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Uguaglianza di opportunità. Sì, quale?

E’ sufficiente l’istruzione e un sostegno per dare a tutti uguali opportunità? E’ meglio pensare all’uguaglianza di capacità, che offra a tutti condizioni economiche e sociali adeguate a una vita civile.

Scrive Abraham Jehoshua, “le parole sono come monete riguardo alle quali si verificano due processi: si logorano o si sporcano”. Il logoramento indebolisce. La sporcizia nasconde. Ho immediatamente pensato all’uguaglianza di opportunità cui ho dedicato il libro appena uscito con Laterza, Uguaglianza di opportunità. Si, ma quale?

In questi ultimi decenni è andata diffondendosi, nella discussione pubblica, una concezione di uguaglianza di opportunità secondo cui ciò che conta è livellare le condizioni di accesso al mercato, assicurando l’istruzione/la formazione dai primi anni di vita fin tutto il ciclo dell’età lavorativa; contrastando la povertà minorile e sostenendo la conciliazione fra cura e lavoro. Una volta assicurato tale livellamento, l’uguaglianza di opportunità avrebbe terminato i suoi compiti e le disuguaglianze successive sarebbero giustificate.

Rimarcare la necessità di assicurare a tutti e tutte istruzione/formazione; contrastare la povertà dei minori e sostenere le responsabilità di cura è evidentemente fondamentale, tanto più in un paese come il nostro, dove la dispersione scolastica complessiva (abbandoni precoci e assenza di competenze minime) tocca un quinto dei giovani con età fra i 18 e i 24 anni, quasi 1,4 milioni di minori vive in povertà assoluta e il divario fra tasso di occupazione maschile e femminile in presenza anche di un solo figlio supera il 28%. E, altrettanto indiscutibilmente, partecipare al mercato del lavoro è un’opportunità centrale per le nostre vite.  

Ciò nondimeno, a questa concezione di uguaglianza di opportunità mi sembrano applicabili i due processi rilevati da Jehoshua. Incominciamo dal “logoramento”. Chi potrebbe opporsi all’obiettivo di assicurare a tutti i bambini una vita esente da povertà e la medesima possibilità di istruirsi dei bambini nati in famiglie più avvantaggiate? Mi sembra ben pochi. La domanda diviene allora perché questo obiettivo continua a non essere realizzato. Perché realizzarlo richiede anche misure più esigenti di riduzione delle disuguaglianze economiche, di reddito e di ricchezza. Diversamente, il rischio è di restare sul piano del mero auspicio retorico.

Più le disuguaglianze economiche aumentano, maggiore è il peso della famiglia sui processi di istruzione dei figli anche a parità di investimento pubblico. Inoltre, le disuguaglianze economiche tendono ad accompagnarsi alla segmentazione territoriale e, di nuovo, ciò influenza le opportunità. Il contesto socio-economico in cui si cresce gioca, infatti, un’influenza ulteriore sulle opportunità di istruzione, indipendente da quello della famiglia.  Ancora, maggiori le disuguaglianze economiche, minore potrebbe essere la disponibilità a redistribuire, come già argomentava Tocqueville. 

In breve, come sintetizza Goldthorpe (trad. mia), «appare difficile aumentare l’uguaglianza delle opportunità, nel senso di una maggiore uguaglianza delle possibilità di mobilità, attraverso la politica educativa o altro, a meno che le disuguaglianze di condizioni legate alla classe su cui si fondano i regimi di mobilità di classe siano esse stesse significativamente ridotte […]. Mentre l’espansione e la riforma dell’istruzione possono svolgere un ruolo, i loro effetti devono essere considerati secondari, se non dipendenti da processi più fondamentali, quali quelli che Marshall (1950), in un altro tempo, ma in modo ancora appropriato, chiama la “riduzione delle barriere di classe”»50.  Non a caso, la maggiore riduzione delle disuguaglianze di opportunità intergenerazionale si è realizzata nei paesi nordici, in presenza di una distribuzione relativamente compressa dei redditi.

Occuparsi della riduzione delle disuguaglianze economiche non è, dunque, sintomo di benaltrismo. Serve ai fini stessi del livellamento delle possibilità di istruzione. 

Di disuguaglianze economiche, la concezione che ho definito prevalente di uguaglianza di opportunità, però, non si occupa. Anzi, tende a giustificare tutte le disuguaglianze che si verificano una volta livellate le condizioni iniziali, come se il tratto distintivo dell’’uguaglianza di opportunità, ossia la distinzione fra un “prima” dove le disuguaglianze vanno livellate e un “dopo” dove le disuguaglianze vanno accettate, ci esentasse dal ragionare sulla struttura delle disuguaglianze successive. In breve, alcune disuguaglianze potrebbero essere del tutto accettabili e altre inaccettabili. 

Passando alla “sporcizia”, il focus è tutto su un’unica, grande opportunità: l’opportunità di partecipare alla pari nel mercato. Una volta realizzatala, si apre la porta a tutte le altre diverse opportunità che i singoli desiderino ricercare. Ma ciò sottovaluta sia i limiti della partecipazione al mercato nell’assicurare un lavoro e un reddito decenti sia una molteplicità di opportunità che contano per gli individui e che il mero accesso al mercato non assicura neppure in presenza di un lavoro e un reddito decenti. Il riferimento, a quest’ultimo riguardo, è alle classiche incompletezze dei mercati, siano esse dovute a incertezza, asimmetrie informative estese e non escludibilità, cui si aggiungono le incompletezze valoriali costituite dall’incapacità dei mercati di garantire i valori non di mercato, abbiano essi a che fare con l’uguaglianza nel godimento di alcuni beni per tutti fondamentali e/o con l’esercizio di pratiche relazionali sottratte alla mercificazione,

Certo, l’uguaglianza di opportunità di partecipare alla pari nel mercato può essere vista come l’aggiornamento, nel contesto attuale, della visione delle «carriere aperte ai talenti» che è andata sviluppandosi dal ’700. Dunque, almeno in parte mantiene, anziché perdere, il significato originario. Ma, da allora, altre concezioni sono andate diffondendosi. Esse vanno prese in considerazione. 

Nel libro, Uguaglianza di opportunità. Si, ma quale? presento e discuto le due concezioni aggiuntive costituite dall’uguaglianza di opportunità come compensazione delle disuguaglianze dovute a circostanze, elaborata da John Roemer e assai presente nella letteratura economica, e dall’uguaglianza di capacità elaborata da Amartya Sen e Martha Nussbaum.

Il mio favore va all’uguaglianza di capacità. L’uguaglianza di capacità offre una specificazione attraente delle opportunità, come insieme delle possibilità di raggiungere una base, un “pavimento” di condizioni che le persone hanno ragione di apprezzare in quanto riflesso della comune uguaglianza morale e, con essa, della dignità umana. L’obiettivo dell’uguaglianza di capacità non è livellare per rendere eticamente accettabile una gara che non potrà che sancire vincitori e vinti. E’ realizzare uno standard di vita che rappresenta per tutti e tutte il requisito di una vita civile. Nel ricercarlo, l’uguaglianza di capacità presta, inoltre, attenzione ai risultati, alla pluralità delle libertà e al valore dell’essere trattati in modo dignitoso. L’attenzione ai risultati lungi dall’essere motivata da istanze omogeneizzanti deriva dalla consapevolezza dell’eterogeneità individuale. Proprio perché siamo diversi, un livellamento che si fermasse ai mezzi sarebbe del tutto inadeguato, riflettendo un feticismo delle risorse, cieco alla pluralità di ostacoli, nelle dotazioni individuali nonché nel contesto, che potrebbero limitare la trasformazione delle risorse nei risultati.

Queste caratteristiche danno luogo a un modello ricco, capace di coniugare paradigmi di politiche pubbliche solitamente considerati alternativi. Sono i paradigmi redistributivo, data l’importanza dei trasferimenti e, con essi, della tassazione; pre-distributivo, data l’attenzione ai rapporti di potere; rappresentativo, data l’attenzione alle libertà; e del riconoscimento, data l’attenzione al pari trattamento.  Le indicazioni pratiche che derivano per un cambio di passo nelle politiche sociali sono molteplici.

Elena Granaglia, Uguaglianza di opportunità. Si, ma quale?, Laterza, 2022