Un nuovo studio comparativo sull’automotive in Europa, di recente realizzato dall’Osservatorio nazionale automotive di Fiom Cgil, Fim Cisl, Uilm Uil e Federmeccanica, rivela il sostanziale immobilismo dei governi e dei ministeri sul piano della politica industriale nel nostro paese. Da ‘Collettiva’.
Un settore in profonda trasformazione. Nell’automotive tutto sta cambiando: dalle tecnologie alla disponibilità di componenti e materie prime, dalla transizione ecologica ed energetica alle catene di approvvigionamento sempre più globali e ramificate, alla digitalizzazione che permette guida autonoma e processi di combustione più efficienti.
Un settore messo sotto pressione dalla volatilità dei prezzi e dalle incertezze economiche e geopolitiche generali. Alle prese con mutamenti epocali, come la decisione del Parlamento europeo del giugno 2022 (confermata il 14 febbraio scorso) dello stop nel 2035 alla produzione di auto e veicoli leggeri a propulsione endotermica (benzina e diesel).
A illuminare la situazione di questo pezzo fondamentale dell’industria mondiale è la ricerca “Automotive, uno scenario regionale”, realizzata dall’Osservatorio nazionale automotive di Fiom Cgil, Fim Cisl, Uilm Uil e Federmeccanica, che approfondisce le politiche industriali del settore in cinque Paesi a noi vicini (Francia, Germania, Polonia, Spagna e Turchia).
Uno studio di attualità e di prospettiva, ponderoso e articolato, redatto da un pool di economisti, sociologi ed esperti del settore (Luca Beltrametti, Davide Bubbico, Giuseppe Giulio Calabrese ed Eleonora Di Maria). Da questa ricerca, vista l’impossibilità di dare conto di tutte le informazioni e analisi ivi contenute, abbiamo preso in esame solo le parti riguardanti l’Italia.
Va segnalato, infine, che lo studio è stato presentato mercoledì 29 marzo a Roma, presso la sede del Cnel, alla presenza del ministro delle Imprese Adolfo Urso, del vicepresidente Anfia Marco Stella, dei quattro autori, dei vertici di Federmeccanica (Federico Visentin e Corrado La Forgia) e di Fiom, Fim e Uilm (Michele De Palma, Roberto Benaglia e Rocco Palombella).
Il commento della Fiom Cgil
“Lo studio mette in evidenza l’assenza di politiche pubbliche che ha generato un divario con gli altri Paesi europei”. Così il segretario generale Fiom Cgil Michele De Palma, intervenendo alla tavola rotonda che ha seguito la presentazione: “È urgente realizzare politiche industriali e un piano straordinario per l’automotive in Italia, per valorizzare le potenzialità d’innovazione in una fase di grandi trasformazioni del settore, con risorse adeguate rispetto agli altri Paesi”.
L’Italia è passata “dal produrre circa 1.500.000 veicoli alla fine degli anni Novanta a 473 mila nel 2022”. Il dirigente sindacale chiede dunque “un piano straordinario che metta a disposizione investimenti e strumenti per la trasformazione industriale e l’innovazione, rilancio della ricerca e dello sviluppo, rinnovo delle flotte pubbliche, ammortizzatori sociali e formazione per la salvaguardia, la crescita e la rigenerazione dell’occupazione”.
De Palma rileva che il nostro Paese “è a un bivio dal punto di vista industriale, occorre discutere di prodotto finale. E ragionare di questo vuol dire parlare delle competenze delle persone”. E aggiunge: “Malgrado il processo di desertificazione industriale in atto, in Italia ci sono ancora un sistema d’imprese, competenze e capacità di saper lavorare assolutamente di qualità”.
Quello che manca, però, è la politica. “Ogni ministro che arriva dice che abbiamo idee fantastiche, apprezza il fatto che sindacati e imprese sanno fare squadra, ma quando si tratta di decidere noi non ci siamo”, dice il segretario Fiom: “I tavoli di confronto non mancano, ma siamo stanchi di essere ascoltati e di mettere a disposizione idee e competenze quando non c’è un aggancio con la realtà in termini di politiche pubbliche”.
E poi c’è Stellantis. “Il suo piano industriale continua nella logica di annunciare le azioni stabilimento per stabilimento senza una visione complessiva”, illustra De Palma. “In questo quadro – aggiunge – è assente anche un piano sull’occupazione che possa permetterne la rigenerazione, anche attraverso strumenti come il contratto di espansione. Proseguono, invece, l’uscita incentivata e il ricorso agli ammortizzatori sociali, con il conseguente impatto negativo sui salari. L’assenza di commesse e la richiesta di abbattere i costi da parte di Stellantis sta mettendo a repentaglio la tenuta anche delle aziende di componentistica”.
Il segretario generale Fiom evidenzia che il nostro Paese “deve investire nella transizione, altrimenti ci condanniamo a morte lenta. Ma questi investimenti vanno anzitutto indirizzati all’ampliamento delle competenze, al rafforzamento delle funzioni di ricerca e sviluppo, al rapporto con le università”.
Michele De Palma così conclude: “Innovazione tecnologica, digitalizzazione ed economia circolare possono rendere la transizione un’opportunità per il rilancio della produzione, della crescita di buona occupazione e del ruolo di innovatore che il nostro Paese ha da sempre svolto”.
I numeri in Italia
Nel 2021 la produzione di veicoli ha toccato quota 796 mila, il 13% in meno rispetto al biennio precedente. Una produzione che si situa ai minimi storici rispetto ai picchi produttivi del passato (il decremento rispetto al 2010, per i veicoli passeggeri, è del 22,8%), anche a fronte di una maggiore saturazione degli addetti e ai record di fatturato dei marchi automobilistici di lusso. Va segnalato che la produzione è cresciuta nel periodo dal 2014 al 2017, passando da circa 700 mila unità a 1,14 milioni, per poi iniziare a calare.
Nel 2020 i lavoratori del settore erano 172.930, in aumento del 2,5% rispetto all’anno precedente: una quota negli anni sostanzialmente stabile, se pensiamo che nel 2010 era neanche 700 in meno. La maggior parte degli occupati (il 61%) appartiene ad aziende di fornitura.
Passiamo al fatturato: nel 2020 ammontava a 60 miliardi di euro, in diminuzione del 7,7% rispetto all’anno precedente. “I dati del 2020 – si legge nella ricerca – confermano per l’Italia una ripercussione minore della pandemia sul sistema produttivo automotive, grazie alle politiche di sostegno del governo attraverso l’estensione delle prestazioni di cassa integrazione guadagni ordinaria che hanno evitato i licenziamenti e favorito una pronta ripresa”.
Infine, salari e stipendi. La media italiana è di 30.400 euro, in calo del 10,1% rispetto al 2019 ma superiore del 27% rispetto all’intero comparto manifatturiero. Le buste paga italiane, però, sono decisamente inferiore a quelle degli altri Paesi europei: se nel 2019 lo stipendio medio era di 33.800 euro, in Francia era di 47 mila e in Germania di 76 mila euro.
La situazione dell’Italia
Il nostro Paese sconta alcuni limiti nel settore dell’automotive. A cominciare dall’assenza di “campioni nazionali” tra gli “original equipment services” (Oes, ossia i fornitori), dalla debolezza degli Oes in alcuni comparti (come l’elettronica, in particolare sensoristica e software) e dalla cronica permanenza dei problemi di carattere dimensionale delle nostre imprese.
Vi è poi il rischio dell’ulteriore ridimensionamento della capacità produttiva e delle attività di ricerca e sviluppo di Stellantis in Italia, anche in considerazione dell’attenzione della casa automobilistica alla riduzione costante del numero dei dipendenti diretti.
La ricerca denuncia anche il “sostanziale immobilismo dei governi e dei ministeri competenti sul piano della politica industriale” (con l’eccezione recente dei “contratti di sviluppo” per il settore gestiti da Invitalia) e “il limite dell’esperienza del ‘tavolo automotive’ in assenza di concrete decisioni d’intervento”.
Va ricordato, altresì, che attualmente è in vigore il “Fondo automotive”, istituito dal Governo Draghi nell’aprile 2022 (articolo 22 del dl Energia), con il quale l’esecutivo ha previsto una dotazione finanziaria complessiva di 8,7 miliardi di euro fino al 2030 (650 milioni di euro negli anni 2022-2024 e un miliardo l’anno dal 2025 al 2030) per favorire la transizione ecologica della filiera.
La ricerca sottolinea anche l’assenza di specifici distretti del settore (si annovera soltanto quello della meccatronica di Bari) e la forte incidenza delle imprese estere nel sistema produttivo della componentistica, con i rischi connessi sulla localizzazione, o semmai la delocalizzazione, dei nuovi investimenti.
Lo studio, inoltre, rileva che una quota cospicua degli incentivi rivolti al veicolo elettrico puro e plug-in sono inutilizzati e che l’infrastrutturazione per la ricarica avanza velocemente in percentuale, ma rimane lenta in valore assoluto (meno di 500 sulla rete autostradale). Non si registrano, infine, nuove iniziative sui componenti chiave della propulsione elettrica e della guida autonoma.
Le misure del Pnrr
La Missione 2, denominata “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, ha un impatto diretto sulla filiera dell’automotive. La prima misura è relativa allo sviluppo delle infrastrutture di ricarica elettrica: il finanziamento ammonta a 740 milioni di euro, l’intervento è finalizzato allo sviluppo di 7.500 punti di ricarica rapida in autostrada e 13.755 nei centri urbani.
La seconda misura, finanziata con 3,64 miliardi di euro, prevede il rinnovo di bus e treni. Si prevede il rinnovo della flotta degli autobus per il trasporto pubblico locale con mezzi a basso impatto ambientale (l’obiettivo è l’acquisto entro il 2026 di circa 3.360 bus a basse emissioni), il rinnovo della flotta dei treni regionali e intercity con mezzi a propulsione alternativa, il rinnovo del parco veicoli dei Vigili del fuoco (con l’acquisto di complessivi 3.600 veicoli elettrici e a gas).
La terza misura, finanziata con un miliardo di euro, è orientata allo sviluppo di una filiera europea delle batterie e nei settori fotovoltaico ed eolico per il settore dei trasporti. La quarta misura, finanziata con 300 milioni di euro, prevede il graduale rimpiazzo di autobus e mezzi di trasporto pubblici con nuovi veicoli meno inquinanti, in particolare veicoli elettrici.
Il futuro dell’auto
In questi ultimi anni sta emergendo una nuova visione dell’auto e dell’industria automobilistica, un trend che gli studi europei sintetizzano nell’acronimo “made”. La “m” sta per “mobilità”: l’automobile passa da prodotto da acquistare a strumento da utilizzare (quindi affittare) per la mobilità. Il settore si allarga sia ai fornitori di servizi di mobilità, che sono la nuova interfaccia dei consumatori, sia ai produttori di device (in cui conta l’utilizzo dell’auto, non la proprietà).
La “a” sta per “autonomous driving”, ossia guida autonoma. Si va verso prestazioni nuove, connesse all’evoluzione tecnologica (intelligenza artificiale, sistemi di sensoristica avanzata). Si apre quindi una competizione tra gli operatori “tradizionali” dell’industria dell’auto e le imprese tecnologiche per l’offerta e lo sviluppo di servizi di guida autonoma e assistita.
La “d” sta per “digitale”: l’automobile è sempre più un “computer con le ruote”, in cui il processo di creazione di valore verso il mercato finale può essere controllato dalle imprese specializzate nelle tecnologie digitali.
La “e” sta per “elettrificazione”: la sostenibilità ambientale e la riduzione delle emissioni provocano l’ingresso nel mercato di nuovi attori e un diverso impatto sul fronte della progettazione dell’auto e delle sue componenti (come la riduzione del peso del veicolo).
* L’articolo è stato pubblicato sul sito di “Collettiva” il 30 marzo 2023