In un libro appena pubblicato, Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi celebrano a quasi trent’anni dalla sua scomparsa la figura di Laura Conti, intessendo un dialogo immaginario con la pioniera dell’ambientalismo italiano. E riscoprendo la straordinaria attualità del suo pensiero e del suo impegno.
Laura Conti ha rappresentato una figura davvero straordinaria – e molto, troppo spesso dimenticata – nel panorama dell’impegno scientifico, politico e sociale del nostro secondo dopoguerra. Medico, partigiana, comunista, scrittrice, pioniera dell’ambientalismo scientifico italiano e protagonista di tante stagioni di lotte per la salute, l’ambiente, il lavoro, i diritti: a lei è dedicato “Laura non c’è. Dialoghi possibili con Laura Conti”, libro di Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi da poco edito da Fandango. In un dialogo immaginario e serrato a quasi trent’anni dalla sua scomparsa avvenuta nel 1993, le autrici restituiscono la parola a Laura Conti: e con essa il valore – attualissimo – della sua eredità politica, morale e culturale. Volentieri pubblichiamo alcuni stralci del volume, tratti dal capitolo 6 (pp. 82 e seguenti).
***
Capitolo 6
perché se brucia l’Amazzonia danneggia i nostri polmoni
anche se viviamo nell’altro emisfero;
perché ciò che si consuma erode le difese del pianeta
e anche le difese dei corpi viventi
[…]. “E sì, Anna, ha ragione tuo papà: mi sono occupata per buona parte della mia vita di ecologia, di ambiente e di salute. Tanti anni fa mi sono avvicinata all’ambientalismo attraverso un percorso che definisco personale e politico: ha avuto origine nelle battaglie delle operaie e degli operai per il miglioramento delle condizioni di lavoro nelle fabbriche. Erano condizioni davvero indegne e difficili da sopportare. Da questo sono arrivata a considerare tutto l’ambiente in cui viviamo. Ho iniziato a rendermi conto che ambiente non è solo l’insieme di acqua, aria, terra. Non si può considerare l’umano vivente nel suo rapporto con la natura se non lo si considera anche in relazione con gli altri viventi umani e non umani e con gli oggetti che fabbrica e produce o con le piante che coltiva.”
Anna, mentre segue il ragionamento, ha iniziato a tagliare dal cartone una sagoma di albero, pensa all’Amazzonia, vorrebbe chiedere a Laura cosa pensa della deforestazione e dei popoli indigeni, se è vero che quando mangiamo la carne anche noi distruggiamo l’Amazzonia, ma non se la sente di interromperla. Semmai glielo dirà dopo.
“Ma la motivazione che mi ha spinto a occuparmi dell’ambiente, in maniera intensa e anche abbastanza utile – non ho false modestie – la definirei erotica nel senso che io amo proprio il sistema vivente. Questo amore che provo non ha avuto origine nell’amore per un pezzo del sistema vivente. Direi che è nato come amore sistemico: per il sistema nel suo complesso e non per una sua componente. Non trovo niente di strano che la scelta ecologica per me sia amore.”
Anna salta in piedi. “Anche io amo ogni cosa che mi ricollega al significato di vita. Sappiamo che questo sistema, per come è stato maltrattato e sfruttato, se continuiamo a comportarci così non durerà a lungo. Io ho diciassette anni e provo un po’ di eco-ansia per il mio futuro e per quello del pianeta. Questo scendere in piazza ogni venerdì per manifestare lo facciamo per passione e forse un po’ per la paura di non avere un futuro.”
Laura conosce l’entusiasmo di Anna: l’ha incontrato tante volte quando instancabile girava per l’Italia scendendo e salendo dai treni per andare lì dove la chiamavano; quando argomentava e spiegava i suoi studi; quando riversava la sua passione in ogni assemblea, in ogni consiglio di fabbrica, in ogni scuola o comitato; quando doveva presentare uno dei suoi libri.
“Vedi Anna, a me piace dire che per ricostruire l’ambiente occorre una volontà basata sulle conoscenze scientifiche e, allo stesso tempo, capace di esprimersi in atti politici ben coordinati che possano determinare quei cambiamenti che vogliamo nel mondo che abitiamo, perché non esistono problemi ambientali che non siano anche problemi sociali. Quando parliamo del sistema vivente è sbagliato e illusorio pensare sia che l’uomo abbia capacità illimitate sia che la natura abbia una illimitata capacità di resistere e di medicare le attività nocive degli umani. Dato che l’ambiente ha plasmato gli organismi viventi in milioni di anni dovrebbe valere, per i prodotti della natura, non il principio che una qualsiasi modifica dell’ambiente sia da considerarsi innocua finché non ne sia dimostrata la pericolosità ma il principio ribaltato: cioè che qualsiasi modifica dell’ambiente naturale sia da considerarsi pericolosa finché non sia dimostrata l’innocuità. Noi abitiamo questo pianeta e certo non l’abbiamo fatto in maniera innocua: anzi, lo abbiamo devastato e oggi le nuove generazioni come te Anna, come Greta – che non mi sta affatto antipatica, quante Greta ci vorrebbero per cambiare il mondo! – ci rimproverano il nostro egoismo. Fanno bene – fate bene – a puntarci quel dito contro.”
Anna si infila nel ragionamento di Laura: “L’obiettivo del nostro scendere in piazza è lo stesso che abbiamo quando cerchiamo di modificare il nostro modo di stare su questo pianeta. Cerchiamo di fare il più possibile per essere una piccola parte di un cambiamento molto più grande. È questo il nostro obiettivo. Non ci aspettiamo che un movimento o un’iniziativa possano cambiare tutto, o che ci spingano sempre nella direzione giusta ma non possiamo fermarci finché non ci ascolteranno. Cinque anni fa i leader mondiali hanno approvato a Parigi un accordo e hanno promesso di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C e noi scendiamo in piazza per ricordare che questo obiettivo non è negoziabile. Se non si ascolta, se non si accetta la scienza, allora non c’è niente altro da fare”.
Laura sorride, è tutta la vita che ripete che tutto inizia dalla consapevolezza. “Anna mi fa piacere sentirti dire queste cose. Mi sembra proprio che le ragazze di questo movimento ripetano quello che io dico da sempre, di fare riferimento alla scienza, perché i dati scientifici sono i migliori alleati dei movimenti ambientalisti. Ho iniziato a studiare e trattare le scienze biologiche e l’ecologia quando le questioni ambientali non erano presenti nelle agende politiche istituzionali. Quando non si era ancora abituati a parlare di sostenibilità ambientale e sociale delle scelte economiche e industriali. Quando parlavo della relazione primaria fra politica e ricerca tecnologica e scientifica, strabuzzavano gli occhi, perché in pochi allora avevamo questo approccio. A me, che ero donna e comunista, mi trattavano come una bizzarra affabulatrice e una eccentrica visionaria. Allora mi sembrava che la strada fosse così difficile da sembrare impraticabile.”
“Laura tu eri una comunista?! E come facevi politica?”
“Sì, non fare quella faccia disgustata. All’epoca militavo in un grande Partito Comunista, anzi il più grande in Occidente. La mia ecologia controcorrente era scomoda e male accettata. Non mi hanno mai impedito di parlare, questo no, anche perché era impossibile opporsi alla mia cocciuta insistenza, così ho sempre detto chiaramente quello che pensavo. E ti assicuro ragazza, non ho mai avuto remore a sostenere posizioni contrarie a quelle del partito.”
Luba porge a Laura le sue medicine e versa due bei bicchieri di aranciata: quella di Laura è arricchita con qualche integratore mentre nel bicchiere di Anna ha aggiunto petali di rosa, le belle rose che ornano il terrazzo di casa. Luba invece sorseggia the affumicato. L’ha sempre preferito agli altri tipi di the, ma anche al vino, perché aiuta la meditazione. Anna è incuriosita dalle due signore che vivono al piano sotto il suo e spera di poter passare altre volte il pomeriggio con loro, in quella casa accogliente dove tutto sembra immobile da troppo tempo ma dove poi si scopre che tutto è molto vivace e leggero, come le gatte che saltano dal sofà sul tavolo per giocare con i suoi pennarelli e sdraiarsi sull’albero di cartone. Anche a casa sua ci sono tanti libri ma così tanti come in casa di Laura non ne aveva mai visti. Si chiede se li avrà letti tutti e per un attimo la soggezione che prova le pesa come un macigno. L’aranciata – o forse chissà gli integratori – sembra aver dato nuova lena a Laura.
“Vedi Anna io non sono una scienziata ma una studiosa dei problemi ecologici. Pur trovando affascinante lo studio, ho sempre pensato che fosse importante anche agire. Per questo motivo ho deciso di fare politica: non basta studiare, bisogna anche darsi da fare.”
“Quindi anche io faccio politica quando il venerdì scendo in piazza con i miei cartelli contro l’emergenza climatica!” Anna inizia ad agitare il suo albero di cartone che adesso è anche ben colorato. Le gatte schizzano via terrorizzate.
“Ti dirò di più, Anna, stando qui a chiacchierare con noi fai fare politica anche a me e a Luba, perché nessuna di noi risiede nella cittadella della scienza, ma dobbiamo considerarci tutte mendicanti che ci aggiriamo all’esterno: ci sforziamo di guardare dentro le finestre e non vediamo bene, allora strizziamo gli occhi, con le mani facciamo una visiera per eliminare i riflessi e cercare di distinguere qualcosa. Quando tu e tante altre come te andate in piazza a denunciare quel che succede e dici ‘guardate!’ stai dicendo anche ‘aiutatemi’ a vedere. Per me fare politica è sempre stato così, è stato questo: dire ‘guardate’ e farmi aiutare a vedere meglio.”
Anna ha deciso: “Se questo è fare politica, allora mi piace fare politica”. […].
***
Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi, Laura non c’è. Dialoghi possibili con Laura Conti, edizioni Fandango 2021, pp. 192, € 12,00