Alla propaganda di Renzi che fa la voce grossa con l’Europa ma resta del tutto interno alla logica delle politiche di austerità, Sbilanciamoci! risponde continuando a sostenere che è necessario mettere in atto manovre davvero espansive
Quest’anno l’iter istituzionale del Disegno di Legge di Bilancio ha raggiunto il paradosso.
Presentato con delle slides il 15 ottobre dal Presidente del Consiglio in un format da vero e proprio depliant pubblicitario, il Disegno di Legge, completo degli allegati contenenti i Bilanci di previsione dei singoli Ministeri, è stato pubblicato sul sito della Camera solo il 3 novembre. Il 4 sono iniziate le audizioni presso le Commissioni Bilancio della Camera e del Senato in sede unificata: in teoria le realtà invitate alle audizioni, tra le quali Sbilanciamoci!, e i membri delle Commissioni, avrebbero dovuto leggere migliaia di pagine in 48 ore.
La possibilità di un vero e puntuale controllo democratico (Parlamentare e della società civile) delle scelte economico-finanziarie compiute dal Governo è ridotta in questo modo a puro orpello formale. A questo punto siamo arrivati, ma del resto il referendum alle porte, se vincerà il sì, formalizzerà lo svuotamento del ruolo del Parlamento in atto da tempo. Per il Presidente del Consiglio il referendum è una priorità a qualsiasi costo; leggi importanti come quella di bilancio, possono anche passare in sordina ed essere piegate alle esigenze referendarie, con distribuzione di piccole prebende a destra e a manca pur di ottenere qualche voto in più per il sì.
Sbilanciamoci! ha fatto in ogni caso il suo lavoro pur essendo costretta a destreggiarsi con un disegno di legge che ricalca gli esempi peggiori delle leggi finanziarie azzeccagarbugli della prima repubblica e una strutturazione degli allegati, quelli che contengono i numeri sulle risorse stanziate in bilancio sui singoli capitoli di spesa, rivoluzionati dalla riforma della legge di bilancio approvata nell’agosto 2016.
La lettura, sia pure accidentata, del disegno di legge di bilancio 2017 presentato dal Governo alla Camera, desta purtroppo non poche preoccupazioni.
Sul piano del metodo: la riforma della legge di bilancio aveva suscitato molte aspettative riguardo ad una maggiore trasparenza delle scelte economico-finanziarie dello Stato. Il testo del Disegno di Legge consegnato alla Camera le disattende. I 105 articoli del Disegno di Legge propongono una molteplicità di misure frammentate e giustapposte tra loro di cui ricostruire l’impatto economico risulta, in molti casi, una vera e propria impresa. Non è certo questo il modo migliore per facilitare la conoscenza e la comprensione da parte dei cittadini del modo in cui sono impiegate le risorse pubbliche.
Nel merito, l’esame del combinato disposto tra la Nota di Aggiornamento al Def 2016, il Decreto “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili” e il testo del Disegno di legge di bilancio 2017 conferma gli indirizzi del Governo presenti nelle leggi di stabilità 2015 e 2016, pur nel contesto di indicatori economici che continuano a marcare le difficoltà dell’Italia nel rilanciare la propria economia e un’occupazione stabile, nel razionalizzare, riorientare e ottimizzare la spesa pubblica e nell’abbattere il debito pubblico. La revisione delle stime dei principali indicatori macro-economici da parte del Governo è per altro ormai diventata una consuetudine: le stime di crescita sono riviste sul 2016 (0,8%) e nel 2017 (1%); la disoccupazione è stimata all’11,5% nel 2016 e al 10,8% nel 2017 mentre il debito pubblico pesa ancora per il 132,3% sul Pil.
Coperture incerte
Desta innanzitutto forte preoccupazione, come per altro evidenziato dalla stessa Commissione Europea, l’incertezza delle coperture previste nella legge di bilancio e nel decreto fiscale, ancora una volta affidate al miglioramento delle entrate fiscali, all’estensione della voluntary disclousure, alle politiche di spending review e al programma di privatizzazioni e di alienazione di beni immobiliari pubblici.
La natura di tale incertezza è per altro confermata, suo malgrado, dal Governo stesso nel momento in cui, non essendo riuscito a ridurre la spesa pubblica nel 2016, come aveva promesso, per evitare lo scatto della clausola di salvaguardia che prevede l’aumento dell’Iva dal primo gennaio 2017, è costretto a dedicarvi ben 15,1 miliardi della manovra di quest’anno. Parallelamente, i ricavi da privatizzazioni previsti in misura pari allo 0,5 del Pil nel Def 2016, sono corretti allo 0.1% nella Nota di aggiornamento: ancora una volta le entrate previste in base al programma di privatizzazioni sono inferiori a quanto pianificato.
Ligio ai compiti di austerità, anche se in ritardo
Anche quest’anno, per la quarta volta, il Governo posticipa di un anno il raggiungimento del pareggio di bilancio, costretto da un lato a riconoscere l’insostenibilità economica e sociale dei dettami di austerità imposti da Bruxelles, dall’altro continuando di fatto ad accettarli mantenendo un obiettivo di deficit del 2,3% sul Pil, comunque inferiore al 3%, come richiesto dalla Commissione. Il Governo ha richiesto a Bruxelles una maggiore flessibilità per effettuare le spese straordinarie necessarie per la ricostruzione nelle zone colpite dai terremoti e per misure di prevenzione anti-sismiche (stimate in uno 0,3% del Pil) nonché per fare fronte ai flussi di migranti (0,2% del Pil). Peccato che i margini di flessibilità (se concessi) saranno usati in grandissima parte per evitare la drammatica recessione che verrebbe innescata dall’aumento dell’Iva (Art.85).
Sempre sbilanciato a favore delle imprese
I poco più di 10 miliardi di spesa effettiva previsti nella manovra di quest’anno sono destinati ai soliti noti. Assenti interventi pubblici incisivi a sostegno della domanda interna, la promessa revisione delle aliquote Irpef è rinviata a data da destinarsi, le scelte fiscali premiano solo le imprese grazie alla previsione dei superammortamenti, della riduzione delle imposte per le piccole imprese, delle garanzie pubbliche sugli investimenti e al programma Industria 4.0.
Le imprese godranno anche nel 2017 di due dei più costosi interventi realizzati dal governo: la decontribuzione, totale sugli assunti nel 2015 e parziale sugli assunti nel 2016, con un costo di almeno 7 miliardi l’anno e di almeno 20 miliardi nel quadriennio 2015-2018; la riduzione dell’imposta sulle società, l’IRES, dal 27,5% al 24% a partire dal primo gennaio, con un costo per l’erario di almeno 3,5 miliardi l’anno. Interventi costosi e non selettivi di cui beneficiano tutte le imprese indistintamente, non solo quelle che investono, crescono e creano occupazione e reddito.
1,9 miliardi saranno destinati al Fondo per il pubblico impiego per coprire un miserrimo rinnovo del contratto nazionale, fermo al 2010, e il riconoscimento degli 80 euro in busta paga a militari e forze dell’ordine (Art.52).
E’ prevista, è vero, l’istituzione di un Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo di infrastrutture con una dotazione di 1,9 miliardi per il 2017, 3,15 miliardi per il 2018 e 3,5 miliardi per il 2019 (Art. 21). Ma, considerando la pluralità della destinazione di queste risorse (dai trasporti e viabilità alle infrastrutture; dalla ricerca alla difesa del suolo e dissestoidrogeologico; dall’edilizia pubblica, compresa quella scolastica, alle attività industriali ad alta tecnologia e al sostegno alle esportazioni; dall’informatizzazione dell’amministrazione giudiziaria alla prevenzione del rischio sismico), il Fondo si profila come un gran calderone con una dotazione di risorse insufficiente per intervenire in modo significativo e incisivo anche in solo uno dei settori di intervento previsti.
In sintesi: continua a mancare una strategia definita di politica industriale.
Frammentato e iniquo nei confronti dei giovani e degli anziani, cieco con i poveri
Mancano provvedimenti strutturali a sostegno dei giovani, eccezion fatta per la proroga caritatevole del bonus cultura di 500 euro per i neo diciottenni (Art.82), i 50 milioni in più per il Fondo per le borse di studio (Art. 37), i 6 milioni per le borse di studio destinate a 400 studenti “meritevoli” (Art.38).
Ape Social, Ape Agevolata e quattordicesima per le pensioni più basse valgono insieme 1,7 miliardi per il 2017, cui si sommano 641,8 milioni per salvaguardare altri 27.700 esodati (Si veda DLB, Tomo 1, Prospetto di riepilogo degli effetti finanziari del DLB 2017-2019, pp. 340-341). In parte si tratta di stanziamenti che riallocano fondi in economia dagli anni precedenti con un costo aggiuntivo pari circa a 1 miliardo per il 2017. In particolare la legge di bilancio stanzia per gli interventi per il 2017 800 milioni per l’aumento delle quattordicesime, 200 milioni per l’aumento della no-tax area ai pensionati, 300 milioni per l’APE “sociale” e 450 milioni per l’anticipo pensionistico per lavori usuranti, precoci e cumulo. Gli errori compiuti con la legge Fornero continuano a generare interventi correttivi incapaci di garantire il diritto dei lavoratori ad una pensione dignitosa.
Per gli interventi per la famiglia, nella legge di bilancio ci sono 600 milioni di euro, frantumati per lo più in erogazioni monetarie una tantum. 14 milioni per il Fondo di sostegno alla natalità che dovrebbe facilitare l’accesso al credito (ovvero l’indebitamento delle) per le famiglie con figli (Art.47); 392 milioni per un “premio alla nascita” di 800 euro per i nati nel 2016 (alternativo al bonus bebè) (Art. 48); 144 milioni per un bonus asilo nido di 1000 euro (non cumulabile con le detrazioni fiscali); 20 milioni di euro per portare da uno a due giorni il congedo dei padri e 40 milioni per un voucher di baby sitting (alternativo al congedo del padre), (Art. 49).
In compenso non mancano i contributi alle scuole paritarie per l’assistenza ai disabili (24,4 milioni) e alle scuole materne sempre paritarie (25 milioni) (Art.78).
La lotta contro la povertà può attendere il 2018: per il 2017 lo stanziamento previsto per il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale è quello disposto con la legge di stabilità dell’anno scorso a sostegno del Sia e dell’Asdi, pari a 1,03 miliardi.
Sbilanciamoci! valuta positivamente la scelta del Governo di mantenere uno stanziamento significativo per il Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi sull’Asilo al fine di consolidare il sistema ordinario di accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati (SPRAR): la dotazione del Fondo è pari a 395.779.275 euro (Cap. 2352 del Bilancio di previsione del Ministero dell’Interno). Ciò benché tali risorse continuino a risultare decisamente inferiori alla dotazione di ben 1,320 miliardi per le “Spese per l’attivazione, la locazione, la gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri irregolari ” (Cap. 2351 punto 2 del Bilancio di previsione del Ministero dell’Interno). Una scelta più lungimirante sarebbe stata quella di prevedere maggiori fondi a vantaggio dell’accoglienza ordinaria riducendo gli stanziamenti per quella straordinaria.
L’approccio di Sbilanciamoci!
Anche quest’anno la contromanovra di Sbilanciamoci! è ispirata a principi decisamente diversi da quelli che attraversano il Disegno di legge di bilancio. Alla propaganda del presidente del Consiglio che fa la voce grossa con l’Europa a mezzo stampa ma resta del tutto interno alla logica delle politiche di austerità, Sbilanciamoci! risponde continuando a sostenere che è necessario e non più rinviabile:
- rinunciare definitivamente al principio di pareggio di bilancio e mettere in atto manovre davvero espansive;
- promuovere un forte investimento pubblico diretto e indiretto a sostegno dell’economia e dell’occupazione nel contesto di una strategia di politiche industriali definita e di lungo termine;
- varare un piano di interventi pubblici finalizzati ad arrestare l’aumento delle diseguaglianze economiche e sociali ridistribuendo reddito e ricchezza e rafforzando il sistema di welfare secondo principi di progressività e equità;
- investire in un modello di sviluppo ecosostenibile centrato sul benessere delle persone, sulla salvaguardia dell’ambiente e sul rafforzamento delle pratiche di altraeconomia;
- disarmare l’economia e promuovere politiche di pace grazie alla riduzione delle spese per armamenti, a politiche di cooperazione dal basso e non sicuritarie e all’istituzionalizzazione di un modello di difesa civile non armata e non violenta.