tra l’insostenibilità ambientale del nostro modello di sviluppo e il peggioramento delle condizioni di rischio e di salute.[4] La fase di ripresa dell’economia dovrebbe essere l’occasione per ripensare i nostri modelli produttivi, riconvertendo il sistema economico verso la sostenibilità, nel quadro della strategia del perseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.[5]
Come ricordato pochi giorni fa dall’Agenzia Internazionale dell’Energia e dall’Ocse, dovremmo cogliere l’opportunità storica di un prezzo del petrolio e del gas molto basso e sfruttare l’occasione dei piani di ripresa dei governi per eliminare subito i sussidi dannosi e sostituirli con investimenti in attività sostenibili.[6] Il programma “Next Generation EU”, con la priorità data agli investimenti verdi e la disponibilità di nuove risorse, rappresenta in questo senso un’occasione da non mancare.
Cosa sono i Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD)?
I SAD sono sussidi alle imprese e alle famiglie che sostengono in modo diretto o indiretto un’attività che reca un danno all’ambiente, contravvenendo al principio del “chi inquina paga”. Questo può avvenire tramite l’emissione diretta di sostanze inquinanti, l’incentivo all’uso di mezzi di trasporto con elevati costi esterni o anche favorendo, a monte, la produzione di energia da mix produttivi poco sostenibili.[7] I SAD rappresentano dunque un costo per la società, perché alterano le decisioni di spesa di imprese e consumatori mettendo pressione sulle risorse e sull’ambiente.[8]
A quanto ammontano i SAD in Italia?
Il Catalogo del Ministero dell’Ambiente ha rendicontato per il 2018 19,8 miliardi di sussidi ambientalmente dannosi, per il 90% sussidi alle fonti fossili. Essi si rivolgono alle imprese (per 3,8 miliardi) e alle famiglie (2,8); quote consistenti vanno al settore dei trasporti (circa 4 miliardi), a quello energetico (2,1 miliardi) e al settore agricolo (1,7). 5,1 miliardi scaturiscono dal differente trattamento fiscale del gasolio rispetto alla benzina. Si tratta spesso di sussidi introdotti sulla base di obiettivi sociali condivisibili (come ad esempio i sussidi alle famiglie per il riscaldamento domestico) o nati per sostenere la competitività delle imprese (riducendo i costi dell’approvvigionamento energetico), in fasi storiche in cui l’attenzione sulle tematiche ambientali era minore.
In questi casi, il costo sull’ambiente si contrappone al costo sociale della rimozione di un “vantaggio” acquisito proveniente dai SAD. In altri, i sussidi hanno creato semplicemente posizioni di privilegio e di rendita e rappresentano un aiuto ingiustificato a determinati imprese e settori (come nel caso delle esenzioni delle royalties delle estrazioni di petrolio o gas delle compagnie petrolifere). È certo però che, a fronte di una quantificazione delle spese dirette per lo Stato, non esiste una stima attendibile dei costi che vengono sostenuti ogni anno in termini di risorse pubbliche destinate a rimediare alle conseguenze negative delle produzioni sussidiate: emissione di CO2, insorgere di malattie e patologie connesse e costi di ospedalizzazione, bonifiche dei territori, riciclo dei materiali, eccetera.
Cosa propone questo Rapporto?
L’obiettivo di questo Rapporto è, come detto, duplice. Da un lato fornire una piccola guida ai SAD, sintetizzando le informazioni presenti nel Catalogo sui sussidi 2018. Dall’altro proporre una strategia di revisione dei sussidi dannosi che fissi il loro phase-out entro il 2025, come previsto dalla dichiarazione del G7 di Ise-Shima.[9] La strategia dovrebbe essere basata su pochi principi, volti a individuare un piano coerente di azione.
A nostro parere, una riforma dei SAD non dovrebbe essere motivata unicamente dalla necessità di tagliare una spesa pubblica dannosa. Dovrebbe invece rappresentare l’occasione per rafforzare il trasporto pubblico, ridurre la povertà energetica, favorire il percorso di conversione del sistema produttivo verso un modello di sviluppo sostenibile. Invece di imporre tagli lineari, ingestibili politicamente e spesso sbagliati, è necessario, prima di tutto, provare a trasformare i SAD in SAF, sussidi ambientalmente favorevoli: bisogna convincere le imprese a non ritardare misure che diventeranno nel tempo necessarie, trovando soluzioni il più possibile condivise che rafforzino la competitività del sistema produttivo e allontanando il rischio concreto di bruschi passi indietro nella direzione di una maggiore sostenibilità ambientale.
Una riforma dei SAD non dovrebbe, del resto, essere percepita come ingiusta da famiglie e imprese e dovrebbero essere introdotti, ove possibile, meccanismi di compensazione che rendano più equa la distribuzione dei costi della rimozione dei SAD, proteggendo in particolare le categorie più vulnerabili. Si potrebbe, ad esempio, destinare un quarto delle risorse recuperate alla lotta alla povertà energetica, con uno spostamento indiretto dell’imposizione verso le famiglie più abbienti, oltre a potenziare il trasporto pubblico e l’accesso ai servizi dei cittadini.
Alla conversione del sistema produttivo potrebbero essere dedicate una buona parte delle risorse risparmiate, con diversi miliardi da investire nella transizione ecologica, nel sostegno ai territori maggiormente coinvolti nel processo di transizione e nel settore agricolo. La Figura 1, ad esempio, mostra una possibile destinazione delle risorse ottenute dalla rimozione dei SAD, sulla base di un’ipotesi di compensazione delle categorie interessate dai sussidi che ricalca le proposte descritte più avanti in questo Rapporto. L’individuazione di strumenti di compensazione per le imprese dovrebbe essere comunque basata su un confronto con il sistema industriale, in modo da individuare misure condivise, fermo restando l’obiettivo di cancellare i sussidi dannosi entro il 2025.
Si tratta di una proposta che sembra in linea con quanto affermato dal ministro dell’Ambiente Costa poche settimane fa, intervenendo al secondo incontro del Comitato ad hoc: l’intervento sui SAD “dovrà essere graduale e progressivo, con l’obiettivo di guidare a partire da quest’anno la transizione ecologica dei settori interessati, agendo a saldo zero. I sussidi dannosi per l’ambiente dovranno essere sostituiti da misure economiche di supporto verdi, di pari entità, che andranno a compensare i precedenti aiuti riconosciuti sia alle imprese sia alle famiglie, già provate dall’emergenza Covid”. Ci sembra una posizione condivisibile, alla quale vedremo a breve quale proposta seguirà nei prossimi mesi.
A nostro parere, affinché la strategia di rimozione dei SAD sia davvero efficace, sarebbe necessario lanciare una strategia di politica industriale coerente con un percorso chiaro di de-carbonizzazione del sistema produttivo, che aumenti le risorse a disposizione e sostenga politiche e investimenti complementari. Dai fondi provenienti dall’Europa per l’emergenza coronavirus potrebbero venire parte delle risorse. Il Green Deal Europeo, seppur con diversi limiti, potrebbe costituire la cornice di azione. Il Green Deal italiano, lanciato nell’ultima Legge di Bilancio, dovrebbe essere aggiornato per rilanciare un progetto più ambizioso.[10] Abbiamo la necessità, insomma, di definire una strategia capace di imprimere la direzione di sviluppo del sistema produttivo e della società per i prossimi dieci, venti anni verso una maggiore sostenibilità ambientale.
Figura 1. Uno schema di redistribuzione delle risorse ricavate dalla rimozione dei SAD
Fonte: nostra ipotesi sulla base dei principali beneficiari dei sussidi.
Note
[1] La prima edizione del Catalogo è del dicembre 2016; nel maggio 2020 è stata pubblicata la terza edizione, scaricabile qui.
[2] Il Rapporto è a cura di Matteo Lucchese e Giulio Marcon (Sbilanciamoci!). È stato redatto con il contributo del Gruppo misto del Senato della Repubblica. Si ringraziano per la disponibilità: Veronica Aneris (Transport&Environment), Sergio Andreis (Kyoto Club), Anna Donati (Kyoto Club), Stefano Lenzi (WWF), Massimiliano Mazzanti (Università degli Studi di Ferrara), Mario Pianta (Scuola Normale Superiore, sede di Firenze, e Sbilanciamoci), Aldo Ravazzi (coordinatore del gruppo di lavoro del Ministero dell’Ambiente che ha prodotto il Catalogo dei SAD), Edoardo Zanchini (vicepresidente nazionale Legambiente), Duccio Zola (Sbilanciamoci!). La responsabilità di quanto scritto e delle proposte presentate resta comunque di Sbilanciamoci!.
[3] Si veda l’ebook di Sbilanciamoci! (2020), “L’epidemia che ferma il mondo”, e il documento-appello dei 10 punti per la ricostruzione dell’Italia nel post-Covid “In salute, giusta, sostenibile. L’Italia che vogliamo”.
[4] Si veda S. Lenzi “L’ambiente ai tempi della pandemia”, Sbilanciamoci.info, 24 marzo 2020; il rapporto del WWF è disponibile qui.
[5] Solo nell’ultimo anno l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha pubblicato due relazioni che esprimono forti preoccupazioni riguardo ai cambiamenti climatici, fornendo basi scientifiche solide a supporto del rispetto degli obiettivi di Parigi – che quest’anno i governi saranno chiamati a verificare e ad aggiornare. Su questi aspetti si veda UNEP, Emissions Gap Report 2019, disponibile qui.
[6] Sull’Agenzia Internazionale dell’Energia si veda qui , sull’Ocse si veda qui.
[7] Si veda A. Zatti (2018), Verso una riallocazione verde dei bilanci pubblici, Pavia University Press.
[8] OCSE (2017), Towards a G7 target to phase out environmentally harmful subsidies, OECD Publishing, Parigi.
[9] Dalla Dichiarazione finale del G7: “Poiché la produzione e l’uso di energia conta per circa 2/3 delle emissioni mondiali di GHG, riconosciamo il ruolo cruciale che il settore energetico ha nella lotta al cambiamento climatico. Ci impegniamo all’eliminazione degli inefficienti sussidi ai combustibili fossili e a incoraggiare tutti i Paesi a farlo al 2025.”
[10] In Italia le emissioni di gas serra sono diminuite del 16% tra il 1990 e il 2017, ma gran parte della riduzione è dovuta alle fasi di recessione: le emissioni sono cadute del 12,6% tra il 2007 e il 2009 e di un ulteriore 8,9% nel 2012-2014. Al di là della crisi causata dal diffondersi del coronavirus, che le ridurrà ulteriormente, è evidente che una riduzione delle emissioni al tasso medio degli ultimi trent’anni non sarà sufficiente a garantire entro il 2030 il raggiungimento del target di riduzione delle emissioni di gas serra del 50% rispetto ai livelli del 1990.