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“Nessuno si salva da solo”: l’America Latina e il Covid-19

L’epidemia di Covid-19 tocca anche l’America Latina: vittima di una nuova ondata di neoliberilazzazione, il continente appare impreparato ad affrontarla. Uno sguardo su Argentina, Brasile e Cile svela la loro vulnerabilità e le scelte sbagliate.

Con pañuelos – fazzoletti bianchi – esposti da finestre e balconi, piuttosto che con lo storico corteo lungo Avenida de Mayo a Buenos Aires, si è ricordato quest’anno il 24 marzo. Una data importante che si celebra ogni anno in Argentina per non dimenticare il colpo di Stato messo in atto nella notte del 24 marzo del 1976, quando ebbe inizio la feroce didattura di Videla. Si è celebrato dai balconi e dalle finestre perchè Covid-19 prende piede anche in America latina.

In Argentina – circa 44 milioni di abitanti – sono stati segnalati ad oggi (26 marzo) 502 casi di contagio e 8 decessi; in Brasile – circa 209 milioni di abitanti – 2915 contagi e 77 decessi; in Cile, su 18 milioni di abitanti, 1306 casi e 4 decessi. Il Brasile è lo Stato di gran lunga più colpito dell’area. Importanti sono anche le differenze fra i tre maggiori paesi dell’area in termini di accesso e qualità delle strutture socio-sanitarie. Secondo le statistiche della Banca Mondiale (2014), il numero di posti letto ospedalieri disponibili ogni 1000 abitanti varia molto: Cile e Brasile hanno 2,2 posti letto ogni 1000 abitanti, mentre l’Argentina ne ha oltre il doppio – ovvero 5, più dell’Italia che ne contava al 2012 3,4, e leggermente meno della media europea di 5,6.

Grandi eterogeneità riguardano anche il numero di medici ogni 1000 abitanti: in Argentina 4, in Brasile 2,1 e in Cile 1,1. Si tratta di differenze rilevanti che si renderanno ancora più evidenti nei prossimi mesi. Al di là del contesto sanitario disponibile per affrontare la pandemia, ciò che è chiaro è che importanti fette della popolazione locale in Argentina, Brasile e Cile non hanno le condizioni abitative e materiali per affrontare l’isolamento sociale necessario per evitare la trasmissione di Covid-19. Guardando le statistiche del 2014 della Banca Interamericana di Sviluppo, anche se i tre paesi hanno realtà molto diverse, la quota di popolazione urbana che vive in quartieri informali sul totale della popolazione urbana totale – indicatore diretto di vulnerabilità – raggiunge il 9% in Cile, il 17% in Argentina e il 22% in Brasile.

Le reazioni dei governi rispetto alla diffusione del virus e alle potenziali misure da adottare sono state diverse. Il governo argentino guidato dai peronisti Alberto Fernández e Cristina Kirchner ha implementato misure espansive di tipo keynesiano, in particolare sono stati lanciati incentivi per circa 10 miliardi di euro (2% del Pil) finalizzati a: (i) aumentare il reddito dei pensionati (in media 30 euro) e istituire un’assicurazione contro la disoccupazione per circa 2 milioni di lavoratori autonomi per tutta la durata della crisi; (ii) finanziare le piccole e medie imprese con prestiti agevolati per il capitale circolante e posticipare la scadenza delle carte di credito; (iii) concedere alle aziende e alle imprese delle zone più colpite dalla quarantena un contributo statale per pagare la metà dei loro stipendi; (iv) rilanciare un piano di edilizia abitativa; (v) controllare i prezzi dei beni primari; (vi) costruire otto ospedali per soddisfare l’esplosione della domanda; (vii) riorientare la produzione militare e cooperativa verso beni medici ed igienici; (viii) assicurare continuità delle retribuzioni per i lavoratori del settore pubblico e privato, mentre viene presa in considerazione la possibilità di esentarli dal pagamento dei servizi pubblici e di alcune imposte come quella sul reddito.

Ambivalente invece la risposta da parte del governo brasiliano. In America Latina, l’orientamento degli Stati è direttamente legato alla capacità o all’incapacità dei presidenti di anticipare e gestire i rapporti di forza all’interno di ogni blocco di potere. Come Trump e Johnson, Bolsonaro inizialmente ha ignorato le potenziali conseguenze del virus, ma a differenza degli altri due non ha le risorse economiche per soddisfare le necessità emergenti dalla crescita esponenziale del contagio.

A peggiorare lo scenario, visibile nel numero di infezioni e di decessi dovuti a Covid-19, non esiste un coordinamento federale dell’emergenza e i governatori statali sono responsabili delle misure di quarantena e della sospensione dell’anno scolastico. Tra le misure finora adottate, è stato lanciato un pacchetto di misure per 30 miliardi di euro (2% del Pil) che comprende: (i) un anticipo di 35 euro per i lavoratori autonomi che non hanno mezzi di sussistenza; (ii) il pagamento da parte dello Stato delle prime due settimane di congedo per malattia per chi soffre di coronavirus; (iii) la fornitura di risorse di bilancio supplementari per rafforzare le strutture sanitarie e sostenere le imprese e i lavoratori; (iv) rendere più flessibile la normativa sul lavoro al fine di ridurre sino al 50% l’orario lavorativo e in modo proporzionale i salari, inclusa la sospensione dei contratti di lavoro sino a quattro mesi, con l’obiettivo dichiarato di salvare posti di lavoro. Con la paralisi economica, è chiaro che l’indebitamento familiare crescerà, spinto dalla disoccupazione. In Brasile, l’unica parte privilegiata è il capitale finanziario.

Diversa ancora l’esperienza cilena. Il Cile è stato testimone di un semestre tumultuoso. Un semestre che ha fatto cadere il presunto miracolo economico. Al governo di Piñera restano due anni, ma è chiaro che la sua legittimità si è esaurita dall’ottobre 2019. Le misure statali di contrasto a Covid-19 prevedono il 4,7% del Pil (11 miliardi di euro) e comprendono: (i) un nuovo piano di capitalizzazione del Banco Estado per 450 milioni di euro per l’erogazione di maggiori crediti e l’estensione delle garanzie statali sui prestiti; (ii) un Fondo di Solidarietà di 90 milioni di euro per far fronte alle emergenze economiche e sociali delle piccole e medie imprese, e misure di sostegno al reddito familiare che raggiungeranno circa due milioni di persone (Subsidio Único Familiar); (iii) il pagamento degli stipendi sarà garantito per le persone che non possono svolgere il lavoro a distanza (viene richiesto un accordo con il datore di lavoro e un avallo da parte dell’autorità sanitaria per il lavoratore per ricevere l’assicurazione di disoccupazione); (iv) la sospensione dei pagamenti delle imposte sul reddito. È doveroso ricordare che in Cile la salute e l’istruzione non sono considerati beni pubblici e la gente deve pagare per potervi accedere. Questa situazione pone il paese in una condizione di grande vulnerabilità nell’affrontare la pandemia.

È chiaro che ogni paese agisce attraverso la sua élite al potere. La valutazione comparativa della percentuale di Pil destinata a implementare misure socio-economiche per affrontare il virus non dice molto di per sè. Ogni misura ha vincitori e vinti, e soprattutto parla di rapporti di potere. Tra i tre paesi, l’Argentina ha il triste vantaggio di aver attraversato delle crisi (1975, 1982, 1989, 2001, 2018-2019) prodotte dal fanatismo dei guru del neoliberismo. Da questo punto di vista, il governo argentino potrebbe spianare la strada a quello brasiliano e cileno lasciando intravedere una possibile via alternativa al neoliberismo.

Dopo il lungo decennio segnato da governi progressisti (2002-2015) come quelli di Lula, Kirchner e Cristina Kirchner, Morales, Correa e Chávez che hanno cercato, con diversa fortuna, di trasformare le strutture produttive, redistribuendo il reddito ottenuto dalle esportazioni delle materie prime (petrolio, gas, minerali, cereali e semi oleosi), il continente latinoamericano è entrato nella sua terza ondata di neoliberalizzazione a partire dal 2015 (le due precedenti erano degli anni ’70 e ’90).

I meccanismi messi in atto dalle élite economiche (di solito gruppi finanziari, di telecomunicazione e di esportazione di materie prime) sono stati molteplici. Oltre alla stipula di contratti multimiliardari con lo Stato per la realizzazione di lavori pubblici o la fornitura di input, se ne sono aggiunti altri due: la finanziarizzazione delle pensioni e dei servizi, un tempo pubblici. Nel caso cileno, anche l’istruzione e la sanità sono state privatizzate.

Nel caso dell’Argentina, il meccanismo preferito è stato l’indebitamento estero, utilizzato per la fuga di capitali verso i paradisi fiscali (i dollari uscivano dal paese e il debito restava allo Stato, in un passaggio magico dalle conseguenze tragiche). Le pensioni sono state privatizzate tra la metà degli anni Novanta e il 2009, quando, nel pieno della crisi dei mutui subprime, il governo di Cristina Kirchner ha preso l’epocale decisione di nazionalizzare i fondi pensione e di tornare al sistema intergenerazionale a ripartizione.

Questi processi di ristrutturazione economica si sono svolti parallelamente alla rottamazione degli Stati, in un vero e proprio processo di accumulazione per espropriazione. Con ogni specificità nazionale questo meccanismo si ripete dal 2015 nelle maggiori economie del continente.

Nel Sud del mondo, il neoliberismo non è solo una logica politica a favore di alcune élite economiche. È anche colonizzazione delle soggettività. Decenni di frustrazione hanno spianato la strada al marketing politico nel costruire e vendere candidati di destra senza alcuna preparazione etica, teorica e politica per esercitare la responsabilità richiesta dalle cariche pubbliche. E il marketing politico è stato efficace nel costruire nemici interni: gli immigrati dei paesi vicini, gli indios, i poveri. 

Mentre questo odio verso le classi popolari veniva costruito attraverso apparati ideologici, gli Stati sono stati saccheggiati. La frustrazione sociale era pazientemente diretta verso i più vulnerabili, mentre le élite economiche godevano dell’indifferenza sociale. Covid-19 sta smascherando le barbare conseguenze di anni di saccheggio.

Si spera che, per lo meno in Argentina, ci sarà un cambiamento di rotta. In tal senso, sembra di buon auspicio, il discorso del neo-presidente Alberto Fernandez che ha parlato ieri, 26 marzo, davanti ai capi del G20 dell’opportunità di istituire un Pacto de Solidaridad Global – un Patto di Solidarietà Globale – aggiungendo che nadie se salva solo – “nessuno si salverà da solo”. Alberto Fernandez ha parlato di beni pubblici globali (si veda la ricerca scientifica su Covid-19) e del necessario superamento di una logica di mercato pura che risulterebbe non solo iniqua, ma addirittura inefficiente in questo frangente che richiede invece cooperazione massima e dialogo a livello globale.

* Ariel Garcia è ricercatore di Economia politica e Geografia economica presso l’Università di Buenos Aires e CONICET.
** Traduzione e adattemento di Valeria Cirillo,
professore associato di Economia politica presso l’Università degli Studi di Bari.