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Lo stato dell’Unione

A sessant’anni dalla firma dei Trattati di Roma L’Unione europea versa in pessimo stato. Devono cambiare regole e politiche, che ne hanno raffreddato anche il sogno. Il commento di Monica Frassoni

Quest’anno saranno 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, che istituirono la CEE. E nel 2019 ci saranno elezioni. A meno che Trump decida di schiacciare il bottone nucleare prima, abbiamo due anni e mezzo per ribaltare e occupare l’Europa. Tutti a parole sono per un’altra Europa, anche noi. Ma non ci dobbiamo illudere e dobbiamo applicare lo stesso rigore e precisione che abbiamo per parlare di rifiuti, cambi climatici e Green economy anche quando si parla di che cosa diavolo vuole dire discutere di un’altra Europa.

Non credo assolutamente in scorciatoie illusorie e devastanti che pensano che per risolvere il problema sia necessario distruggere tutto e poi ricostruire, tipo uscire dall’euro o abbattere la Commissione. Per due motivi: la storia insegna che se spingi per rompere alla fine fai il gioco di chi vuole distruggere. E oggi ce ne sono molti, Trump e Trumpini europei in testa. In secondo luogo perché si tratta di un’azione di distrazione di massa: l’uscita dall’euro ad esempio, scatenerebbe un tale caos che non solo la neo-liretta ne sarebbe travolta, ma i conflitti economici e politici tra i membri della UE, annunciati ad esempio dalla reazione della Germania sul caso FCA o da Orban che si rifiuta di seguire le regole decise insieme, esploderebbero senza alcuna possibilità di essere arginati. Non mi pare che sia questo di cui abbiamo bisogno. Dobbiamo ricreare uno spazio democratico, razionale, nel quale discutere e scegliere fra le diverse opzioni. Non vinceremo imitando i Grillini e nemmeno sbandierando la bandiera Europa e parlando di quanto è bello Erasmus. Non dobbiamo metterci in mode “distroy” come Grillini; nemmeno in mode “defend” a tutti i costi; ma in mode “reset” e “riconquista”.

L’UE non è solo austerità e noi lo sappiamo benissimo. Devono cambiare le politiche, ma ci sono dei radicali cambi nel suo funzionamento da fare. Ci sono regole da modificare, prima fra tutte quella dell’unanimità, vero cancro che nessuna cura è riuscita a superare e che è il massimo successo dei britannici nella loro storia di membri riluttanti della UE. Ma non possiamo oggi parlare di rilancio costituente senza prima o almeno allo stesso tempo lanciare l’opera di riconquista culturale e politica perché se domani andassimo a votare l’assemblea costituente che ne uscirebbe magari delibererebbe lo scioglimento della UE.

Quindi, dobbiamo collettivamente rifiutare di giocare il facile gioco del fronte euroscettico di sinistra, per comodo che potrebbe oggi sembrare. E sfidare l’europeismo istituzionale a battersi contro un conformismo che oggi non attira più nessuno, perché politiche sbagliate hanno raffreddato anche il sogno. Ma noi dobbiamo anche rifiutare le ambiguità di chi mollerebbe l’UE che c’è per una fantomatica che non esiste e ribadire che non si battono i cambiamenti climatici, non si limita l’influenza di Putin, non ci si assicura la fine di elusione ed evasione fiscale, non si gestisce il flusso di chi fugge da guerra e povertà “rinchiudendosi” nei nostri confini. Questo sarebbe rinunciare del tutto alla nostra sovranità e legarsi mani e piedi al carro dei portatori di false soluzioni o a quello di leader e autocrati stranieri, dai cinesi a Trump. In politica, ma anche nella società, nella cultura, tra gli attori economici il nostro futuro non è nella scatola omogenea che vorrebbe Salvini.