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Cronache di un mondo indebitato/2

Tra paesi ricchi e paesi emergenti, una cartografia del mondo indebitato. La seconda puntata della nostra inchiesta

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Prima di esaminare analiticamente la situazione delle due principali categorie di paesi, quelli ricchi e quelli emergenti, appare opportuno sottolineare intanto che non tutti i debiti sono uguali. Bisogna infatti distinguere tra i vari casi facendo riferimento sia agli scopi per i quali le risorse verranno usate sia alle condizioni che favoriranno o meno la restituzione.

Perché si fanno debiti

1) I soldi possono essere intanto usati per fini di sviluppo, in particolare per avviare progetti di investimento o di ricerca che, se avranno successo, potranno migliorare il futuro di un paese, di un’impresa, di una famiglia; in questo caso, di solito, un maggior indebitamento può apparire come il benvenuto. Siamo invece di fronte ad un’ideologia neoliberista che vede con sospetto ogni suo aumento. Nella pratica oggi assistiamo, ad esempio nel caso degli Stati Uniti e della Germania, a dei governi che, pur in presenza di condizioni finanziarie favorevoli, si rifiutano di rinnovare il loro sistema di infrastrutture, in parte almeno molto vecchio, per paura di aumentare i loro deficit di bilancio. Nei decenni passati abbiamo invece registrato come una crescita dell’indebitamento dei pesi emergenti abbia contribuito allo sviluppo di tale area del mondo.

2) Maggiori debiti possono invece servire per far fronte a difficoltà di cassa temporanee, in relazione a produzioni a forte andamento ciclico o a programmi di investimento, pur sempre validi, ma che hanno superato il budget iniziale.

3) I soldi son infine utilizzati per cercare di tamponare una situazione di progressivo dissesto; si veda, ad esempio, oggi il caso dell’Ucraina, della Grecia, o di Portorico. Naturalmente questo non significa che non si possono fare piani di ristrutturazione, che potrebbero portare con il tempo a risanare la situazione, come è avvenuto in passato in tanti altri casi.

A volte si arriva al terzo livello anche per avere mal gestito una situazione di temporanea difficoltà, o avendo a suo tempo fatto piani di sviluppo non fondati su solide basi. Più in generale, naturalmente, le distinzioni tra le tre ragioni sopra descritte non sono sempre molto nette.

Fattori che condizionano la capacità di restituzione

La capacità di restituzione di un prestito dipende da molte cose: intanto dal livello dei debiti complessivi; più alto esso è, più difficile appare restituire le somme dovute. Ma non vale necessariamente la presunta regola trovata qualche anno fa da C. M. Reinhart e K. N. Rogoff, nel loro testo This time is different, che raccontava come, superando il tetto del 90% nel rapporto tra debiti e pil, diventasse molto complicato per un paese riuscire a continuare a svilupparsi. E’ stato dimostrato come tale conclusione derivasse da ipotesi e da dati sbagliati.

La restituzione dei debiti è poi più facile, da una parte, in presenza di una crescita economica rilevante, che fornisce più agevolmente i surplus necessari alla bisogna, dall’altra, inoltre, in periodi di elevata inflazione, fenomeno che ridimensiona automaticamente i valori in gioco. Per quanto riguarda il debito estero, una svalutazione della moneta complica le cose, mentre se una elevata percentuale dei debiti è posseduta da soggetti dello stesso paese, essa viene facilitata.

Un terzo fattore importante fa riferimento al livello dei tassi di interesse prevalente; un loro elevato importo rende più duro far fronte agli impegni.

In questo momento l’andamento dei primi due fattori descritti (livello della crescita e tasso di inflazione) non appare complessivamente favorevole a livello mondiale e questo è uno dei fattori che può più preoccupare in prospettiva.

I paesi in via di sviluppo

Va intanto sottolineato come il debito dei paesi emergenti sia oggi per circa i tre quarti concentrato nelle imprese, mentre il boom del credito negli Usa e in Europa di qualche tempo fa riguardava più di tutti i privati.

Ma tali paesi sono oggi meglio protetti di una volta, per l’esistenza di elevate riserve di cambio, nonché di tassi di cambio più flessibili, di una più piccola percentuale di debiti in valuta estera, di una migliore capacità di gestione complessiva del fenomeno.

Quello dei paesi in via di sviluppo, come quello dei paesi ricchi, appare comunque un mondo molto variegato, per quanto riguarda la situazione e le prospettive del debito. Appare quindi opportuno sottolineare almeno alcuni elementi di differenziazione.

Per quanto riguarda il primo tipo di Stati, si possono individuare almeno tre sottocategorie: quella dei paesi che eviteranno grandi problemi, o che ci sono ormai passati, quella delle nazioni che hanno delle difficoltà ma non dovrebbero avere troppi problemi ad uscirne,infine quella di chi presenta interrogativi rilevanti (The Economist, 2015).

Nella prima categoria si potrebbe collocare la Russia: il rublo è già passato attraverso un rilevante aggiustamento di valore e l’economia sembra ormai migliorare; anche l’Argentina potrebbe cavarsela, avendo un basso debito privato.

Nella seconda si potrebbero inserire le due grandi economie di Cina ed India.

Certo nel caso cinese ci troviamo di fronte ad un rapporto di indebitamento che era passato dal 150% del pil nel 2008 ad uno di circa il 280% nel 2014.

Ma i problemi in questo caso appaiono di modesta entità. Intanto il paese presenta un enorme surplus delle partite correnti. Il livello delle sue riserve di cambio era pari a 3,5 trilioni di dollari nell’ottobre 2015, tre volte il livello del suo debito estero. La gran parte dei debiti è poi detenuta da soggetti nazionali, mentre i debitori e i creditori rispondono spesso allo stesso padrone, lo Stato, inoltre i prestiti sono fortemente concentrati sui governi locali, mentre toccano solo un numero relativamente ristretto di imprese. Ci troviamo, infine, di fronte ad un caso di crescita dell’economia che viaggia ancora intorno al 7% all’anno e di fronte a bassi tassi di interesse (Comito, 2015, The Economist, 2015).

Anche nel caso dell’India i problemi dell’indebitamento sembrano di facile maneggio. L’economia potrebbe crescere di più del 7% nel 2016, mentre la bilancia della partite correnti si muove verso il pareggio e la riduzione del prezzo del petrolio è stata una manna per il paese.

Infine ci sono i paesi che si possono inserire nella terza categoria e che presentano i casi peggiori. Possiamo così fare riferimento al Brasile, paese nel quale le obbligazioni “corporate” sono aumentate di 12 volte dal 2007 ad oggi, con un rilevante deficit delle partite correnti, nonché una situazione di paralisi politica. Subito dopo viene la Turchia, con una situazione per alcuni aspetti analoga (The Economist, 2015).

I paesi ricchi  

La situazione dei paesi ricchi sembra in questo momento complessivamente un po’ migliore sul fronte dell’indebitamento rispetto a quella delle nazioni emergenti. Intanto i primi hanno sperimentato già da tempo una caduta dell’economia che gli altri stanno subendo solo ora ed essi sembrano, almeno in parte, sulla via di un miglioramento.

In particolare gli Stati Uniti apparentemente reggono in qualche modo dignitosamente in questo momento il peso dei debiti, in relazione in particolare alla più positiva tendenza della congiuntura economica.

Peggiore appare la situazione dell’Unione Europea, più problematica sia per la più ridotta dinamica del pil che per via delle forsennate politiche di austerità imposte in particolare nell’eurozona. All’interno dell’area, poi, come è noto, le situazioni sono ancora differenziate.

La situazione più problematica è quella del Giappone. Tale ultimo paese presenta come è noto un indebitamento pubblico elevatissimo, anche se esso è finanziato tutto con fonti interne. I tentativi di risvegliare la sua economia continuano a sostanzialmente fallire ormai da più di venti anni, mentre permane la paura che tutto il mondo sviluppato segua progressivamente la sorte del paese asiatico.

Ma sui paesi ricchi gravano anche le difficoltà dei paesi emergenti che, data la loro forza economica (essi controllano ormai il 58% del pil mondiale, almeno utilizzando il criterio della parità dei poteri di acquisto), potrebbe riflettersi per molte vie sui paesi ricchi.

Che le cose non vadano poi in maniera adeguata è segnalato ad esempio dal fatto che l’Ocse ha di recente raccomandato (Giles, 2015) ai paesi sviluppati di porre fine al loro penchant a favore della finanza basata sul debito, atteggiamento che l’istituto sostiene ostacolare lo sviluppo economico. In termini più specifici, l’organismo trova che la carenza di credito danneggia le prospettive di crescita nei paesi meno sviluppati, ma che in quelli avanzati una forte espansione dello stesso credito tende ad essere dannosa. L’Ocse raccomanda così riforme fiscali che riducano il favore concesso al debito e requisiti di capitale più stringenti per le banche.

Che qualcosa non giri per il verso giusto è segnalato anche dalla constatazione che stanno aumentando i fallimenti delle grandi imprese (Jackson, Platt, 2015) in occidente. Viene constatato che circa 100 imprese hanno fatto fallimento dall’inizio dell’anno, cifra superata negli ultimi dieci anni solo dal picco del 2009, anno nel quale infieriva la crisi economica.

(2. continua)

Leggi qui la prima puntata dell’inchiesta

 

Testi citati nell’articolo

Comito V., Non solo Pigs, cresce il debito globale, www.sbilanciamoci.info,

Giles C., Developed nations urged to end bias towards debt-based finance, www.ft.com, 17 giugno 2015

Jackson G., Global debt default near milestone, www.ft.com, 23 novembre 2015

The Economist, The never-ending story, 14 novembre 2015