Un sussidio europeo sarebbe non solo uno strumento di assicurazione contro i rischi associati a shock asimmetrici, ma anche uno strumento di solidarietà tra i diversi Stati Membri
Nell’ultimo anno , da diverse fonti istituzionali ed accademiche è emersa la proposta di introdurre un sussidio di disoccupazione europeo, che sia in vigore quantomeno nei paesi dell’Eurozona come possibile strumento di stabilizzazione contro i c.d. shock macroeconomici asimmetrici (quelli, cioè, che colpiscono con diversa intensità i paesi membri dell’Eurozona). Un dispositivo del genere viene visto con favore dai suoi proponenti dato che la definizione di un sussidio di disoccupazione europeo, da un lato, rappresenterebbe un’importante novità nel panorama delle misure anticrisi adottate dall’Unione Europea e, dall’altro, favorirebbe la riapertura di una riflessione profonda sulla necessità o meno di procedere verso una maggiore armonizzazione degli strumenti di protezione sociale a livello europeo.
In questa scheda (che è la versione sintetica di un lavoro di prossima pubblicazione sulla rivista Economia & Lavoro) si discutono alcuni aspetti che si ritengono rilevanti per valutare l’adeguatezza e l’effettiva praticabilità di un sussidio europeo di disoccupazione (EUBS- European Unemployment Benefits Scheme), con riferimento, in particolare, al tema della compatibilità con i Trattati Europei e con gli attuali sussidi nazionali (in Italia, Naspi, Asdi e Diss-Coll).
L’idea di un sussidio di disoccupazione definito a livello comunitario non è nuova; già nel 1975 era stata avanzata dall’ex Commissario Ue francese Robert Marjolin, ma era ben presto scomparsa dal dibattito europeo.
La discussione si è riaperta solo nel giugno 2012 con il noto “Rapporto dei 4 Presidenti” seguito nell’ottobre 2013 dal documento dei 5 Presidenti. Nel settembre del 2014, la European Parliament’s Added Value Unit ha pubblicato il rapporto Cost of Non-Europe, in cui si ribadisce che un regime comune di assicurazione contro la disoccupazione avrebbe costituito un potenziale risparmio di 71 miliardi di euro tra il 2009 e il 2012 per i paesi più colpiti dalla crisi. L’ex commissario europeo responsabile di Employment, Social Affair and Inclusion, László Andor, si è più volte espresso a favore di un sistema di EUBS (European Unemployment Benefit Scheme) e il18 luglio 2014, i ministri dell’ EPSCO (Employment, Social Policy, Health and Consumer Affairs Council) hanno discusso per la prima volta di un possibile sistema di assicurazione contro la disoccupazione a livello europeo e delle sue implicazioni per il bilancio dell’eurozona.
Infine, tale misura è stata anche menzionata nella “relazione dei 5 presidenti” del giugno 2015 e, sempre nel 2015, il Ministro dell’Economia e delle Finanze (MEF) italiano Pier Carlo Padoan ha presentato un piano per l’introduzione di un EUBS (European Unemployment Benefits Scheme) in un discorso tenuto presso l’Università di Lussemburgo, e il MEF ha contestualmente presentato un documento sul tema.
La necessità di un sussidio europeo di disoccupazione nasce senz’altro dall’esigenza di costruire un meccanismo di stabilizzazione per attutire l’impatto degli shock asimmetrici in periodi di crisi economica, ma potrebbe aiutare a rispondere alla necessità di porre rimedio ad un “peccato originale” dell’Unione monetaria: la mancanza di un coordinamento delle politiche fiscali, oltre che sociali, fra gli Stati membri. Le proposte di policy – qui di seguito brevemente elencate – per l’introduzione di uno schema europeo di assicurazione contro il rischio di disoccupazione sono diverse, le principali si possono così differenziare: un modello di EUBS inteso come meccanismo comune d’intervento in situazioni emergenziali, oppure come schema europeo di protezione minima, infine come copertura del rischio entro certi limiti (cfr. MEF, G. Becatti, G. Di Domenico, G. Infantino; “Un assicurazione europea contro la disoccupazione: contesto, analisi e proposte di policy”, Note tematiche, n. 1, gennaio 2015).
Per quanto riguarda il modello di EUBS inteso come meccanismo comune di intervento in situazioni emergenziali, si prevede l’istituzione di un possibile European Re-insurance Fund, alimentato regolarmente da contributi nazionali e con funzioni di supporto ai sistemi assicurativi nazionali. (per un maggiore approfondimento si rimanda a D. Gros, Automatic stabilisers for the Eurozone, ottobre 2013).
Il secondo modello (cfr. S. Dullien, Assessing the stabilization impact of a European Unemployment Benefit Scheme: Is the US model the right point of reference?) invece, prevede un EUBS caratterizzato da: un’assicurazione per tutti i lavoratori UE; un tasso di sostituzione (rapporto fra beneficio e salario) pari al 50 per cento del salario assicurato; una durata massima del beneficio di 12 mesi. La rete di protezione sarebbe finanziata attraverso il trasferimento di contributi sociali pagati dai lavoratori e/o dai datori di lavoro dei singoli Paesi e l’entità della misura sarebbe “di base”, ovvero al di sotto del livello, solitamente, fornito dagli schemi nazionali e limitata a un periodo di tempo breve. I lavoratori beneficerebbero, in tal modo, di una protezione basata su un mix tra quella di base fornita dallo schema europeo e quella, solitamente più elevata nell’importo e nella durata, concessa dalle istituzioni nazionali.
L’ultimo modello di EUBS si concentra, invece, sull’obiettivo della “copertura del rischio entro certi limiti”, che può però essere raggiunto in diversi modi. Non esiste, infatti, un’unica proposta rispetto a questo modello. S. Dullien (Preventing permanent transfers under a European Unemployment Insurance: Can a clawback mechanism be the answer?, giugno 2014) ha proposto un meccanismo europeo di assicurazione contro la disoccupazione che, prevedendo un cap ai sussidi, consentirebbe di preservare l’effetto di stabilizzazione. Uno schema alternativo è stato proposto da M. Beblavy (The European Unemployment Insurance 2.0: the Reinsurance Mechanism, giugno 2014) il quale, ipotizzando una copertura del rischio di disoccupazione del 40 per cento per 12 mesi, stima una spesa complessiva per l’UE (anno 2012) tra lo 0,6 e l’1,0 per cento del PIL con un massimo nel 2009. Infine, nel paper Trésor-Economics (An unemployment insurance scheme for the euro area numero 132, giugno 2014) si ipotizza l’istituzione, mediante un accordo intergovernativo, di un fondo di stabilizzazione che preveda trasferimenti temporanei tra gli stati membri, in base alle varie fasi del ciclo economico. Pertanto l’EUBS sarebbe connesso alla componente ciclica della disoccupazione, il beneficio individuale avrebbe un importo pari al 50 per cento del salario precedente e si finanzierebbe con un contributo sociale europeo riscosso sui salari, in luogo dei preesistenti contributi nazionali, senza aumentare il carico fiscale aggregato dell’UEM.
Rispetto alla capacità dell’EUBS di agire in modo efficace come stabilizzatore automatico si rimanda all’articolo pubblicato sul Menabò da Andrea Brandolini, Francesca Carta e Francesco D’Amuri.
Per quanto concerne l’aspetto della compatibilità del sussidio EUBS con la normativa europea occorre tener conto, innanzitutto, della nota clausola del “no bail-out” di cui all’art. 125 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), che sancisce il divieto di trasferimenti tra amministrazioni – europee e/o nazionali – e Stati. Pertanto, un dispositivo come l’EUBS, dovrebbe funzionare attraverso un fondo di gestione indiretta, in coerenza con quanto espresso dall’art. 156.4 TFUE, in riferimento alle disposizioni di “social security and social protection of workers”. Inoltre sarebbe possibile trovare ulteriori basi giuridiche per il sussidio EUBS negli artt. 136 e 121 del TFUE, interpretando l’EUBS come una misura di fatto complementare a quelle di coordinamento economico nella zona euro, per ammortizzare ricadute negative sugli shock asimmetrici, favorendo la convergenza dei risultati economici e fornendo incentivi alle riforme nazionali. L’EUBS appare compatibile anche con gli artt.151 TFUE e 156 TFUE, per quanto riguarda il rafforzamento del principio di sussidiarietà, e del ruolo della Commissione nel coordinamento delle politiche sociali. Infine, per rafforzare la base giuridica dell’EUBS, possono essere richiamati sia l’art.174.1 TFUE, in riferimento allo sviluppo armonioso della coesione sociale, che l’art. 175.3 TFUE, secondo il quale l’UE può adottare «azioni specifiche», anche al di fuori dei fondi esistenti, ritenuti necessari al fine di coordinare la politiche economiche degli Stati membri. Infine si ricorda l’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che stabilisce che l’Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione anche “in the case of loss of employment”.
Tuttavia, nonostante il grado di compatibilità con i Trattati sembri sufficientemente elevato, permangono non pochi elementi di criticità in ordine alla coerenza fra gli esistenti sistemi nazionali di ammortizzatori sociali e l’eventuale sussidio di disoccupazione europeo. Possibili contraddizioni potrebbero emergere sia con riferimento all’eventuale sovrapposizione della platea dei beneficiari, che al riparto delle competenze fra Commissione e Stati membri. Una cattiva definizione di queste competenze potrebbe infatti comportare due problemi di moral hazard: il primo, ex ante, relativo alla possibilità dei paesi di esser tentati a ridurre l’utilizzo di sussidi nazionali per beneficiare del programma comune; il secondo, ex post, riguarda la tentazione per alcuni governi di utilizzare i fondi non per scopi di stabilizzazione, ma più desiderabili in termini politici. In altre parole sarebbe necessario chiarire se il sussidio europeo interverrebbe successivamente all’esaurimento del periodo di concessione dei sussidi nazionali, per garantire una rete di protezione sociale ai disoccupati che non risultino più coperti dal sistema nazionale, oppure entrambi i sistemi (nazionale e sovranazionale) dovrebbero essere applicati contemporaneamente. Secondo quanto è possibile analizzare, in particolare ipotizzando un modello di governance simile a quello degli altri fondi europei (ad esempio lo European Union Solidarity Fund) si potrebbe ipotizzare che, un ricorso all’EUBS successivo all’esaurimento delle risorse previste per Naspi, Asdi e Diss-Coll, potrebbe essere maggiormente compatibile con i principi di sussidiarietà e proporzionalità.
Risulta evidente, però, che essendoci modelli differenti di EUBS, esistono anche specifiche problematiche giuridiche ed amministrative che sarebbe necessario approfondire in relazione ad un’elaborazione più puntuale della policy da mettere in campo. Tuttavia il dato più interessante che emerge da un’analisi giuridica di un sistema di EUBS è che potrebbe esso rappresentare, non solo uno stabilizzatore macroeconomico, ma anche uno strumento importante per stimolare un reale coordinamento delle politiche in materia di sicurezza sociale dei paesi dell’eurozona.
Articolo pubblicato dal Menabò di Eticaeconomia