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Goals Onu, numeri o strumento d’azione?

Primo rapporto Istat sull’avvicinamento dell’Italia ai 17 Goals Onu. Gentiloni aveva emanato una direttiva per l’attuazione dell’Agenda 2030. Ora alcuni obiettivi (ad es ridurre le diseguaglianze) sono in contrasto con le linee d’azione del governo.

Lo scorso 6 luglio l’Istat ha presentato il primo rapporto SDGs 20181 di commento al set di indicatori per il monitoraggio degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dalle Nazioni Unite nel 2015.

Il quadro complessivo proposto a livello internazionale è articolato in 17 obiettivi (Goals), 169 target e oltre 200 indicatori. La declinazione per l’Italia proposta dall’Istituto di Statistica, mantenendo naturalmente gli obiettivi e i target, mostra una serie di differenze nella scelta degli indicatori. Va infatti tenuto conto che:

  • l’Istat prende in considerazione prevalentemente indicatori statistici (e non per esempio la ratifica di un trattato internazionale o la presenza di leggi che regolamentino specifici aspetti);
  • molti indicatori non sono rilevanti per il contesto specifico italiano (ad esempio quanti vivono con meno di un dollaro al giorno e il tasso di denutrizione). In alcuni casi essi sono stati sostituiti con misure più rilevanti (ad esempio, anziché monitorare la popolazione senza accesso ad acqua potabile, si osservano quanti abbiano sofferto interruzioni nell’erogazione dell’acqua);
  • alcuni indicatori richiesti non sono prodotti dal nostro sistema statistico esattamente nella forma proposta dalle Nazioni Unite, e per questi si utilizzano delle proxy, indicatori simili che misurano sostanzialmente lo stesso fenomeno;
  • per molti indicatori globali non esiste una definizione condivisa a livello internazionale e quindi l’Istat ha cercato quando possibile di monitorare i relativi target con altre misure disponibili.

Ne risulta un sistema di 235 misure nazionali. Sebbene ulteriori aggiustamenti saranno sempre possibili, l’Italia si è a questo punto dotata del sistema di monitoraggio degli SDGs concordato a livello internazionale. In aggiunta, come detto in apertura, l’Istat ha  anche prodotto un rapporto che offre un generale commento sull’andamento degli indicatori, con alcuni approfondimenti su temi ritenuti più rilevanti.

Rimane da capire se e come questa ingente massa di informazioni, e soprattutto di obiettivi di carattere politico, possa prendere forma nel nostro sistema.

Gli SDGs dovrebbero andare ad alimentare la Strategia di Sviluppo Sostenibile, un documento fino ad oggi gestito dal ministero dell’Ambiente in collaborazione con il ministero degli Esteri. Tuttavia l’ampiezza di obiettivi posti dall’Agenda 2030, che si estende su molte tematiche a 360° e che non è possibile ridurre ad una visione della sostenibilità in sola chiave ambientale, richiede necessariamente un coordinamento più ampio che ponga i diversi ministeri coinvolti sullo stesso piano. In quest’ottica lo scorso marzo il governo Gentiloni ha emanato una direttiva di indirizzo per l’attuazione dell’Agenda 2030 che riporta l’intera iniziativa sotto il controllo della Presidenza del Consiglio.

Auspicabilmente la “Commissione nazionale per lo sviluppo sostenibile”, organo di alto profilo istituzionale per il coordinamento delle attività di ministeri, Regioni ed enti locali, dovrebbe dare rilevanza e centralità alle azioni indirizzate al perseguimento dei 17 Goals. La Commissione non si è ancora insediata benché i lavori di monitoraggio nei ministeri siano previsti già per il prossimo settembre. Ci auguriamo che l’attuale Governo non disfi quel poco fatto in questo senso dal precedente.

Sotto il profilo tecnico è ancora da capire come gli SGDs si inseriranno nel ciclo di bilancio e che influenza potranno avere nella programmazione economica. Al momento sono stati presi in considerazione solo nel contributo delle Regioni al Piano Nazionale di Riforme (PNR). Sarà auspicabile quanto meno avere nel prossimo PNR, alla luce della documentazione prodotta dalla Commissione Nazionale, anche un quadro delle attività svolte per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, come già accade per le Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea (CSR) e per la strategia Europa 2020.

Ma soprattutto rimangono poi ancora aperte delle questioni di fondo rispetto all’uso che le forze di governo faranno di tale sistema. Il sistema internazionale propone obiettivi che però il più delle volte sono molto generici e dovrebbero essere declinati a livello nazionale. Non sembra ci sia però alcuna volontà di fissare obiettivi esatti (come esistono per esempio per gli indicatori della strategia Europa 2020).

Non esiste poi una gerarchia di priorità, la quale dipenderà implicitamente dai singoli governi, e data la grande quantità di target ogni risultato sarà molto diluito nell’ambito del vastissimo, e quindi poco accessibile, sistema di monitoraggio.

Ci sono obiettivi che sono in aperto contrasto con le linee d’azione proposte dall’attuale governo (in particolare nella componente leghista), soprattutto per quanto riguarda il Goal 10 sulle diseguaglianze:

  • 10.1 Entro il 2030, raggiungere e sostenere progressivamente la crescita del reddito del 40 per cento più povero della popolazione ad un tasso superiore rispetto alla media nazionale.
  • 10.4 Adottare politiche, in particolare fiscali, e politiche salariali e di protezione sociale, e raggiungere progressivamente una maggiore uguaglianza.
  • 10.7 Facilitare la migrazione ordinata, sicura, regolare e responsabile e la mobilità delle persone, anche attraverso l’attuazione di politiche migratorie programmate e ben gestite.

È evidente che ogni ipotesi di Flat-tax, dual-tax o altre forme di riduzione della progressività del sistema fiscale si muovono in direzione diametralmente opposta rispetto a questi obiettivi. È altrettanto evidente come nelle intenzioni e nelle azioni del governo l’idea di “facilitare” le migrazioni sia quanto di più lontano dalla linea che si vuole seguire.

L’Agenda 2030 è estremamente ambiziosa. È però a tratti molto vaga, pone degli obiettivi generici che poi gli indicatori proposti rischiano di sminuire. Soprattutto è molto estesa. È comprensibile che l’articolato percorso di consultazione globale che ha condotto alla sua definizione non potesse portare ad un risultato contraddistinto dalla parsimonia, ma un sistema così complesso è di difficile monitoraggio e di ancor più difficile comunicazione.

Nei fatti, e nella migliore delle ipotesi, in presenza di governi volenterosi che se ne facciano paladini, gli SDGs entreranno negli indirizzi dei singoli ministeri e avranno un qualche impatto. Non esistendo alcuna forma automatica di enforcement, questa ricade sulle attività della società civile e delle opposizioni. Il lavoro che sta svolgendo l’ASVIS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) per mobilitare l’attenzione su questi temi e per fare pressione sulle forze politiche affinché prendano in considerazione gli obiettivi dell’Agenda 2030 è meritoria. Ma nella società odierna, fatta di messaggi fin troppo schematici, il livello di complessità dell’agenda rende molto difficile la comunicazione diffusa dei risultati di un eventuale monitoraggio. Creare una coscienza diffusa sul tema dello sviluppo sostenibile, sui suoi principi di fondo, è possibile e fondamentale. Mobilitare le persone per richiamare il governo sul raggiungimento degli specifici SDGs appare invece un risultato fuori portata.

Se da un lato è vero quanto sostenuto nel rapporto Stiglitz-Sen-Fitoussi che “what we measure affects what we do”, e che quindi la sola attività di misurazione e introduzione degli indicatori nei documenti ufficiali possa in qualche modo fungere da indirizzo per il decisore pubblico, è altresì vero che senza una serie di condizioni troppo facilmente i buoni propositi rimangono lettera morta. Affinché i sistemi di indicatori abbiano rilevanza politica sono necessarie (ma non sufficienti) alcune condizioni:

  1. devono essere inseriti in un sistema di monitoraggio continuo;
  2. dovrebbero prevedere qualche forma di richiamo a livello istituzionale nel caso in cui si stia andando fuori strada;
  3. devono essere facilmente comunicabili in modo da poter attivare la pressione anche da parte della popolazione, dei media e della società civile;
  4. devono essere dotati di un certo grado di legittimità che li faccia riconoscere alla popolazione come rilevanti e non imposti dall’alto.

Il rapporto pubblicato dall’Istat (o quello precedentemente pubblicato da ASVIS) e l’istituzione della “Commissione nazionale per lo sviluppo sostenibile” vanno nella direzione di soddisfare la prima condizione. La seconda condizione non è invece soddisfatta, non esistendo alcuna forma di enforcement istituzionale. Per quanto riguarda la terza, è possibile auspicare una sensibilizzazione complessiva sul tema, ma l’attenzione sarà sempre sugli elementi dettati dal dibattito politico corrente essendo difficile dare una risposta in meno di 10 pagine su quello che un governo sta facendo in termini di SDGs.

Infine, il processo che ha condotto alla definizione dell’agenda è senz’altro stato un percorso partecipativo. Ma per il cittadino e per la società civile del singolo Paese, si tratterà sempre di un sistema deciso nell’astratto mondo delle Nazioni Unite. Un mondo in cui ci auguriamo molti ripongano grande fiducia, ma pur sempre qualcosa di lontano.

L’Agenda 2030 rappresenta una sfida importante a livello globale, siamo solo all’inizio del percorso ed è essenziale che l’Italia faccia la sua parte per il raggiungimento del numero massimo di obiettivi. In tutto questo, media e società civile non sono messi nelle condizioni ideali per esercitare il loro ruolo di controllo e di pressione, ma la partita è appena cominciata.

1 La piattaforma informativa esiste dalla fine del 2016.