Le sempre maggiori connessioni italo-francesi nel campo economico, se consideriamo le acquisizioni e insieme le joint-venture, sembrano una strada segnata per il nostro paese, ma vediamo caso per caso.
premessa
E’ noto come, negli ultimi decenni, in Italia si sia largamente e progressivamente ridimensionato il numero e il peso delle grandi e medio-grandi imprese nazionali, numero già abbastanza ridotto all’inizio e come questo sia avvenuto con la complicità o l’inerzia sia degli stessi imprenditori del nostro paese, che del sistema finanziario e di quello politico nazionali.
Naturalmente, giunti a questo punto, sarebbe opportuno provare ora a salvaguardare il poco ancora esistente e anche, per quanto è possibile, cercare di rafforzarlo. In un’epoca di crescente globalizzazione dei mercati e delle imprese, si tratta di un passaggio obbligato in un paese in cui la taglia delle grandi imprese è comunque comparativamente contenuta rispetto a quella dei campioni dei vari settori e in cui i processi di internazionalizzazione sono relativamente ridotti.
Una via per farlo appare ovviamente quella dell’integrazione più o meno stretta con imprese di altri paesi; si può andare dalle joint-venture, alle fusioni tra uguali, alle acquisizioni.
Nel nostro caso, si va da tempo delineando in particolare uno scenario di possibili importanti collaborazioni con il sistema industriale francese. Ci sono in tale senso alcuni esempi passati, dei tentativi in atto ed anche delle integrazioni future potenziali. Il momento sembra per alcuni versi favorevole, perché anche dall’altra parte ci si rende conto della necessità di ampliare gli orizzonti.
Nel pensare a possibili unioni tra imprese, non facciamo tanto riferimento, in questa sede, ai casi, pur molto numerosi, che hanno visto i capitali francesi scendere verso la penisola e acquistare con facilità molte imprese di rilevanti dimensioni, dalla Telecom Italia, alla Parmalat, alla Edison, alla ex-Banca Nazionale del Lavoro e ad altre importanti strutture finanziarie, sino ai marchi del sistema moda, in presenza tra l’altro di una scarsa reciprocità di comportamenti in senso inverso, dall’Italia verso la Francia; ci riferiamo invece ai tentativi di integrazione più o meno tra uguali, almeno sul piano formale.
In queste note vogliamo analizzare brevemente alcuni casi e cercare di trarne una qualche indicazione per una possibile politica di intervento futura.
La STMicroelectronics
Il più vecchio e importante accordo industriale che si conosca tra Italia e Francia ha riguardato a suo tempo la creazione della STMicroelectronics, partendo dalla fusione tra alcune importanti attività già presenti nei due paesi nel settore della componentistica elettronica. Il gruppo è oggi controllato dalla St Holding che possiede il 27,50% del capitale. Quest’ultima società vede poi la presenza paritetica a livello azionario del capitale pubblico italiano e di quello francese. Largo spazio è comunque lasciato poi agli azionisti privati.
Si tratta di uno dei pochissimi casi di imprese europee che riescono a reggere il ritmo in un mercato tecnologicamente avanzato, in particolare in un settore dominato dai produttori statunitensi ed asiatici.
La società ha fatturato nel 2017 circa 8,4 miliardi di dollari, ottenendo un utile netto di circa 800 milioni, con risultati in crescita rispetto all’anno precedente. Ricordiamo peraltro che il settore ha un andamento ciclico.
Dal 2005 ad oggi sia l’amministratore delegato che il direttore finanziario sono stati di nomina italiana, ma presto essi lasceranno il passo a manager francesi.
Il caso viene di solito citato come esempio di un rapporto economico riuscito tra i due paesi e viene anche a volte contrapposto in questo senso alle difficoltà che hanno incontrato nel tempo alcune joint-venture tra imprese tedesche e francesi.
Va comunque sottolineato che si è registrata nel tempo una certa distrazione e noncuranza nella gestione dell’affare da parte del governo del nostro paese.
Le joint-venture di Finmeccanica-Leonardo
E’ poi venuta una serie di joint-venture importanti da parte della Finmeccanica-Leonardo. Così nel campo dei vettori e dei satelliti la società Thales Alenia Space vede una partecipazione di controllo della francese Thales con il 67% del capitale, mentre Leonardo possiede il restante 33%. La joint-venture occupa oggi circa 8.000 persone e nel 2016 ha fatturato 2,4 miliardi di euro. Viceversa, nella società Telespazio è Leonardo ad avere il 67% del capitale e Thales il 33%. In questo caso il fatturato 2016 è stato di circa 560 milioni di euro e la joint-venture occupa circa 2.500 persone.
Nella Mdba, che si occupa invece di sistemi missilistici, entrano in lizza, oltre ai francesi, anche gli inglesi. Così Airbus Group controlla il 37,5% del capitale, Bae Systems ancora il 37,5% e Leonardo il 25%. La società impiega quasi 10.000 persone e il fatturato 2016 è stato di 3,0 miliardi di euro.
Nella Atr, che costruisce velivoli regionali a turboelica, il controllo è paritetico al 50% tra Airbus e Leonardo. La società impiega circa 1.300 persone e nel 2017 il suo fatturato è stato pari a 1,8 miliardi di euro.
Citiamo ancora il programma per la costruzione del drone europeo cui partecipano Leonardo, Airbus e Dassault Aviation e una joint-venture tra Thales Alena Spazio e Telespazio da una parte e la statunitense Spaceflight dall’altra per la produzione di satelliti di piccole dimensioni.
Da una parte appare evidente come i capitali francesi abbiano un peso maggiore di quelli italiani nel complesso delle iniziative e, d’altra parte, come gli stessi transalpini tendano a considerarci come dei junior partner. Questo dipende, peraltro, anche dal nostro potere di contrattazione inferiore e dalla nostra tradizionale arrendevolezza anche politica.
Il caso Luxottica-Essilor
E’ notizia di questi giorni che le autorità antitrust Usa e quelle dell’Unione Europea hanno dato il via libera all’integrazione tra Luxottica e Essilor. Manca a questo punto soltanto l’autorizzazione dell’antitrust cinese, che non dovrebbe peraltro mancare.
In questo caso ci troviamo di fronte a due imprese a capitale privato, da una parte l’italiana Luxottica, che domina il mercato delle montature e dall’altra la francese Essilor, che invece controlla quello delle lenti. Esse hanno deciso poco tempo fa di fondersi.
Si viene così a costituire un grande gruppo nell’occhialeria, che arriva ormai a fatturare quasi 17 miliardi di euro, con utili vicini ai 2 miliardi e che ha oggi una capitalizzazione di Borsa di circa 50 miliardi. Esso occupa complessivamente circa 140.000 dipendenti.
La società Dolfin, posseduta da Del Vecchio, controllerà più del 30% della nuova compagine di capitale, diventando apparentemente l’azionista di riferimento. Un italiano e un francese avranno le deleghe operative in attesa della nomina di un amministratore delegato. La sede principale del gruppo sarà comunque in Francia.
Appare difficile alla fine capire chi avrà veramente in mano le redini del potere; ma tra le righe si intravede che nel medio termine i francesi potrebbero prendere il sopravvento.
Il caso Fincantieri- STX-Naval Group
Di recente abbiamo assistito ad un processo, peraltro ancora in atto, che dovrebbe portare ad un’integrazione stretta tra imprese italiane e francesi nel settore delle costruzioni navali, civili e militari.
Dopo lunghe e complesse trattative, Fincantieri è riuscita ad acquisire il controllo della francese STX, arrivando con questa mossa a detenere circa il 60% del mercato delle navi da crociera a livello mondiale, ma a prezzo di pesanti concessioni alla controparte, in un caso in cui più in generale non abbiamo certo fatto una bella figura; comunque, tale controllo è soggetto a molte possibili incognite future e, d’altro canto, sono ora in corso delle trattative che dovrebbero portare ad un’integrazione anche nel settore delle navi militari. In questo caso, presumibilmente, la parte francese, con la società Naval Group, dovrebbe avere la meglio sulla stessa Fincantieri a livello di quote di capitale.
L’intesa, per altro aspetto, potrebbe anche creare delle difficoltà alla Leonardo, che sino ad oggi forniva alla Fincantieri la parte sistemica e d’arma dei vascelli militari.
Si sta creando comunque una realtà di molto rilievo in particolare nel settore civile, che forse, ma nel lungo periodo, dovrà misurarsi con l’avvento della concorrenza asiatica.
Leonardo-Thales?Altri casi?
Ma la storia delle aggregazioni italo-francesi non finisce probabilmente a questo punto. Così, bisogna ricordare che il settore in cui opera la Leonardo richiede, tra l’altro, dimensioni sempre più grandi, degli Stati forti dietro le quinte, dei grandi investimenti in ricerca. La Leonardo, che è da poco uscita da vicende molto turbolente e che sta comunque ottenendo in questi anni dei risultati non entusiasmanti, registrando tra l’altro una rilevante riduzione delle sue dimensioni, da sola probabilmente non ce la farà a reggere bene in un mercato così difficile ed essa avrebbe bisogno, in prospettiva, di un qualche partner industriale. Il candidato più probabile all’intesa appare per molte ragioni la francese Thales, azienda cresciuta invece nel tempo di dimensioni e di peso di mercato ed oggi in miglior forma della nostra Leonardo.
Non mancano peraltro altri gruppi medio-grandi che in questo momento cercano delle connessioni oltre confine, anche se non necessariamente in Francia. Ci riferiamo, ad esempio, ad un’impresa come la Saipem, a qualche realtà importante del sistema moda, alla stessa prossima collocazione sul mercato, in qualche forma, della Magneti Marelli, o, infine, a delle entità di rilievo del nostro sistema finanziario.
conclusioni
Il peso delle connessioni italo-francesi nel campo economico, se consideriamo le acquisizioni e insieme le joint-venture di cui abbiamo parlato sopra, sono molto importanti e superano per importanza e dimensioni, almeno per il momento, quelle con qualsiasi altro paese.
Su di un altro piano, le mire del presidente francese e del grande capitale transalpino sull’Italia appaiono oggi sempre più evidenti e, del resto, negli anni scorsi abbiamo colpevolmente lasciato che il nostro paese fosse sostanzialmente un terreno di caccia libero per il capitale straniero.
D’altro canto, il nostro sistema industriale, se vuole crescere, è obbligato a espandersi a livello internazionale, avendo oggi concentrato troppo le sue attenzioni al solo mercato europeo, ricercando la collaborazione di interlocutori di peso, data anche le sue numerose debolezze di fondo.
Naturalmente, sono evidenti i pericoli di un incontro con i francesi da posizioni di debolezza pronunciata, ciò che potrebbe portare ad un sostanziale assorbimento di un fetta molto importante del sistema industriale nazionale da parte dei nostri interlocutori. Intanto si parla in maniera sempre più insistente, sui media europei, di una fusione franco-tedesca, azione che sarebbe in qualche modo rafforzata da un’integrazione anche dell’Italia nel patto, ma in un ruolo economico subordinato.
Si può cercare di ridurre, per quanto possibile, ma certo non cancellare, tale minaccia attraverso delle forti strategie di sostegno a livello politico, economico, finanziario da parte dei nostri governi alle nostre grandi imprese; ma tali azioni potrebbero essere rese ancora più difficili dall’eventuale permanere di uno stato di confusione del nostro sistema politico.
La strada di un’integrazione più o meno subalterna appare comunque, in ogni caso, obbligata a meno di imprevedibili accadimenti futuri.