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Quei banchieri tutti Borsa e opere di bene

Chiese piene attorno alla City. Ma non è una conversione. Le cronache dei misfatti intanto continuano. Il caso Goldman Sachs: superbonus e beneficienza

“…si sta creando un abisso crescente e pericoloso tra Wall Street e Main Street – un grande salvataggio per la prima, assegni di disoccupazione per la seconda; profitti elevati e bonus giganteschi per la prima, perdite di posti di lavoro e riduzione di salari per la seconda; proprietà immobiliari ancora più favolose per la prima, insolvenza e forzato abbandono delle loro abitazioni per la seconda…” (R. Reich)

Le vicende finanziarie del mondo stanno prendendo, per alcuni versi, delle strade veramente paradossali.

Apprendiamo così, da un articolo recente del Financial Times (Jenkins, 2009), che i prelati che esercitano il loro ministero nelle chiese collocate nel distretto finanziario londinese, a partire dalla cattedrale di S. Paolo, hanno visto negli ultimi mesi, anche con una qualche loro sorpresa, aumentare fortemente il numero dei fedeli che frequentano con assiduità le funzioni religiose. Si tratta di una prova evidente del fatto che alcuni dei banchieri britannici che hanno contribuito allo scatenarsi della crisi degli ultimi due anni e più stanno ora pregando per la salvezza della loro anima o almeno, afferma il quotidiano economico londinese, stanno provando a capire meglio quale sia il loro posto nel mondo. Uno degli officianti afferma di registrare un crescente desiderio da parte dei dipendenti della City di guardare agli aspetti morali della loro attività; la gente vuole parlare della questione, porre delle domande su di essa.

Certo, alcuni sembrano venire a pregare prosaicamente soprattutto per chiedere a dio di mantenere il loro posto di lavoro, altri si interrogano invece, più in generale, sul perché il capitalismo finanziario sia diventato sinonimo di presa di rischi pazzesca, di titoli tossici scaricati quando possibile sulle controparti, di derivati complessi ed incomprensibili, di bonus miliardari per i capi.

Intanto S. Green, presidente della HSBS, una delle più grandi banche del mondo, nonché – oh sorpresa! – ministro della chiesa d’Inghilterra, in un suo libro uscito di recente presenta un nuovo codice morale ad uso dei banchieri. K. Costa, tra l’altro presidente di Lazard International, ma anche responsabile di un programma che mira a portare alla chiesa i miscredenti e i non praticanti – nuova sorpresa! -, ha affermato di recente che il capitalismo ha fatto cadere i vincoli morali che manteneva un tempo.

Una interpretazione malevola del fenomeno potrebbe suggerire che, invece di contribuire a cambiare le regole che governano il settore, anzi cercando in tutti i modi di ostacolare il necessario mutamento, molti banchieri britannici cerchino invece di cavarsela con l’appello all’etica.

Appare interessante peraltro rilevare, come fa il giornale, che lo stesso fenomeno di aumento recente del fervore religioso degli addetti ai lavori non si è manifestato invece negli Stati Uniti e nell’Europa continentale, dove tutto appare, almeno da questo punto di vista, abbastanza tranquillo. Forse i comportamenti etici dei banchieri di tali aree geografiche sono già irreprensibili o, forse, essi passano il loro grande fervore religioso, altrettanto forte che in Gran Bretagna, sotto maggior silenzio mediatico, essendo più inclini alla riservatezza, del resto una caratteristica professionale importante dei bravi banchieri.

Misteri della finanza, dell’etica e della fede.

Intanto i banchieri statunitensi giocano e vincono su due tavoli

A proposito di comportamenti etici, i giornali riportano anche l’informazione (si veda ad esempio il lungo articolo di G. Morgenson e di L. Story sul New York Times del 24 dicembre 2009) relativa ad alcuni meccanismi con cui diverse banche d’affari statunitensi sono riuscite a fare molti soldi nelle prime fasi della crisi e che appaiono, almeno moralmente, ma forse anche dal punto di vista legale, non proprio raccomandabili. Riporta il quotidiano statunitense che diverse banche avevano messo a punto dei tipi di titoli molto complessi, legati all’andamento del mercato immobiliare, che avrebbero dovuto proteggere gli acquirenti degli stessi da eventuali cadute del mercato; molti fondi pensione e compagnie di assicurazione li avevano quindi acquistati con fiducia. Ma, mentre emettevano tali titoli, contemporaneamente le banche scommettevano sul mercato contro di essi, ipotizzando che non sarebbero andati a buon fine, come poi è effettivamente successo in molti casi.

Così le banche hanno guadagnato due volte, prima con l’invenzione e la vendita dei titoli e poi con la scommessa contro di essi andata a segno; chi ci ha perso sono soltanto i loro clienti.

I fatti sono ora in corso di analisi da parte del Congresso, della SEC e della Financial Industry Regulatory Authorithy (FIRA), mentre aspettiamo ancora che i responsabili di tali operazioni si mettano a frequentare più assiduamente le chiese presenti nell’area di Wall Street, che sono abbastanza numerose ed accoglienti.

Superbonus e beneficenza

Comunque la Goldman Sachs, una delle banche coinvolte nelle indagini e che nei soli primi nove mesi del 2009 ha messo da parte 16,7 miliardi di dollari da distribuire come bonus ai suoi dirigenti – peraltro tra la riprovazione universale -, sta preparandosi a incrementare le dimensioni di un programma già esistente e che tende ad obbligare i suoi stessi dirigenti a donare una parte dei loro guadagni in beneficenza. Ci informa nei dettagli sul tema un altro articolo recente del New York Times (Story, 2010). La stessa banca sta aumentando i fondi da essa versati direttamente alla sua fondazione per le opere di carità. Non viene peraltro richiesta ai dirigenti dell’istituto una maggiore assiduità di frequentazione delle chiese di appartenenza, che sembra ancora in generale piuttosto scarsa. I quadri della banca non sembrano in effetti avere inquietudini interiori di tipo particolare: siamo informati dallo stesso articolo citato, infatti, che i primi 1000 addetti della stessa banca hanno guadagnato almeno un milione di dollari ciascuno nel 2008 e che, comunque, se consideriamo tutti i dipendenti dell’istituto, compresi le segretarie e gli uscieri, essi hanno ottenuto una retribuzione media intorno ai 700.000 dollari ciascuno.

Nel frattempo, in Gran Bretagna come negli Stati Uniti, sono riprese tutte o quasi tutte le pratiche della finanza che hanno portato a suo tempo al disastro che conosciamo. Presa di rischi eccessivi, bonus, nuovi strumenti finanziari, tornano all’ordine del giorno. In Gran Bretagna (Treanor, 2009), una grande banca, la Barclays – tra l’altro, una confraternita fatta di centinaia di impiegati dello stesso istituto ha organizzato una grande funzione di Natale, sempre nella cattedrale di S. Paolo – ha deciso di aumentare gli stipendi del personale delle fasce medie ed alte dell’organizzazione; si tratta di circa 23.000 persone, che riceveranno una retribuzione maggiorata, in alcuni casi sino al 150%, rispetto a quella precedente, lasciando invece da parte gli addetti delle fasce basse della banca, che sono peraltro molto più numerosi.

I salvati picchiano i salvatori

Ma merita a questo punto di sottolineare un altro aspetto, a nostro parere preoccupante, delle recenti vicende legate alla crisi finanziaria.

Avevamo già ricordato in un precedente articolo su questo stesso sito – datato 6 novembre 2009 – come lo stato sia intervenuto massicciamente in vari paesi per salvare dal disastro il settore finanziario e, più in generale, per sostenere delle economie in grandi difficoltà e come invece esso abbia del tutto rinunciato ad esercitare contemporaneamente una qualche funzione di orientamento e di governo del settore secondo un progetto di lungo termine; esso si è tranquillamente adeguato ad esercitare un ruolo largamente subordinato alla volontà del mondo finanziario ed economico, scusandosi quasi per il disturbo arrecato.

Ma la situazione appare ormai oggi anche grottescamente peggiore di quanto si potesse pensare. Riprendiamo ad esempio, a questo proposito, alcuni dei concetti avanzati in proposito di recente da Jean-Paul Fitoussi, in particolare in un articolo apparso su Le Monde e su Repubblica (Fitoussi, 2010).

Da premettere che i mercati finanziari e le agenzie di rating, oltre alla Commissione Europea, stanno rimproverando ai governi di essere troppo dispendiosi. Avevamo già segnalato, sempre nel testo apparso su questo sito il 6 novembre 2009, quanto a questo proposito fosse inaccettabile la posizione della Commissione che ha accusato 20 paesi, sui 27 facenti parte dell’Unione, di deficit eccessivo, aprendo le procedure relative, quando i commissari sanno bene che all’origine di tali deficit, almeno in molti casi, stanno la crisi e le spese sostenute per fronteggiarla.

Ma il massimo del cinismo viene raggiunto, afferma a ragione Fitoussi, quando a brandire l’accusa e a minacciare una riduzione della notazione a diversi stati sono quelle agenzie di rating che hanno negli ultimi anni mietuto tante vittime tra i risparmiatori ed anche tra molte banche ed altre istituzioni finanziarie, assicurando con i loro giudizi molto positivi della bontà di tanti titoli emessi da istituzioni private e che si sono poi rivelati dei disastri. E i risparmiatori, i media, gli stessi mercati li prendono ancora sul serio ora che esse lanciano i loro strali contro diversi stati, costretti ad indebitarsi pesantemente anche a causa loro. A seguire i loro giudizi, gli stessi stati dovrebbero ora condurre delle politiche di severa austerità, pregiudicando probabilmente in questo modo di nuovo la situazione economica e finanziaria del mondo. Gli sforzi fatti dai governi per evitare che il fervido attivismo dei mercati trascinasse nel baratro l’economia, afferma l’autore, appaiono ora, per un rovesciamento incredibile di prospettive, come delle debolezze imperdonabili nei confronti delle leggi della contabilità.

Le conclusioni della storia sono almeno due: la prima è quella che i governi hanno avuto certamente torto nel non far niente per mettere sotto migliore controllo delle agenzie di rating che si sono mostrate del tutto incompetenti e, peggio, capaci di danneggiare seriamente l’economia e la finanza; la seconda è quella che i contribuenti forse pagheranno due volte per le vicende della crisi, la prima per il salvataggio dei mercati finanziari, che è costato molto denaro degli stessi contribuenti, la seconda per i maggiori costi che graveranno sui bilanci pubblici in termini di interessi passivi, dal momento che il debito contratto dai vari stati per far fronte alla crisi è ora considerato di cattiva qualità dai mercati e quindi esso diventerà più costoso. Con l’ulteriore conseguenza che gli stessi stati dovranno inoltre ridurre le spese pubbliche e quelle sociali, cosa che peraltro comincia qua e la a registrarsi.

La politica e le banche statunitensi

Un ultimo caso da segnalare a proposito delle banche riguarda di nuovo gli Stati Uniti. I nuovi progetti sul controllo del settore bancario, che avanzano molto lentamente in Senato e alla Camera dei Rappresentanti, presentano dei tratti per lo meno molto discutibili. Così, il regolamento su cui si sta lavorando alla Camera (Reich, 2010) autorizza le banche del sistema della riserva federale a fornire sino a 4.000 miliardi di dollari in fondi di emergenza nel caso in cui Wall Street andasse di nuovo in crisi – si tratta, tra l’altro, di una somma pari a più del doppio di quella sborsata dalla stessa riserva federale nel caso della crisi in atto. Il progetto autorizza inoltre il governo, nel caso di difficoltà bancarie, a garantire i debiti delle società finanziarie. Si fornisce così una gigantesca polizza di assicurazione agli investitori e alle stesse banche; il tutto, senza alcuna sostanziale contropartita.

Nel frattempo, tra il novembre del 2008 e il novembre del 2009 Wall Street ha effettuato donazioni per 42 milioni di dollari a senatori e deputati; si tratta di somme in gran parte indirizzate ai membri delle commissioni parlamentari che si occupano delle questioni bancarie. Tra il gennaio e il settembre del 2009, inoltre, sempre Wall Street ha speso 344 milioni di dollari in attività di lobbying.

Contemporaneamente, però, i banchieri hanno dichiarato il loro stupore e la loro contrarietà nell’apprendere quanto erano stati intransigenti i loro lobbisti nell’opporsi a quelle parti della progettata riforma finanziaria che risultava loro poco gradita. Anzi, gli stessi banchieri hanno dichiarato che vi era stato uno scarso collegamento tra le loro intenzioni e le azioni dei lobbisti. Comprendiamo il loro disappunto e il loro sincero dolore per l’accaduto.

Testi citati nell’articolo

Fitoussi J.-P., Après la crise, un conte parfaitement immoral, le Monde, 5 gennaio 2010, versione it. Ecco come archiviare l’immoralità, Repubblica, 2 gennaio 2010

Jenkins P., Faith and finance: of greed and creed, www.ft.com, 23 dicembre 2009

Morgenson G., L. Story, Banks bundled bad debt, bet against it and won, The New York Times, 24 dicembre 2009

Reich R., Why Obama must take on Wall Street, www.ft.com, 12 gennaio 2010

Story L., Goldman Sachs weights requirement for charity, The New York Times, 11 gennaio 2010

www.sbilanciamoci.info