Esposto alla procura da Rete disarmo e altre ong per l’export di bombe sarde all’Arabia saudita per la guerra in Yemen riaccende il dibattito sulla riconversione della Rwm a Domusnovas. E Banca Etica denuncia l’affaire ai soci della Rheinmetall.
L’Italia è colpevole di crimini di guerra in Yemen, in combutta con la fabbrica di Rwm Italia Spa di Domusnovas in Sardegna, di proprietà del gruppo industriale Rheinmetall, con sede a Dussendorf in Germania.
In estrema sintesi è questa la tesi con cui la Rete Disarmo, insieme ad altre organizzazioni che si battono per la fine di uno dei conflitti più ignorati e insieme più mortiferi del mondo arabo, ha sferrato la sua battaglia legale contro le ipocrisie e le opacità dell’export di sistemi d’arma in Italia.
L’ESPOSTO è stato depositato alla procura della Repubblica di Roma e presentato ieri con una conferenza stampa internazionale. «Si tratta di una denuncia penale molto ben documentata», ha spiegato Francesca Cancellaro dello studio Gamberini incaricato di seguire l’azione legale intentata contro i vertici la Rwm Italia e dell’Uama, l’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento, cioè il comitato che indirizza per conto di Palazzo Chigi l’attività parlamentare di verifica e concessione delle autorizzazioni all’esportazione di armi in base alla legge 185.
Anche se il direttore dell’Uama, il ministro Francesco Azzarello, ha fatto sapere a stretto giro di essere «sereno» e «a completa disposizione della magistratura», la vicenda di cui dovrà rispondere, se la magistratura italiana aprirà un fascicolo, non sarà né semplice né generica.
NEL DOSSIER presentato in procura si fa riferimento, con foto e testimonianze, alla morte di sei persone, incluso una donna incinta e quattro bambini, nel villaggio yemenita di Deir Al Hajari, situato in una zona di nessuna rilevanza strategica, senza insediamenti militari, un villaggio popolato solo di civili inermi.
I sei morti identificati furono provocati da un raid aereo della coalizione militare a guida saudita l’8 ottobre 2016. Successivamente nel cratere dell’esplosione sono stati rinvenuti i resti delle bombe incluso un anello di sospensione che, fatti analizzare da una società specializzata , si possono far risalire alla produzione dello stabilimento sardo della Rwm di fine 2016 cioè dopo la deflagrazione del conflitto armato in Yemen.
I legali dicono che a quel punto, dopo le denunce dell’Onu, essendo «notorio» che in Yemen si stavano consumando violazioni dei diritti umani, autorizzare l’export di questo secondo lotto di bombe verso l’Arabia saudita è stato «grave», «con un profilo di colpevolezza da verificare» e ipotizzano per il governo il reato di abuso d’ufficio in violazione della legge 185, che vieta l’export verso paesi belligeranti, e della normativa sovranazionale, sia come Posizione comune europea del 2008 sia del trattato sul commercio di armi firmato dall’Italia nel 2013.
Miriam Saage-Maass, vice direttrice dell’European center for costitutional ad human right – ong che, insieme a Rete disarmo eall’organizzazione yemenita Mwatana, ha intrapreso questa causa – fa notare che «le esportazioni di armi ancora in atto da parte dei Paesi europei favoriscono l’uccisione di civili, mentre società come la tedesca Rheinmetall Ag e la sua filiale italiana traggono vantaggio da questo business».
E ciò che è peggio è l’ipocrisia con cui «allo stesso tempo, i Paesi esportatori forniscono aiuti umanitari alla medesima popolazione colpita da queste armi».
QUANTO A IPOCRISIA, la Germania non è da meno dell’Italia: applica con severità il divieto di export bellico diretto in Yemen ma solo per le industrie nel suo territorio. Così, la consociata italiana del gruppo tedesco Rheinmetall, è libera di vedersela con le leggi e le opacità delle autorità italiane.
Per denunciare questo metodo e le responsabilità in Yemen Nicoletta Dentico di Fondazione Banca etica ha annunciato che, insieme alla Caritas tedesca, è stato acquistato un pacchetto minimo di azioni della Rheinmetall che consenta diritto di parola all’assemblea dei soci del prossimo 8 maggio a Bonn.
LA QUESTIONE LAVORO in Sardegna verrà nel frattempo affrontata il 5 e 6 maggio dal Comitato riconversione della Rwm a Iglesias. Lo stabilimento della fabbrica di bombe copre 7 ettari tra Iglesias e Domusnovas e impiega 80 dipendenti, il doppio inclusi contrattisti e indotto. La Rwm ha presentato una decina di progetti di ampliamento, tra cui un poligono per i test di nuovi ordigni, in modo da bypassare la valutazione d’impatto ambientale come denuncia in queste ore la locale sezione di Italia Nostra. «Vogliamo rompere il silenzio della Sardegna, dalla Regione ai sindacati Cgil Cisl e Uil, su questa questione – spiega Carlo Cefaloni – facendo capire che investire in una economia volta al turismo e alla pace produrrebbe più posti di lavoro».
Oltretutto il gruppo Rheinmetall sta costruendo dal 2016 tramite anche una consociata sudafricana una fabbrica direttamente in Arabia saudita e potrebbe ben presto delocalizzare là la produzione sarda.
tratto da Il manifesto del 18 aprile 2018