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In Europa costruire ponti, non sabotare

Bisogna lanciare un confronto serio e magari alleanze originali in Europa sul bilancio Ue, sulla modifica di Dublino, sulla politica commerciale, sul clima, sul ruolo di Putin e le guerre in Medioriente: anche in vista delle elezioni europee.

Qualche giorno fa, in occasione di un evento dei Verdi europei ad Anversa in cui si sono trovati 300 ecologisti da 25 paesi e in cui l’umore era molto positivo dopo ottimi risultati alcune importanti elezioni, una collega svedese, dopo avermi chiesto del dibattito italiano, mi ha detto molto seccamente che i toni e il modo in cui le forze politiche che hanno vinto le elezioni in Italia stanno organizzando la loro futura presenza in Europa non motiva per niente il resto dei partners, lei compresa, ad avere un atteggiamento benevolo. E in effetti, non c’è molta benevolenza in giro. Anzi: media e politica altrui ci conoscono come paese bellissimo e importante, ma ultra-indebitato, afflitto da problemi atavici come mafia e corruzione, dal sistema politico a dir poco ballerino, ignorano per lo più che siamo un contributore netto al bilancio UE e la seconda potenza industriale d’Europa. Non c’è da sorprendersi se l’arrivo del governo degli “Italians first” sia accolto con diffidenza e preoccupazione, ma anche con un “cavoli loro, in fondo”…

D’altra parte, in Italia, l’ostilità rispetto all’UE e a tutto ciò che essa rappresenta si è estesa a una velocità sconcertante, spinta dalla storia ripetuta ossessivamente a reti unificate che UE e migranti sono la causa di tutti mali, storia raccontata anche dal PD di Renzi che toglie la bandiera della UE e di Minniti, che dichiara che l’arrivo di qualche migliaio di persone sulle nostre coste mette a rischio la tenuta democratica del paese. Ormai la gran parte delle discussioni che riguardano la UE si riferiscono ai “tedeschi che ci affamano”, ai “soldi che diamo”, i vincoli che “ci vengono imposti” per puro spirito sadico, e sempre più persone si illudono che domani mattina possiamo buttare a mare non solo migliaia di stranieri abusivi, ma anche decenni di inutile costruzione europea e volare liberi nel cielo di benessere e crescita senza vincoli e senza debiti.

Non è difficile prevedere che quando i nodi verranno al pettine, la propaganda nazional-populista potrà facilmente dire che la colpa è tutta dell’UE che non ci lascia liberi di risolvere i nostri problemi con il risultato di aumentare ancora di più rancore e rabbia contro i “burocrati” di Bruxelles e gli altri paesi. La questione della reciproca percezione avrà secondo me un’importanza enorme nelle prossime settimane e mesi. Come avvenuto nel dramma greco e durante tutto il periodo che ha preceduto il referendum sulla Brexit, l’incomunicabilità e in qualche caso la voluta manipolazione dei dibattiti politici e mediatici potrà avere un impatto altamente negativo sullo svolgersi degli eventi. Casi Oettinger e Juncker docent.

E’ il momento perciò di costruire ponti nei rapporti con la Ue, ma anche in Italia, rifiutando la polarizzazione e la scelta di campo esclusivamente basata su “euro si / euro no”, e tutti gli europeisti a difendere lo status quo (inclusa la TAV o l’eurozona nella sua forma attuale) contro i cosiddetti anti europei a cavalcare le ragioni della riforma.

Sarebbe un errore capitale, e vedo che, forse anche per pigrizia e per attaccamento alla sindrome del pop-corn, una parte dell’opposizione pensa che dire a scelta W l’Europa o M l’Europa sia la soluzione semplice ai propri problemi di identità e proposta.

È assolutamente necessario organizzare convergenze e iniziativa politica che rendano chiaro che le ricette dei giallo-neri hanno un’alternativa. Ma questa alternativa deve essere plurale, definita senza paura di ammettere che si tratta di questioni complicate e non risolvibili a colpi di tweet.

Perché è evidente che le politiche europee degli anni della crisi, con l’incapacità in particolare di Francia, Italia e Spagna, ma anche della Commissione Barroso e poi in parte anche Juncker di resistere e di contrastare apertamente il diktat nordico (non solo tedesco) del taglio della spesa pubblica come unica strada per riassorbire gli squilibri fra i paesi della zona euro, ha reso tutto più difficile e immensamente più doloroso; è verissimo che sia necessario rivedere la governance europea, come dice anche il “contratto di governo”. Ma il mondo, e la Ue, non sono gli stessi che negli anni 2012 o 2013.

Visto da fuori dai nostri confini, è come se il dibattito in Italia fosse tornato su temi e contrapposizioni già passate, dato che la situazione economica migliora e la rabbia e risentimento dell’opinione pubblica italiana non solo non sono capiti, ma sono considerati “sfasati”. Infatti, se ci sono molti problemi nel modo in cui la UE sta conducendo questo ultimo scorcio della legislatura 2014/2019, non si può più parlare, dopo il QE e la fine piuttosto ingloriosa della Troika, dopo le varie aperture alla flessibilità e i piani di investimento, di una applicazione spietata e automatica della “austerity” uber alles, di una recessione economica senza speranza o di una indisponibilità completa ad affrontare il tema della riforma della governance europea in direzione di maggiore solidarietà.

Vorrei insistere sul fatto che dire questo non significa condividere le priorità attuali della UE. Al contrario. Ma la definizione del “fronte” contro il nazionalismo e la disinvoltura dei giallo-neri rispetto a diritti umani e tenuta dei conti pubblici, o il riconoscimento che non esiste sovranità vera al di fuori del concerto europeo, non può essere sinonimo della rivendicazione ripetuta di risultati che comunque la si rigiri non sono stati convincenti, dell’imposizione della solita logica delle grandi opere inutili come la Tav, dell’indifferenza rispetto alla sfida della transizione ecologica del nostro sistema industriale e non facendo alcuna autocritica rispetto a un approccio sulle migrazioni che mette in secondo o terzo piano i diritti delle persone e sposa l’idea dell’invasione da respingere.

La discussione sull’alternativa al governo giallo-nero deve partire subito e deve avere come primo orizzonte non solo il dibattito nazionale ma anche le elezioni europee del 2019. Questo è un punto particolarmente cruciale perché è indubbio che il governo giallo-nero parte in svantaggio e ha poche idee positive, a parte i pugni da sbattere sul tavolo, sulla maggior parte delle partite che si stanno giocando in Europa. E su questo, limitarsi a stare a guardare e magari essere contenti delle difficoltà che sicuramente incontreranno sarebbe a dir poco irresponsabile.

Quindi, entrare subito nel merito e lanciare un confronto serio e magari alleanze originali in Europa sul bilancio della UE, sulla modifica di Dublino, sulla politica commerciale, sul clima, sul ruolo di Putin o le guerre in giro per il medio oriente sarà il banco di prova dell’alternativa possibile alle ricette costose e antiquate dell’inedita alleanza fra Lega e M5S. Perché, alla fine il destino dell’Italia non è mani del suo governo: soprattutto in questo difficile momento, anche chi oggi sta all’opposizione deve prendere la responsabilità di fermarne le scelte più estreme e preparare l’alternativa.