Che fare dei siriani che scappano dalla guerra? E che fare degli africani che scappano dalla fame? Per una volta le risposte della Fortezza-Europa non sono state quelle solite, non del tutto, almeno. Quel che abbiamo di fronte è un cambio di paradigma e questa volta Angela Merkel va presa sul serio La storia del […]
Che fare dei siriani che scappano dalla guerra? E che fare degli africani che scappano dalla fame? Per una volta le risposte della Fortezza-Europa non sono state quelle solite, non del tutto, almeno. Quel che abbiamo di fronte è un cambio di paradigma e questa volta Angela Merkel va presa sul serio
La storia del mondo, intesa come ricostruzione del passato è difficile e controversa. La difficoltà di interpretare correttamente i documenti del tempo andato è risaputa; quelli del presente lasciano quasi sempre aperte molti dilemmi e contraddizioni. Più semplice e indiscutibile è la storia del futuro, purché non ci si appassioni ai dettagli. Ma lasciamo per un momento la storia del mondo (tanto va avanti lo stesso senza di noi).
Del futuro, da quando la scienza ha demolito l’arte del vaticinio e l’astrologia, la trasmigrazione e la speranza di paradiso (o il timore dell’inferno) si occupano ormai quasi soltanto gli assicuratori e i banchieri, trasformando in materia sordida la voglia di sapere, di prepararsi. Negli ultimi secoli è cresciuta poi la riflessione ambientale e sulla natura: se faccio adesso qualcosa: costruisco, scavo, brucio, trasformo, di certo modifico l’assetto del mio domani. Avrò abbastanza da mangiare? E se non faccio niente?
Duecento anni fa Tommaso Roberto Malthus ha riordinato il problema. L’aumento della prole e quindi in ultima analisi della popolazione, se libero da vincoli, ha un ciclo di crescita geometrico; l’aumento della produzione agricola, dei beni di sostentamento, a condizioni date, ha un tasso di crescita solo aritmetico. Pur senza farne un dogma insormontabile, la questione era risaputa; non c’era discussione, mancavano teorie accolte da tutti. I positivisti hanno riflettuto; hanno spiegato che i regni e le religioni, erano nati così, con il compito di limitare le libertà di procreare; d’altro canto i viaggi per mare, le conquiste, le scoperte di nuove terre, gli scambi di merci, le emigrazioni, la schiavitù, la guerra, la grande industria erano altrettanti modi per forzare la crescita della produzione, liberarsi dal vincolo della progressione aritmetica, pareggiare la geometria delle nascite. Dopo, da una parte e dall’altra, un milione di economisti si è dato un gran daffare per discutere Malthus e metterlo definitivamente in soffitta.
Oggi sono i politici ad affrontare di nuovo l’eterno, insolubile problema. Che fare dei siriani che scappano dalla guerra? Che fare degli africani che scappano dalla fame? Per una volta le risposte della Fortezza-Europa non sono state quelle solite, non del tutto, almeno. Una serie di paesi europei ha armato le polizie, ha costruito dei muri di filo spinato, ha bloccato le stazioni ferroviarie, ha scritto numeri al braccio dei bambini, ha tirato, nei momenti migliori, pagnotte alla folla per tenerla buona, ha fatto risse e sgambettato povera gente in fuga, priva ormai di tutto. C’è il noto caso di un paese pesce-in-barile e si sono sentiti i banchieri e i loro assicuratori, riuniti in accademia, ripetere verso, osservando che “dopotutto gli immigrati pagheranno le pensioni dei nativi”. Infine c’è stata la Germania di Angela Merkel che ha capovolto il gioco: “I siriani? Li prendo io”.
Si devono esaminare con attenzione, facendo ogni sforzo, le posizioni politiche dei paesi europei che alzano steccati. Essi si sforzano di convincersi del “proprio” diritto e ripetono quotidianamente: “sono padrone a casa mia” e temono il disordine delle orde siriane. Perciò sospettano dell’autenticità dei rifugiati e vogliono vederne carte e timbri, garanzie e salute accertata, prima di accoglierne uno soltanto. Se si depura la scelta politica di tutto l’eccesso di sgarberie e parole avventate, dell’esagitata propaganda, rimane il vecchio Malthus, cioè la paura di dividere in tanti, improvvisamente diventati troppi, il poco cibo disponibile, le scarse risorse, attribuite ovunque a pochi eletti – o nominati – in modo definitivo e insindacabile, nei secoli dei secoli. Né più né meno. Il caso di Merkel è diverso. Qui l’errore di approssimazione che molti commentatori hanno fatto è quello di credere che essa – vecchia volpe sovietica, forse, sotto-sotto, marxista – vuole per sé i siriani che sono tutti laureati in chimica e in ingegneria e potrebbero servire, con poca spesa, alle fabbriche di Dusseldorf e di Stoccarda, nel continuo miglioramento dei tassi di esportazione… Questa volta però Merkel va presa sul serio. L’abbiamo vituperata per anni, abbiamo deriso la sua politica, la Grosse Koalition, i suoi gesti, i suoi vestiti. Ora di fronte alla sua offerta di 5 milioni di posti per immigrati in 10 anni non sappiamo pensare che all’imbroglio. Quando abbiamo di fronte uno statista, sia pure di parte avversa – noi che siamo abituati alle mezze figure – non sappiamo riconoscerlo. E’ il momento di capire. Abbiamo di fronte un cambio di paradigma, nella politica mondiale, nei rapporti internazionali e più in generale nel progetto di futuro. La novità della Germania è stata quella di vedere la novità della situazione, il capovolgimento di Malthus, e di non fermarsi lì, ma di mettere in grado di funzionare, in ogni stadio, un provvedimento tanto complicato: alloggi, cure sanitarie, accoglienza per bambini e anziani, scuole di tedesco: tutto messo a punto e tutto in grado di funzionare. L’eccezionalità della governante tedesca è di avere l’idea nuova, di saper proporre e mettere in pratica una soluzione tutt’altro che semplice ma unica adatta ai tempi. E di avere il consenso dei suoi, degli alleati, degli avversari: del paese intero.
Merkel non cerca i siriani per sfruttarne le capacità manuali e la cultura tecnica. Certo, anche questo è un vantaggio, ma un vantaggio soprattutto per i siriani più giovani che si sapranno inserire senza troppi sforzi nella società tedesca. Molti ricordano come siano stati accolti negli anni sessanta gli italiani e subito dopo i turchi: tutta gente che si accontentava e si arrangiava; avrebbe imparato ben presto a vivere in Germania, ma per cultura scientifica non era granché. Inoltre è noto come siano stati accolti vent’anni dopo i tedeschi dell’est che sapevano la lingua, e quindi erano avvantaggiati, ma le tecniche che avevano appreso, alle scuole e nel partito, erano, agli occhi strabici del maggior capitale tedesco, tutte sbagliate. Hanno dovuto ristudiare tutto, tornare a scuola. E sono diventati medici e scienziati, professori e letterati, operai e sociologi, pittori e romanzieri, presidenti della repubblica e capi del governo federale.
Come è stato possibile accantonare Malthus, proprio adesso? Ci siamo fatti l’idea che Frau Kanzlerin abbia letto gli studi aggiornati delle Nazioni unite in ordine alla popolazione. In uno di questi testi, “World Population Prospects” 2015, si fa la storia del futuro, della popolazione mondiale e dei vari continenti e paesi, degli uomini e delle donne, dei giovani e dei vecchi, dei bambini che se ne vanno appena nati e di quelli che resistono cinque anni o anche meno, delle giovanissime che restano incinte, dei malati di Siv-Aids che decimano a lungo andare la loro popolazione di appartenenza, delle persone che emigrano; tutto questo e molto altro ancora per tutto il secolo che stiamo consumando. Fino al 2100. Qui bisogna capirsi. Le madri del 2030 sono già nate, per cui un po’ di verità, di numeri, per quell’anno li conosciamo distintamente. Sappiamo – le carte dell’Onu ce lo spiegano – che scuola hanno fatto milioni di ragazze madri, cosa hanno imparato, sappiamo la loro religione, il progetto di vita di molte, per sé e per i figli che spesso sperano di avere; “non subito, per favore..” Si può dire che sono esse che cambieranno la storia, semplicemente rimandando. Si può dire d’altro canto che i dotti dell’Isis hanno forse letto anch’essi il futuro descritto dall’Onu e lo vogliono storcere a loro modo?
“Le gravidanze di adolescenti che possono avere importanti conseguenze sulla salute e sulla considerazione sociale tanto della ragazza quanto della creatura che ha in grembo sono crollate in molti paesi. Ciò non di meno un’alta fertilità adolescenziale rimane un problema in certe parti del mondo”. Lo afferma l’Onu nel suo rapporto dl titolo World Population Prospects 2015 che si riassume in un elenco di 28 Risultati principali o Key Findings Quello che precede è il 20mo.
La fertilità è, oggi, di cinque figli per donna in vari paesi dell’Africa a sud del Sahara e in Afghanistan. Si è ridotta in larga misura non solo nel resto del mondo, ma perfino nei paesi africani; e in generale è in corso una sorta di riaggiustamento. A fine secolo, utilizzando le previsioni più attendibili scientificamente, la fertilità si aggirerà nel mondo – in tutte le plaghe del mondo – attorno ai due nati per donna, o poco meno, con una convergenza dei nati da donna di ogni parte del globo; quindi accanto alla rapida riduzione africana vi sarà una lieve crescita da parte dei paesi dell’Europa e del Giappone che oggi sono molto al di sotto dei due punti. In altre parole il numero degli umani diminuirà nel tempo, nonostante l’allungamento della vita media, dal momento che solo una fertilità del 2,1 per donna manterrebbe nel tempo il livello di popolazione. Ma non è necessario correre così lontano.
Già ora, “Nel periodo 2010-2015, gli 83 paesi la cui fertilità non consentiva il rimpiazzo, costituivano il 46 per cento della popolazione mondiale. I paesi più popolati, tra quelli caratterizzati da una fertilità inferiore al rimpiazzo, erano Cina, Stati Uniti d’America, Brasile, Federazione russa, Giappone, Vietnam, Germania, Repubblica islamica dell’Iran, e Thailandia, in ordine di grandezza della popolazione”. La frase che precede è il 18mo punto dei 28 che condensano il futuro demografico del mondo. (Key Findings). Come è facile notare sono compresi i paesi più forti, di oggi e di domani, dal punto di vista dell’economia. Per essi la legge di Malthus non vale più. Questa volta il punto dolente non è infatti l’eccesso di popolazione di fronte alla insufficiente produzione agricola e di altre merci, ma proprio il contrario: la scarsa e cedente popolazione di fronte alla incontenibile produzione di beni. I dirigenti pubblici di gran parte dei paesi europei si preoccupano di altro, trovano altre soluzioni, come 50 anni fa la Cina con la legislazione dell’unico figlio. La Germania preferisce guardarsi intorno. L’Europa non avrà abbastanza nati per rifornire le sue necessità. Infatti, come assicura il 14mo punto del testo che stiamo saccheggiando, riflette sul fatto che “E’ previsto che quarantotto paesi o aree vedranno un declino di popolazione tra il 2015 e il 2050. Per undici paesi si prevede un declino superiore al 15 per cento entro il 2050: Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Ungheria, Giappone, Lettonia, Lituania, Repubblica di Moldavia, Romania, Serbia e Ucraina”. A parte il Giappone, sono tutti paesi europei. Non è in Europa che la Germania potrà rifornirsi del tutto dei nuovi cittadini di cui pensa di avere bisogno: scienziati, operai, giocatori di calcio; dovrà guardare anche altrove.
Sarebbe un errore trascurare altre conseguenze della caduta della fertilità e immaginare che vi sia soltanto uno scambio tra popolazione e produzione di merci e di cibo. In realtà la popolazione mondiale nel giugno del 2015 è di 7,3 miliardi di cui sono uomini il 50,4 per cento, donne il 49, 6. Si prevede che nel 2016, 83 milioni di persone aumenteranno la popolazione mondiale. Assumendo un accentuato declino della fertilità seguiranno due risultati pressoché inevitabili: il rallentamento nel tasso di crescita della popolazione mondiale e l’invecchiamento della popolazione complessiva. Già negli ultimi decenni la mediana della popolazione mondiale (quella che divide in due metà la popolazione intera, i più giovani da una parte, i più vecchi dall’altra) passa da 30 a 36 anni tra 2015 e 2050. Arriverà a 42 anni nel 2100. In Europa la mediana è di 42 anni nel 2015, per arrivare a 46 nel 2050 e a 47 nel 2100. Per i paese meno sviluppati le mediane prevedibili sono 20 (2015), 26 (2050) e 36 (2100).
Come ultimo punto si può dire qualcosa dell’emigrazione che Merkel ha dimostrato di avere capito. Ma tanto per evitare che si dia troppe arie è meglio lasciare che sia direttamente l’Onu a spiegarsi. Leggiamo allora gli ultimi due punti – 27mo e 28mo – di quelli contenuti nel Rapporto Onu sul World Population Prospects.
“27. Fra il 2000 e il 2015 la migrazione netta verso Europa, America del Nord e Oceania ammonta in media a 2,8 milioni di persone l’anno. Se si raggruppano i paesi per reddito piuttosto che per collocazione geografica, l’attrazione dei paesi ad alto reddito è anche più evidente: tra 2000 e 2015 i paesi ad alto reddito hanno ricevuto in media 4,1 milioni di migranti netti ogni anno da paesi a basso o medio reddito. Le asimmetrie economiche e demografiche tra i paesi resteranno probabilmente potenti generatori di migrazioni internazionali nel medio-termine futuro. I movimenti di rifugiati su larga scala hanno avuto a loro volta una profonda influenza sul livello di migrazioni nette sperimentate da alcuni paesi, inclusi quelli colpiti di recente dalla crisi Siriana”.
“28. Nei paesi o nelle aree dove la fertilità è ancora al di sotto del livello di rimpiazzo, la popolazione totale si prevede si ridurrà, se l’eccesso delle morti sulle nascite non sia controbilanciato da un apporto di migrazione netta. Comunque, la migrazione internazionale ai livelli correnti, o non lontano da essi, sarà insufficiente a colmare del tutto la riduzione di popolazione dovuta ai bassi livelli di fertilità. Tra 2015 e 2050 l’eccesso di morti sulle nascite è prevista in 63 milioni, mentre il numero di migranti internazionali verso l’Europa è prevista in circa 31 milioni, ciò che implica una complessiva riduzione della popolazione europea di circa 32 milioni”.