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Un nuovo modello di convivenza, per non tornare come prima

Il vero vaccino contro le pandemie è il cambiamento delle scelte politiche, economiche e dei nostri stili di vita. Serve una nuova alleanza fra umani, altri animali, il Pianeta: una società senza discriminazioni fondate sulla diversità di specie è un modello di convivenza e una soluzione per la ripartenza.

Tutti abbiamo la responsabilità di fare in modo che le mascherine che abbiamo dovuto mettere su bocca e naso in queste settimane non coprano anche gli occhi. E non leghino le mani che ora devono fare delle scelte importanti e urgenti. Perché le cause di questo disastro umano sono davanti a noi.

Gran parte delle epidemie e delle pandemie dell’ultimo secolo che hanno colpito gli esseri umani, come il Covid-19, si sono sviluppate da animali, sempre più braccati e commerciati per i più diversi motivi – il traffico di specie è una delle illegalità più diffuse al mondo – dalla cucina agli spettacoli, dai laboratori alla prigionia nelle case, e dai sopravvissuti in natura che hanno sempre meno spazi vitali come le foreste divorate dai tagli causati anche dalla produzione di mangimi per altri animali, negli allevamenti. Ben 150 miliardi di individui ogni anno secondo la FAO, con un affollamento e un inquinamento inverosimile negli stabilimenti di produzione, realizzato trasformando esseri viventi in macchine da ingrassare sempre di più per carni, uova e latte, “tenuti in piedi” con un uso, solo in Italia, del 70% degli antibiotici totali venduti, come denunciato dall’ultimo Rapporto dell’Agenzia Europea per i Medicinali. È in questi mal-trattamenti che si è potuto far fare il salto di specie a virus come Sars, Mers, influenza suina H1N1, influenza aviaria H5N1, H7N2…

Già nel 2004 l’OMS, l’OIE-Organizzazione mondiale della salute animale e la FAO segnalarono l’incremento della domanda di proteine animali e l’intensificazione della loro produzione industriale come principali cause dell’apparizione e propagazione di nuove malattie zoonotiche sconosciute, ossia di nuove patologie trasmesse dagli animali agli esseri umani. Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, nel suo Report del 2016 ha calcolato circa 2 miliardi di persone colpite e circa 2 milioni di vittime l’anno. Il motivo? “Mai prima di oggi gli agenti patogeni hanno avuto così tante opportunità di passare da animali selvatici e in prigionia, alle persone”. Poi come dimenticare i pipistrelli per Ebola, le grandi scimmie vittime di caccia per la nascita dell’Aids, gli uccelli della West Nile Diseas, le “mucche pazze” dell’encefalopatia spongiforme bovina, la crisi prodotta dalla salmonella DT104, quella causata dall’escherichia coli 0157, la lingua blu degli ovini…

E ancora, negli stessi giorni di aprile dell’emergenza sanitaria nazionale, in provincia di Treviso alcuni allevamenti di tacchini sono stati dichiarati focolai di influenza aviaria, per fortuna a bassa patogenicità, e in Olanda si è sviluppato il coronavirus da uomo ad animali, in allevamenti di visoni per pellicce.

Concentrare l’azione contro il Covid-19 su mezzi d’emergenza che non combattano le cause strutturali dell’epidemia è un errore dalle conseguenze drammatiche. Non sarà un vaccino a risolvere alla radice e definitivamente il problema. Il principale pericolo che fronteggiamo è considerare il nuovo coronavirus come un episodio, un fenomeno isolato.

Oltre alle caratteristiche biologiche intrinseche dello stesso Coronavirus, le condizioni della sua propagazione includono gli effetti di decenni di politiche che hanno eroso drammaticamente le infrastrutture sociali che aiutano a sostenere la vita. In questa deriva, i sistemi sanitari pubblici sono stati particolarmente colpiti da una drammatica mancanza di risorse e di personale. Mentre lo scientismo e la ricerca fine a se stessa hanno fatto tutt’altro che evitare la pandemia, alimentando anch’esse il commercio di specie selvatiche ed esotiche o creando organismi-chimera o geneticamente modificati mentre il sistema di prevenzione è stato ridotto al minimo nei decenni, una Sanità succube dell’industria della malattia che continua peraltro a relegare la fondamentale Medicina Veterinaria in una retrovia, come ruota di scorta. Il risultato, tragico, è questo.

Ci siamo illusi di essere sani in un mondo malato, è stato detto. È per questo che non vogliamo tornare al mondo di prima, a quello che ha causato la pandemia. Mondo che con un farmaco o un vaccino non vede l’ora di archiviare questo incidente, quanto prima, per far tornare tutto come prima. La cattiva notizia è che abbiamo creato noi tutto questo… la buona notizia è la stessa. Dato che lo abbiamo creato noi, possiamo, dobbiamo, cambiare. Non pensare che si risolva tutto chiudendo qualche wet market dall’altra parte del mondo. Come se la responsabilità fosse sempre lontana, e di altri…

Il coronavirus non è stata la prima pandemia originata dal mal-trattamento degli animali. Anzi. Ce ne sono state tante “silenziose”. Ma vogliamo che questa sia l’ultima. Ci sono atti indispensabili al cambiamento delle normative italiane, europee e degli accordi internazionali. Dell’economia, degli stili di vita di tutti noi. Affinché fra un anno, fra tre o dieci anni, non si ripeta una nuova pandemia.

Questi atti concreti, sei, li abbiamo raccolti nel Manifesto LAV intitolato “Non torniamo come prima”. Iniziamo, perché possiamo farlo semplicemente, da noi. Dalle nostre scelte. Quelle quotidiane, come il cibo. Indirizzarci verso quello vegetale sarà la nostra migliore azione contro le prossime epidemie. E per assicurare anche così, cibo per tutti.

Le aziende si devono rifondare su criteri, concreti, di una sostenibilità che non sia – come il “benessere animale” – solo uno slogan. Anche con una assunzione di reale Responsabilità Sociale.

Sono necessari a livello nazionale, internazionale, europeo – insieme a un vero nuovo Green Deal e alla Strategia 2030 sulla biodiversità, anche con il prossimo voto del nostro Governo a Bruxelles – per mettere non un metro ma chilometri tra noi e gli animali selvatici, conseguenti interventi normativi che fermino il commercio, i mercati, le fiere, l’uso anche come richiami, l’allevamento “pronto sparo”, l’uccisione degli animali selvatici ed esotici. Stop alle attività venatorie in Italia, ai collegati “wet market” tricolori e alla caccia degli italiani nei viaggi all’estero.

Mai più catture e riproduzione per farne cibo, spettacolo, prigionia, pelli e pellicce, sperimentazione, trasformando l’attuale CITES, la Convenzione sul commercio delle specie in pericolo d’estinzione, in un nuovo Accordo internazionale di ampio divieto, potenziando gli organismi nazionali e internazionali, le Forze di Polizia, per la prevenzione e la repressione dell’illegalità. Chiusura degli ultimi venti allevamenti italiani di visoni per la produzione d’abbigliamento.

Stop ai finanziamenti pubblici alla zootecnia (solo fra marzo e maggio sono stati resi spendibili 14,5 milioni di euro per i comparti suini, ovini e bufalini oltre ai 100 milioni di euro del Decreto Legge “Cura Italia” al comparto allevamenti e pesca) e ai “Sussidi Ambientalmente Dannosi” catalogati dal Ministero dell’Ambiente; riforma della Politica Agricola Comune e della Strategia UE “From farm to fork” anche per dare il costo reale di mercato ai prodotti di origine animale; sì all’incentivazione delle proteine vegetali portando l’Iva dal 22% al 4% anche dei “latte” non animali e portando i pasti interamente vegetali da 1 ad almeno 7 ogni 14 giorni nei nuovi “Criteri Ambientali Minimi” della ristorazione collettiva in vigore dall’agosto 2020.

Va aiutata la ricerca scientifica “human based”, va riconosciuta la sperimentazione con metodi che guardano al futuro basati su tecnologie alternative almeno come primo passo verso una effettiva “libertà di ricerca” e devono essere dati incentivi alla prevenzione delle malattie e alla preparazione dei Piani per fronteggiarle con i necessari dispositivi di protezione.

La tutela degli animali è importante anche per favorire interventi sulla questione sociale e le nuove povertà. Il coronavirus ha fatto scoprire a tanti l’importanza della vita con un cane o un gatto. Si devono aiutare le persone, gli anziani e le famiglie, favorendo l’adozione e la vita degli animali domestici con – già nella conversione del Decreto Legge “rilancio” – la creazione di un incentivo alle adozioni responsabili e alle fasce più deboli che già vivono assieme a un cane o un gatto, o per chi ne adotterà da rifugi o dalla strada, di una “Quattrozampe Social Card” di buoni spesa per cibo e spese veterinarie, la cancellazione dell’Iva che li considera incredibilmente “beni di lusso” per cibo e prestazioni veterinarie, aumentando la relativa deducibilità fiscale delle relative spese e intervenendo sui prezzi e sulla vendita dei farmaci veterinari che costano, a parità di molecola, fino a quindici volte di più di quelli per uso umano.

Non ci sarà Giustizia sociale se non guardiamo oltre ed estendiamo questa visione al di là dei miopi confini della nostra specie. Bisogna distanziarsi sì, ma dall’egoismo e dalla indifferenza. Bisogna creare una nuova alleanza fra umani, altri animali, il Pianeta. Una società senza discriminazioni fondate sulla diversità di specie è un modello di convivenza e può essere la soluzione per la “ripartenza”.

Ognuno di noi deve fare il suo, a prescindere dalla fase 2, 3 e poi la 4…. Lo dobbiamo ai tanti morti, alle persone che stanno ancora combattendo la malattia, lo dobbiamo alle vittime di ogni specie causate da un sistema che o cambierà da ora o morirà con noi. Non torniamo come prima.

* Gianluca Felicetti, Presidente LAV