L’ultima pubblicazione dell’ ”Osservatorio sul precariato” dell’INPS relativa ai contratti di lavoro di dicembre chiude definitivamente il quadro dell’anno appena trascorso. A dicembre, il numero di assunzioni a tempo indeterminato (al netto delle cessazioni) è aumentato vertiginosamente, facendo registrare un più 71.236 rispetto agli 8.118 contratti medi nei mesi precedenti. Sull’intero anno, il numero di […]
L’ultima pubblicazione dell’ ”Osservatorio sul precariato” dell’INPS relativa ai contratti di lavoro di dicembre chiude definitivamente il quadro dell’anno appena trascorso.
A dicembre, il numero di assunzioni a tempo indeterminato (al netto delle cessazioni) è aumentato vertiginosamente, facendo registrare un più 71.236 rispetto agli 8.118 contratti medi nei mesi precedenti. Sull’intero anno, il numero di nuovi rapporti “indeterminati” è 186.376 con una distribuzione territoriale assai variegata: il Lazio è la regione con più contratti netti a tempo indeterminato (51.492), seguito da Campania (41.894) e, con distacco, dalla Lombardia (19.571). In Veneto e Trentino Alto Adige le attivazioni di contratti sono inferiori alle cessazioni, presentando quindi un saldo annuale negativo.
La distribuzione per tipologia oraria mostra che le attivazioni di contratti a tempo indeterminato sono per il 58% contratti part-time.
Sul fronte delle cosiddette stabilizzazioni, le trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo “indeterminato” raggiungono nel solo mese di dicembre le 104.275 unità, il triplo rispetto alla media (30.840). Mentre l’Italia rallenta in termini di crescita del Pil e produzione industriale, le imprese assumono. Un controsenso che non trova alcuna giustificazione strutturale, ma risulta evidente alla luce delle manovre del governo sugli sgravi contributivi per le nuove assunzioni con un contratto (formalmente) a tempo indeterminato: 8.060 euro massimo per lavoratore se l’assunzione è avvenuta nel 2015, circa 3.000 per quelle del 2016. E così, gli imprenditori si sono cimentati in una vera e propria corsa agli sgravi. Lo confermano i dati sui rapporti di lavoro instaurati con gli sgravi contributivi, che proprio a dicembre raddoppiano. Più marcata risulta essere la dinamica delle trasformazioni: 90.575 a dicembre contro le 34.621 di aprile – mese che registrò il più alto numero di trasformazioni durante tutto l’anno. Nessuna sorpresa di fronte a una riduzione dei contratti netti a tempo determinato tra dicembre e novembre, nonostante il saldo relativo a dicembre sia positivo e ben più alto rispetto a quello relativo alle assunzioni indeterminate (375.385). Infatti, da un lato, dicembre è ciclicamente il mese in cui cessano di diritto molti contratti a termine, dall’altro, il forte balzo delle trasformazioni implica necessariamente un aumento speculare delle cessazioni.
Mentre i dati a livello nazionale confermano un andamento dei contratti di lavoro drogato dagli sgravi contributivi a favore delle imprese, la distribuzione geografica delle assunzioni (e trasformazioni) instaurate con la fruizione dell’esonero contributivo permette ulteriori approfondimenti. L’area geografica con maggior numero di assunzioni beneficiarie dello sgravio è quella Meridionale (Sud e Isole): 35% del totale nazionale. Guardando invece la quota di trasformazioni soggette a incentivo, il Meridione rimane indietro rispetto a tutte le altre zone, trainate dal Nord Ovest la cui quota rappresenta il 46% del totale nazionale. Mettendo a confronto queste due evidenze, alcune domande sorgono spontanee: è possibile che al Sud, il forte aumento dei nuovi contratti a tempo indeterminato, beneficiari degli incentivi sul costo del lavoro, non risenta di un aumento sopra la media di fenomeni di emersione di lavoro finora irregolare? Se così non fosse, a parità di interesse verso il “nuovo lavoro stabile”, avremmo dovuto notare una quota di trasformazioni- posizioni lavorative a termine già registrate e quindi regolari – vicina alla media delle altre regioni italiane. Purtroppo i dati dicono altro. A conti fatti, il governo ha regalato miliardi alle imprese anche a quelle meno efficienti e che sfruttano il lavoro irregolare, sottraendoli alla spesa pubblica per sanità, scuola, investimenti. Non c’è da stupirsi se l’Italia non riparte, considerando da un lato i diktat europei e dall’altro l’ostinazione del nostro governo a trasferire risorse dal basso verso l’alto, dagli sgravi al taglio dell’Imu sulle prime case. Così come pare conseguenza inevitabile la compressione delle retribuzioni medie per i neo assunti, che calano del 2% rispetto al 2014, considerando inoltre che le assunzioni a tempo indeterminato continuano a concentrarsi in settori a basso valore aggiunto, a scarsa capacità innovativa, quali il commercio; riparazione di autoveicoli; logistica; servizi di alloggio e di ristorazione.
Intanto, corre la locomotiva dei voucher: sono 114.921.574 i buoni lavoro complessivamente venduti nel 2015, rappresentando (al netto delle ore non dichiarate dai datori di lavoro) “circa 57.000 unità di lavoro equivalenti ”secondo l’Inps. E’ come dire che l’Italia ha bisogno di 57 mila lavoratori a tempo pieno per svolgere prestazioni accessorie di tipo occasionale.
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Articolo pubblicato su www.ilmanifesto.info