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Tutti i debiti del mondo

“… Le banche hanno prestato soldi come se non ci fosse un futuro, ma ora il futuro è arrivato”… (Iain Macwhirter, 2008). Qualche fatto e alcuni dati su quel che sta arrivando

Nelle ultime settimane poteva per alcuni versi sembrare che la crisi si stesse fermando: non si leggevano più notizie di nuovi fallimenti di banche in giro per il mondo, mentre le borse avevano preso ad oscillare in su e in giù, ma senza crollare ulteriormente. La scena ora volge di nuovo al peggio: in particolare, i dati recenti per gli Stati Uniti mostrano un progressivo e rilevante deterioramento dell’economia “reale”. In ottobre la produzione industriale del paese ha registrato un forte calo, mentre lo stesso è avvenuto per le vendite al dettaglio, con diminuzioni del volume d’affari che sono arrivate, nel caso di qualche catena distributiva, sino al 28% ( Rosenblom, 2008) e mentre i livelli di disoccupazione continuano a crescere vistosamente –nei soli mesi di settembre e di ottobre si tratta di più di 500.000 posti di lavoro persi.

Nei fatti, più in generale, alla crisi finanziaria che tende ad aggravarsi si va aggiungendo nel mondo e in maniera accelerata quella economica, mentre nella stessa area finanziaria, alle difficoltà delle banche, si vanno sommando quelle di molti stati sovrani.

Sul campo finanziario giacciono almeno tre bombe a scoppio ritardato; le ricordiamo:

1) intanto quella delle carte di credito – le banche statunitensi avrebbero un’esposizione di circa 950 miliardi di dollari per crediti concessi attraverso il meccanismo delle carte (Silver-Greenberg, 2008) e l’indicazione è ormai quella che una parte rilevante di tali crediti non saranno mai ripagati;

2) quella dei ritiri di denaro da parte degli investitori degli hedge funds – i risultati economici di tali strutture non sono certo più quelli di qualche tempo fa e per un’industria che è riuscita a crescere sino a raccogliere 2000 miliardi di dollari, ora si profila l’incubo dei riscatti massicci da parte di investitori infuriati. Così, secondo alcune stime, il business potrebbe complessivamente dimezzarsi come dimensioni nei prossimi mesi (Financial Times, 16 ottobre 2008), mentre i fondi, per restituire i soldi ai loro clienti, sono ora costretti a vendere in tutta fretta i titoli in loro possesso, ciò che deprime i corsi della borsa e aumenta ancora, nello stesso tempo, le perdite degli stessi fondi;

3) quella, infine, della prossima scadenza di un importo rilevante di prestiti concessi a suo tempo e sotto varie forme alle imprese industriali e finanziarie. Molte società, grazie anche alla stretta creditizia in atto, oltre che ad un deterioramento in atto delle prospettive di molti business, non riusciranno a restituire i prestiti ricevuti dal settore finanziario, o, almeno, a rinnovarli. A quanti fallimenti di imprese si assisterà nei prossimi 14 mesi? Tra l’altro, Il Sole 24 Ore ricorda il caso delle stesse banche italiane che si trovano entro la fine del 2009 di fronte al problema della scadenza di circa 150miliardi di euro di obbligazioni (Il Sole 24 Ore, 2008).

Ma, al di là dei tre casi appena citati (sui quali si veda: Comito su www.finansol.it), negli ultimi giorni stanno arrivando notizie ancora più fosche da molti fronti.

Nei primi mesi della crisi si stimava che le perdite complessive delle banche, per effetto delle difficoltà legate al settore del subprime, si sarebbero aggirate intorno ai 100-200 miliardi di dollari; poi qualcuno ha avanzato la cifra di 500 miliardi e successivamente il Fondo Monetario Internazionale ha parlato di mille miliardi; un paio di settimane fa la Banca d’Inghilterra stimava ormai una cifra complessiva di 2800 miliardi, ma, anche in relazione alle notizie che riportiamo più avanti, si può legittimamente temere delle perdite totali ancora maggiori, sino anche ai 4000-5000 miliardi. Si tratta di cifre che ormai la stessa fantasia fa fatica a immaginare.

Come sottolinea Macwhirter sul New Statesman (Macwhirter, 2008, a), negli ultimi anni, mentre le banche americane prestavano soldi senza criterio al settore immobiliare, quelle europee, oltre ad assorbire una parte consistente della spazzatura statunitense, hanno fatto credito per circa 1,5 trilioni di dollari ai paesi dell’Europa dell’Est e non si sa quanto di questi prestiti potrà tornare prima o poi a casa. Comunque vari paesi dell’area, dall’Ungheria, all’Ucraina, alla Romania, alla Bielorussia, agli stati baltici -questi ultimi paesi temono di finire come l’Islanda; si veda in proposito Truc, 2008-, si trovano in condizioni finanziarie spaventose. Il Fondo Monetario sta cercando di intervenire ma, da una parte, le sue risorse sono limitate, dall’altra esso sta cercando di imporre a tali paesi le vecchie condizioni capestro del Washington Consensus. Appare particolarmente esposta verso l’area l’Austria, che avrebbe concesso prestiti pari a quasi il 100% del suo pil; nelle scorse settimane lo stato austriaco ha deciso di andare in soccorso del sistema bancario del paese con uno stanziamento di 100 miliardi di euro, ma, nel frattempo, ha dovuto peraltro bloccare una imminente emissione di titoli di stato sul mercato per paura che essa non fosse sottoscritta, il che sarebbe stato gravissimo.

Nel frattempo, apprendiamo che la Spagna ha prestato negli scorsi anni circa 350 miliardi di dollari all’America Latina, ed in particolare all’Argentina.

Intanto gli Stati Uniti corrono, con rilevanti stanziamenti, in soccorso di paesi chiave dal punto di vista politico, quali il Brasile e la Corea del sud, mentre uno studioso come Roubini, che sino a questo momento ha previsto con molta e quasi incredibile accuratezza gli sviluppi della situazione, afferma che il paese dovrà spendere ancora molto per parare i colpi della crisi (Polidori, 2008) – qualcuno prevede che ci vorranno ancora dai 300 ai 500 miliardi di dollari-; in effetti, Obama promette di stanziare qualche centinaia di miliardi di dollari ulteriori per risollevare l’economia. Comunque, il ministero del tesoro programma di emettere sul mercato nuovi titoli di stato per 550 miliardi di dollari entro la fine dell’anno ed altri 368 miliardi nei primi tre mesi del 2009 (Hilsenrath, 2008) e gli economisti prevedono che entro la fine dell’anno fiscale, il settembre 2009, saranno collocati titoli per un importo globale di almeno 1,5 trilioni di dollari. Buona fortuna; cosa è stato promesso in cambio a Cina e Giappone?

La Gran Bretagna si è invece specializzata verso l’area asiatica e anche in questo caso sono dolori; molti paesi della regione, pure di recente in forte crescita economica, dal Pakistan al Kazakhstan, soffrono molto per la crisi.

A proposito dell’Inghilterra, va nel frattempo sottolineato che, come è noto, prima è stata nazionalizzata la Northern Rock, poi la Bradford e Bingley, mentre ora capitali pubblici stanno entrando in diverse tra le più grandi banche del paese. Ma sembra che i funzionari statali e i loro consulenti, guardando dentro ai bilanci delle istituzioni finanziarie, stiano ora scoprendo delle sorprese non proprio positive; qualcuno suggerisce che per coprire i giganteschi buchi del sistema finanziario ombra messo in piedi a suo tempo da tali istituzioni – la Royal Bank of Scotland da sola sembra avere un buco di bilancio colossale (Macwhirter, 2008, b) – si dovrà, secondo una stima ottimistica, almeno raddoppiare il livello del debito pubblico del paese.

E quanto stanno perdendo i fondi pensione anglosassoni? E i pensionati di tali paesi di quanto vedranno ridotti i loro introiti mensili?

Queste notizie ci portano a considerare che, in sostanza, il sistema finanziario occidentale si trova puramente e semplicemente vicino al collasso (Macwhirter I., 2008, a). D’altra parte, nello stesso tempo, su Le Monde di qualche giorno fa, un economista francese (Baverez, 2008) sottolineava come, alla fine, nessuno possa escludere che anche degli stati sviluppati e le loro banche centrali possano fare bancarotta.

In conclusione, di fronte alle dimensioni del disastro, appare quanto mai urgente che i vari meeting previsti nelle prossime settimane a livello internazionale abbiano il coraggio di trovare delle vie d’uscita adeguate –cosa di cui si può peraltro dubitare-, che non potrebbero non portare ad una profonda ristrutturazione delle cose del mondo a livello economico, sociale, politico. Ne va in ogni caso degli stessi destini del mondo.

Testi citati nell’articolo

-Baverez N., Une bulle peut en cacher une autre, Le Monde, 5 novembre 2008

-Comito V., Bombe a scoppio ritardato, www.finansol.it, 23 ottobre 2008

-Hilsenrat J., U.S. debt could tie Obama’s hands, The Wall Street Journal, 6 novembre 2008

-Il Sole 24 Ore, La grande crisi, domande e risposte, Serie “approfondimenti”, ottobre 2008

-Macwhirter I., Europe’s looming crisis, Newstatesman, 30 ottobre 2008, a

-Macwhirter I., The mad world of shadow bankers, Newstatesman, 16 ottobre 2008, b

-Macwhirter I., What happens when the money runs out?, Newstatesman, 9 ottobre 2008, c

-Polidori E., Intervista a N. Roubini, La Repubblica, 6 novembre 2008

-Rosenbloom S., Retailers report a sales collapse, The New York Times, 7 novembre 2008

-Silver-Greenberg J., The credit-card blowup ahead, Business Week, 20 ottobre 2008

-The Financial Times, 16 ottobre 2008

-Truc O., L’Estonie, la Lettonie et la Lituanie redoutent une faillite à l’islandaise, Le Monde, 6 novembre 2008