Dopo la ‘facile’ preparazione del governo di Mario Draghi, cambiare le regole europee su spesa nazionale, aiuti alle imprese e debito pubblico sono le tre cose ‘difficili’ che il governo Draghi potrebbe mettere nell’agenda di Bruxelles.
Troppo facile per Mario Draghi, presidente del Consiglio incaricato, raccogliere le disponibilità delle forze politiche – quasi tutte – a far parte del suo governo. Meno facile trovare l’equilibrio per un programma e per un governo che duri fino alla fine della legislatura, nel 2023, se questo è l’obiettivo che si è dato. Non troppo difficile è l’impiego dei 209 miliardi di sussidi e crediti di Next Generation EU in buoni investimenti: il Paese è stato talmente fermo che ha bisogno di tutto.
Il difficile – dobbiamo ricordarlo – era già stato fatto da Giuseppe Conte, Roberto Gualtieri e Paolo Gentiloni nei primi mesi del 2020 quando, di fronte alla pandemia, hanno contribuito a cambiare gli equilibri in Europa e a lanciare questo primo strumento di una politica fiscale comune. La prova più importante per Mario Draghi non sarà districarsi tra Giorgetti e Patuanelli, ma spingere l’Europa a fare i passi successivi.
A casa nostra, rimpiazzare l’austerità con una politica espansiva e avere una guida competente del Paese sono scenari che sembrano aver fatto evaporare all’improvviso lo spazio politico per sovranismi, anti-europeismi e populismi. A Bruxelles le cose si muovono più lentamente, e sono tre le urgenze da affrontare, che avranno effetti profondi sul futuro dell’Italia.
I vincoli europei alla spesa pubblica nazionale sono il primo nodo. Con l’emergenza Covid-19, l’Europa ha sospeso fino al 2021 il Patto di stabilità e crescita e così l’obbligo dei governi di andare verso bilanci in pareggio. La sospensione dovrebbe ora trasformarsi in una radicale riscrittura della politica fiscale europea: abbandonare l’idea sbagliata di bilanci in pareggio e rendere permanente – al di là della pandemia – un programma come Next Generation EU, finanziato con eurobond per fare spesa pubblica ‘buona’ dove l’Unione ne ha più bisogno. La luna di miele di Draghi con la politica e la finanza ha qui la sua fragilità maggiore: se il Patto di stabilità e crescita tornasse in vigore, con l’obbligo di tagli di spesa in Italia, in un attimo crollerebbe il consenso al suo governo e si impennerebbe lo spread, il divario con i tassi d’interesse tedeschi sul debito pubblico.
La politica industriale è la seconda questione. Con la pandemia, Bruxelles ha sospeso la proibizione di “aiuti di Stato” alle imprese e tutti i governi – la Germania più di ogni altro Paese – hanno offerto sussidi, sgravi fiscali e capitali pubblici alle aziende più colpite dalla crisi. Anche questa sospensione è temporanea: se venisse reintrodotta, milioni di aziende europee farebbero fallimento. Perfino i Paesi cosiddetti ‘frugali’ sono preoccupati: il ministro dell’Industria danese – insieme a Austria e Repubblica ceca – ha chiesto a Bruxelles di elevare il limite dei sussidi alle imprese (800 mila euro) e delle compensazioni finora ammesse (3 milioni) (Financial Times: https://www.ft.com/content/19897de4-196f-4211-bcb2-fb39195c261c).
L’intervento pubblico a sostegno del sistema produttivo non dev’essere più visto come una ‘distorsione’ del mercato, da ammettere solo in via eccezionale: è oggi lo strumento principale per permettere a imprese e mercati di sopravvivere alla crisi. L’Europa ha bisogno di istituzionalizzare una politica industriale che disegni una traiettoria per lo sviluppo di attività produttive ad alto contenuto di conoscenza, tecnologia e qualità del lavoro, sostenibili sul piano ambientale, capace di ridurre le disparità sociali e territoriali. E’ quello che timidamente già suggeriscono i vincoli posti nell’impiego dei fondi di Next Generation EU per privilegiare tecnologie digitali e sostenibilità ambientale, senza tuttavia disporre di un assetto istituzionale e un’agenda esplicita di politica industriale. Per l’Italia, più colpita dalla perdita di capacità produttiva dal 2008 a oggi, è essenziale darsi un’agenda di questo tipo per organizzare in modo efficace gli interventi di politica industriale, dai progetti di Next Generation EU, ai sostegni alle imprese che dovrebbero prevedere investimenti, ricerca e occupazione in Italia (per le proposte si veda L’Industria: https://www.rivisteweb.it/doi/10.1430/98705).
Il debito pubblico è il terzo nodo. Nel suo articolo sul Financial Times del 25 marzo 2020, Mario Draghi aveva scritto che di fronte alla pandemia “è già chiaro che la risposta deve prevedere un significativo aumento del debito pubblico”. In questi dodici mesi l’aumento è stato generalizzato e una parte rilevante – un quarto circa per alcuni Paesi – del debito pubblico è ora detenuto dalla Banca Centrale Europea. Questa parte potrebbe ora essere ‘congelata’, trasformata in titoli perpetui a tasso zero, oppure cancellata formalmente. E’ stato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, in un’intervista del 14 novembre 2020, a dichiarare che la cancellazione del debito è “un’ipotesi di lavoro interessante, da conciliare con il principio fondamentale della sostenibilità del debito”(https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2020/11/14/news/sassoli_l_europa_deve_cancellare_i_debiti_per_il_covid_-274411308/).
Un nuovo appello di oltre 100 economisti europei, tra cui Thomas Piketty, chiede la cancellazione del debito pubblico nelle mani della BCE, chiedendo in cambio ai governi di destinare un ammontare corrispondente a un piano di ricostruzione sociale e ambientale (https://annulation-dette-publique-bce.com/).
Su questi tre temi, gli anni che il governo Draghi ha di fronte sono un’occasione unica per correggere gli errori più gravi dell’integrazione europea e ridisegnare gli assetti della politica economica. Il 2021 è anno di elezioni in Germania e Olanda, il 2022 in Francia e Ungheria, Angela Merkel uscirà di scena, dopo che è uscito dall’Unione europea il Regno Unito, con tutti i suoi veti a politiche diverse. Si apre uno spazio politico, un’opportunità di cambiamento che per decenni è sembrato impossibile.
Alla Banca Centrale Europea Mario Draghi era vincolato al rispetto dei Trattati e delle politiche dei governi, ed è riuscito a rovesciare la politica monetaria che aveva ereditato nel 2011 da Jean-Claude Trichet. Ora, come leader del governo italiano, avrà l’opportunità di riscrivere quei Trattati, dando all’Europa la coerenza tra politica fiscale e monetaria che è finora mancata, riconoscendo il ruolo dell’intervento pubblico nell’economia.
Un’agenda di cambiamento su possibilità di spesa, politica industriale e debito pubblico farebbe di Mario Draghi il protagonista dei restauri necessari alla costruzione europea e, sul piano interno, potrebbe assicurare al suo governo i margini di manovra di cui ha bisogno.
Per l’Italia la ricostruzione nel dopo-pandemia rappresenta l’occasione di fondo per rovesciare il lungo declino economico del Paese e avviare uno sviluppo all’insegna della sostenibilità ambientale, di produzioni avanzate, del rilancio del welfare, della riduzione delle disuguaglianze (Le proposte di Sbilanciamoci! sono qui: https://sbilanciamoci.info/in-salute-giusta-sostenibile-ebook-sbilanciamoci/). La scommessa su Mario Draghi, e il consenso che potrà ottenere sul campo, si giocherà sulla sua determinazione a ridisegnare assetti politici e manovre economiche tanto a Roma che a Bruxelles.