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Se non ora, quando? Un autunno caldo per clima e lavoro

Dal Forum di Sbilanciamoci! l’Alleanza Clima Lavoro lancia un messaggio chiaro e unitario per salvare il Pianeta (e il nostro Paese) dal collasso sociale e ambientale: ribaltare la narrazione egemone sulla transizione ecologica e praticare la convergenza delle mobilitazioni sul clima e l’occupazione.

Contro-narrazione e convergenza. Sono queste le due parole chiave che potrebbero riassumere il messaggio dell’Alleanza Clima Lavoro in occasione del Forum annuale di Sbilanciamoci! “L’Altra Cernobbio”, organizzato tra Como e Cernobbio dal 6 all’8 settembre scorsi e intitolato “È l’unica che abbiamo. Fermiamo le guerre e il collasso sociale e ambientale” (tutti i materiali e i video delle sessioni del Forum sono disponibili qui).

Le riflessioni e le proposte per arrestare la crisi climatica e socioeconomica in atto sono state al centro, sabato 7 settembre presso lo Spazio Cinema Gloria di Como, della sessione “Tutt@ al lavoro per la giusta transizione” promossa dall’Alleanza Clima Lavoro con gli interventi di alcuni rappresentanti dei suoi Comitati di indirizzo e scientifico. Introdotta e moderata da Anna Donati, coordinatrice dell’area “Mobilità sostenibile” di Kyoto Club, la sessione ha visto alternarsi sul palco, di fronte a cento persone, Tina Balì, presidente della Fondazione Metes, Lorenzo Cresti, ricercatore della Campagna italiana sui lavori climatici, Monica Di Sisto, attivista di Sbilanciamoci! e vice-presidente di FairWatch, Monica Frassoni, presidente di EUASE-European Alliance to Save Energy, Enrico Giovannini, presidente del Comitato scientifico dell’ASviS-Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile e Stefano Malorgio, segretario generale della FILT-CGIL.

Il dibattito si è sviluppato a partire dagli interrogativi sollevati in apertura da Anna Donati: come far avanzare, in una fase storica così drammatica e complessa come quella attuale, l’impegno per una giusta transizione ambientale e sociale? Quali leve giuridiche, economiche, politiche, culturali attivare per coniugare le ragioni del clima e del lavoro nel contesto di una transizione che non lasci indietro nessuno? E come evitare la trappola di una “via autoritaria alla transizione” calata dall’alto e priva di una piattaforma di ancoraggio fatta di consenso e alleanze sociali in grado di sostenerla, peraltro di fronte all’affermarsi di un senso comune ostile alimentato da una parte rilevante dei media mainstream e della politica? Dal confronto tra le relatrici e i relatori che si sono susseguiti nel corso della sessione sono emersi forti elementi di condivisione. Innanzitutto, come ha chiarito Monica Di Sisto, non è possibile parlare di crisi climatica e ambientale senza riportare le sue cause alle fondamenta economiche, finanziarie e politiche su cui si regge l’ordine della globalizzazione neoliberista.

Dal globale al locale, i cambiamenti climatici causati da un modello di produzione, scambio e consumo predatorio e ancora largamente dipendente dalle fonti fossili, basato sulla riproduzione delle diseguaglianze, sul sistematico sfruttamento delle risorse e delle persone e su un sistema di regole che antepone il profitto e la competizione al benessere e alla cooperazione, stanno mettendo a repentaglio la salute del Pianeta e di chi lo abita. L’aggravarsi delle condizioni climatiche ed eco-sistemiche, le guerre e l’aumento indiscriminato delle spese militari, le crescenti tensioni geopolitiche, sono tutti segnali di un ordine che sta implodendo sotto il peso delle sue stesse iniquità e contraddizioni. In questo scenario di “policrisi”, la transizione ecologica scivola in secondo piano, diventando bersaglio del fuoco incrociato – orientato dalle lobbies del fossile – tra realpolitik e speculazione elettorale, mentre si fa egemone in Italia e altrove la narrazione secondo cui essa rappresenti un “bagno di sangue” per le lavoratrici e i lavoratori.

Come hanno ricordato Anna Donati e Tina Balì sulla base dell’esperienza dell’Alleanza Clima Lavoro, il mondo sindacale e quello ambientalista si trovano così, uniti dalla stessa parte, di fronte alla sfida di sviluppare una contro-narrazione capace di convincere che la transizione – se giusta, se ben governata – sia in realtà un’opportunità non solo per contrastare la crisi climatica e salvaguardare l’ambiente e il territorio, ma anche per creare lavoro, per assicurare diritti, per proteggere la nostra salute. Dal punto di vista del sindacato, ha aggiunto Balì rifacendosi all’impegno della FLAI-CGIL, questo implica un salto di qualità: la contrattazione salariale deve inserirsi ora in un orizzonte di pensiero e azione più ampio, che guardi al modo in cui si produce e che coinvolga le lavoratrici e i lavoratori nelle aziende: nell’ultimo rinnovo del contratto dell’industria alimentare, insieme alla riduzione dell’orario di lavoro, è centrale l’elemento della “contrattazione alla sostenibilità” per legare i premi di produttività alle emissioni.

Enrico Giovannini ha sottolineato l’urgenza di agire in vista di una stagione decisiva per la transizione ecologica, esortando le organizzazioni sindacali e ambientaliste a dotarsi di strumenti di analisi e di mobilitazione all’altezza di un contesto sempre più complesso, a tutti i livelli. Ad esempio, non è stata colta la portata della sentenza della Corte Costituzionale di giugno scorso sul decreto Priolo con la quale si sancisce, sulla base degli articoli 9 e 41 della Carta modificati nel 2022, che la difesa dell’ambiente e della salute sono valori assoluti e prioritari, anche rispetto all’attività economica e all’interesse delle imprese. La portata della sentenza è storica anche perché si rivolge a tutti gli impianti già costruiti, mentre i nuovi insediamenti dovrebbero essere realizzati secondo regole che privilegino appunto la protezione dell’ambiente e della salute. Allo stesso modo, ai fini del dispiegamento di un’azione incisiva per il clima e per il lavoro nei prossimi mesi, non sono state comprese le implicazioni e le prospettive legate all’applicazione del dettato della Nature Restoration Law europea, secondo cui i Comuni oltre i 50mila abitanti devono porre termine entro il 2030 al consumo di suolo.

Da sinistra a destra: Monica Frassoni, Stefano Malorgio, Tina Balì, Anna Donati, Monica Di Sisto, Lorenzo Cresti, Enrico Giovannini

Allargando lo sguardo sull’Europa, Monica Frassoni ha affrontato il nodo del post-elezioni richiamando la necessità di difendere gli obiettivi, gli impegni e la tabella di marcia sulle politiche per la transizione contenute nel Green Deal, oggi quanto mai in discussione. Per fare ciò occorre, dall’alto, spaccare il fronte conservatore a Bruxelles e a Strasburgo e rilanciare, dal basso, le azioni di pressione e di mobilitazione sul clima e la giusta transizione che, animate soprattutto dai giovani, nella scorsa legislatura avevano contribuito in modo determinante all’apertura dell’agenda politica su questi temi, a livello sia comunitario sia nazionale. Al contempo, bisogna opporsi con forza al nucleare e puntare sullo sviluppo dei settori green e high tech, in particolare sul fronte delle rinnovabili e dell’efficientamento energetico, in cui l’Europa gioca e può giocare anche nel futuro un ruolo industriale di primo piano nel mondo.

Di politiche industriali per la transizione ha parlato anche Lorenzo Cresti, concentrandosi sul tema della mobilità: da un lato, la posizione passiva e anacronistica ben rappresentata dalle recentissime dichiarazioni del ministro Adolfo Urso – per tacere di quelle del suo collega Matteo Salvini, ripetute ossessivamente fin dal suo insediamento – sulla richiesta del Governo italiano a Bruxelles di posticipare il phase out dei motori endotermici oltre il 2035, pena l’estinzione dell’automotive italiano. Dall’altro, la storia di una crisi ultraventennale del settore, insieme a una mole di studi ed evidenze che mostrano come la caduta dell’industria automobilistica nel nostro Paese poco o nulla abbia a che vedere con il passaggio all’elettrico e moltissimo invece con l’assenza della politica. Una consapevolezza, peraltro, che sembra progressivamente maturare anche in ambito confindustriale, almeno a giudicare dagli interventi di un importante convegno organizzato da Federmeccanica e Anfia a luglio scorso.

Il punto è che se il pubblico riacquista ruolo e prerogative che negli anni sono state delegate al mercato, se lo Stato torna a fare vere politiche industriali, sociali e di formazione mettendo in campo risorse e strumenti adeguati, la transizione può frenare la desertificazione industriale e occupazionale a cui stiamo assistendo e creare nuovi posti di lavoro su produzioni socialmente utili e ad alto valore aggiunto. Un esempio su tutti di ciò che potrebbe essere, ma che invece non è, viene dalle grandi potenzialità di attivazione di lavoro nel campo della produzione di autobus non inquinanti per il trasporto pubblico locale, oggetto di un dossier della Campagna italiana sui lavori climatici portata avanti da Fridays for Future. Eppure oggi, nonostante la disponibilità degli ingenti fondi del PNRR per il rinnovo delle flotte del TPL, l’unica e ultima fabbrica pubblica di bus nel nostro paese, Industria Italiana Autobus, viene privatizzata nell’indifferenza generale: Leonardo cede la sua partecipazione per dedicarsi al business delle armi, e gli autobus continueremo a importarli da Polonia e Turchia.

Il tema del trasporto pubblico è stato ripreso anche da Stefano Malorgio, che ha inquadrato il ruolo che il sindacato è chiamato ad assumere sul fronte della mobilità sostenibile, sia tutelando gli interessi di chi lavora nel comparto senza cadere nella “trappola del corporativismo”, sia adottando un approccio capace di tenere insieme i bisogni di chi viaggia, l’abbattimento delle emissioni e la salvaguardia del territorio. Il comparto appare tuttavia in una situazione critica. Da una parte, l’impatto del cambiamento climatico sulle infrastrutture e sui mezzi è sempre più pesante, con l’alternarsi di caldo torrido e alluvioni in un’estate nera per il trasporto. Dall’altra, vi è la pressione derivante dall’aumento continuo delle persone che si muovono nel Paese. Di fronte a tutto ciò, il Fondo nazionale trasporti è strutturalmente sotto-finanziato e mancano visione e investimenti per la mobilità pubblica, collettiva e condivisa capaci di fornire un’alternativa valida allo spostamento delle persone con veicoli privati. Senza contare gli effetti nefasti dell’autonomia differenziata su porti, logistica e aeroporti, al pari di trasporto integrato e infrastrutture, che hanno bisogno di una programmazione nazionale molto forte e non di un sistema che genera concorrenza e divisione tra i territori.

Occorre insomma prepararsi in vista di un autunno che si preannuncia particolarmente caldo, non solo per le temperature. Dalle organizzazioni sindacali e ambientaliste dell’Alleanza Clima Lavoro arriva un appello forte per la convergenza delle mobilitazioni e delle vertenze per il clima e il lavoro: se non ora, quando?