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A Napoli in 50 mila, nel silenzio dei media

Da Torino alla Sicilia, hanno sfilato in 50 mila a Napoli per la manifestazione nazionale de La Via Maestra (160 associazioni con la Cgil) contro autonomia differenziata, premierato, contro il riarmo, per la sanità, l’istruzione, il clima, contro il Ponte. Ma tg e giornali non se ne sono accorti.

I napoletani tra sabato e domenica hanno avuto due sorprese inaspettate dopo i terremoti. La prima è stata vedere l’imponente manifestazione nazionale La Via Maestra sfilare per le vie della città, la seconda è non vederne traccia o quasi il giorno dopo sui media nazionali, dai giornali alle televisioni. La manifestazione di sabato 25 maggio convocata dalla Cgil e dalle associazioni i che si raggruppano nel cartello La Via Maestra (tra cui anche quelle di Sbilanciamoci!) ha avuto una grande partecipazione, sia dal Sud che dal Nord. Tantissimi lavoratori sono venuti dalla Toscana, complice il nuovo collegamento ferroviario veloce con il capoluogo campano, ma anche dal Piemonte sono stati particolarmente numerosi, segno che le parole d’ordine lanciate dal sindacato per l’appuntamento a Napoli – contro l’autonomia differenziata e contro il premierato – si stanno facendo strada. C’è la sanità e il scuola pubblica alla base del rifiuto dell’autonomia differenziata e in effetti le categorie della Funzione pubblica e della sanità privata, specialmente dalla Campania, hanno dato il contributo maggiore alla riuscita della manifestazione nazionale, inventandosi anche modi creativi di sfilare con maschere di pulcinella e “Bella Ciao” cantata con tric-trac e tamburelli. 

Dalle trenta alle cinquantamila persone – l’ultima cifra è quella che è stata data dal palco – hanno attraversato il centro di Napoli, tante che in piazza Dante, al termine del corteo, non riuscivano ad entrare. Ma né i giornali né i telegiornali ne hanno parlato, silenzio. Derubricata a iniziativa locale, regionale, e quasi fosse mal riuscita, la Via Maestra è finita di spalla persino sul Mattino, il quotidiano di Napoli, nonostante un corteo nazionale in città non si fosse ancora mai visto e nonostante la presenza del sindaco Manfredi. Il Mattino ha preferito dare maggiore spazio all’annunciata presenza di Giorgia Meloni a Caivano mercoledì prossimo. La Rai, evidentemente tranquillizzata dall’autoironia della premier, l’ha confinata nel Tg regionale della Campania. Anche La Repubblica, nonostante il suo ex vicedirettore Massimo Giannini sul palco abbia condotto uno degli interventi più forti contro la deriva antidemocratica insita nelle riforme del governo Meloni, ha riservato spazio solo nelle pagine locali della cronaca. Il Corriere della Sera ha fatto lo stesso, salvo un inciso straniante nell’articolessa domenicale di Teresa Meli per far capire da dove provenivano le parole della segretaria del Pd Elly Schlein, che in effetti ha sfilato a Napoli ma non ha affatto parlato dal palco, come invece sembrava leggendo le agenzie, come non ha parlato, facendo solo un fugace passaggio,Michele Santoro. Non essendoci Conte invece il Fatto quotidiano ha pubblicato solo un trafiletto. L’unico giornale che ha parlato dei contenuti della manifestazione, degli interventi, dei manifestanti, è stato il manifesto, seppure senza nobilitare il pezzo con una apertura di pagina. Insomma, veramente una cattiva prova, che mostra quanto sia in arretramento il giornalismo italiano. Perché a Napoli c’era davvero uno spaccato interessante dell’Italia, certo, non governativo. Dai ragazzi dei sindacati studenteschi Udu e Link con il loro spezzone pieno di fumogeni e cori per la Palestina, contro i manganelli governativi che reprimono le loro proteste per il diritto allo studio, l’alloggio e i diritti, fino ai pensionati liguri che in solidarietà con il Sud intonavano ‘O Sole Mio.

C’era ad esempio Stefano Ioffredo di Pozzuoli, segretario di Alleanza Verdi Sinistra della provincia di Napoli, reduce delle 130 scosse dello sciame sismico che in questi giorni ha colpito la zona flegrea, con le 730 segnalazioni di danni alle abitazioni, le 34 famiglie evacuate. “Siamo 2 milioni di abitanti – dice – e il governo ha stanziato soltanto 50 milioni di euro nel decreto Campi Flegrei, non bastano di certo neanche per mettere in sicurezza i sottoservizi, le tubature dell’acqua, del gas, le fognature. E ci hanno tacciati di essere abusivi, di non aver coscienza del nostro territorio, poi si è aggiunta persino la beffa degli aiuti per andare via. Tutto molto autoassolutorio ma non è quello che ci aspettiamo dal governo, questo incoraggiamento ad andare via, a lasciare il Sud, come i giovani che lasciano l’Italia, come ciò che ci aspetta con l’autonomia differenziata, è un segnale proprio brutto”. E alla fine chiede “agli italiani che mandino messaggi di solidarietà al popolo flegreo perché ne abbiamo bisogno dopo le parole di Musumeci, siamo un popolo di lavoratori, ci sono e c’erano fabbriche nel nostro territorio, nel comprensorio Olivetti”. Quanto a dove trovare i soldi per le infrastrutture antisismiche (la mappa degli interventi della Regione prevede una spesa da 1 miliardo e 287 milioni), la risposta è pronta: “Definanziare il Ponte sullo Stretto”. 

Definanziare il Ponte è quello che chiedono anche i manifestanti venuti dalla Sicilia e lo chiedono oltre 160 associazioni de La Via Maestra, tra cui Legambiente e Wwf che lo hanno ricordato dal microfono del palco, ricordando anche i pronunciamenti della Banca d’Italia, dell’Ufficio parlamentare di bilancio sulla irrealtà del progetto. Così come hanno ricordato, in particolare nell’intervento di Raffaella Bolini dell’Arci, l’articolo 11 della Costituzione contro il riarmo e le guerre che oltre a portarci alle soglie di una guerra nucleare ci tolgono risorse per la sanità, la scuola, il reddito di cittadinanza, la transizione energetica e il clima. 

Al segretario generale Maurizio Landini è toccato ricordare invece al popolo di piazza Dante che ancora rappresenta “la maggioranza del Paese”, perché “questo governo ha ricevuto la maggioranza con 12 milioni di voti ma 15 milioni hanno votato altro e 18 milioni non hanno votato”. Perciò, ha ammesso Landini, “quando mi chiedono se sto facendo politica rispondo che sì, stiamo facendo politica, per difendere la Costituzione più bella del mondo e se andranno avanti a cercare di toccarcela non esiteremo a portare la gente a votare ai referendum”. Quello costituzionale, mentre nel frattempo nei banchetti della manifestazione si raccoglievano le firme per i quattro quesiti contro il Jobs act e le norme sugli appalti a cascata che concorrono alla strage dei morti sul lavoro. Landini ha ricordato che contro il progetto di autonomia differenziata c’è ora anche l’impegno della Cei: il cardinal Zuppi nelle stesse ore ha detto che contro quella che viene chiamata “la secessione dei ricchi” sono in grande fibrillazione “gli episcopati del Sud”. Ma il segretario della Cgil non ha risparmiato aspre critiche neanche al Pd, sia ricordando la paternità di norme come il Jobs Act che hanno alimentato la precarietà, sia chiedendo che il governatore dell’Emilia-Romagna Bonaccini sia il primo a ritirare il progetto di autonomia differenziata. “Abbiamo 5 milioni e 100 mila iscritti al sindacato, basta che ognuno porti altri cinque a votare e abbiamo vinto, e non abbiamo paura perché a noi non ci compra nessuno, non siamo in vendita”, ha concluso.