La crescita esponenziale delle disuguaglianze negli ultimi decenni è alla base della crescita di fenomeni populisti. A Roma, la lectio magistralis del premio Nobel Joseph Stiglitz
In che modo gli Usa hanno potuto eleggere un individuo come Donald Trump? Questa la domanda che si pone il premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, durante una lectio magistralis alla Sapienza di Roma nell’ambito di un ciclo di lezioni organizzate dal Centro di ricerca Ezio Tarantelli, per ricordare l’economista ucciso dalle Br nel 1983.
Secondo l’ex capo economista della Banca mondiale, a influire nella vittoria del Tycoon sono stati diversi fattori, ma uno di questi è stato determinante, ed è la diseguaglianza economica. O meglio, le sue implicazioni politiche e sociali. Un aumento, si chiede Stiglitz, dovuto “alle leggi di mercato o causato deliberatamente da scelte politiche”? Stiglitz non ha dubbi: la seconda.
Il processo risale ai lontani anni ’70, durante i quali sono state “riscritte le regole del gioco” attraverso politiche di contenimento della spesa pubblica: dal 1973, solo il 10% degli statunitensi che stanno al vertice della piramide sociale hanno visto incrementare costantemente il proprio reddito, mentre il restante 90% è rimasto isolato dalla crescita. Il resto l’ha fatto la crisi, nonostante la retorica della ripresa: nei primi tre anni successivi al disastro del 2008, commenta il celebre economista, dal 2009 al 2012, il 91% di tutti gli aumenti di reddito sono andati all’1% degli statunitensi più ricchi, nonostante i media e il Governo statunitensi celebrassero l’aumento del Pil e considerassero la crisi oramai alle spalle. Ma in realtà il 99% della popolazione non ha assistito a nessuna ripresa. E le bugie del Governo e della Fed, conclude Stiglitz, hanno portato alla disaffezione dei cittadini nei confronti della Fed e dell’ex Presidente Barack Obama. Una sfiducia che si è riversata poi nelle urne attraverso l’astensionismo o con l’appoggio diretto a Trump.
Alla base dell’alto tasso di diseguaglianza ci sono svariate cause, in primis il fatto che negli Stati Uniti non è riconosciuto il diritto all’assistenza sanitaria. Secondo uno studio dell’Università di Brixton, condotto tra il 2015 e il 2016, la speranza di vita media per i segmenti più modesti della popolazione statunitense è in netto calo rispetto agli anni passati. Una diminuzione che colpisce soprattutto gli uomini maschi bianchi privi di istruzione universitaria. In poche parole l’elettorato medio di Donald Trump. Inoltre, aumenta anche la possibilità di morire su base annua, un dato in controtendenza rispetto agli altri Paesi occidentali, dove la speranza di vita aumenta progressivamente. Sempre secondo l’ateneo inglese, le cause delle morti non sono malattie incurabili, ma piaghe sociali, come l’alcolismo, la tossicodipendenza e i suicidi dovuti alla disperazione delle persone. C’è poi la questione di un equo accesso alla giustizia: il 25% delle persone detenute delle carceri statunitensi sono di origine afroamericana, che a causa delle condizioni di emarginazione sociale, non possono permettersi un buon avvocato.
Forse, scherza Stiglitz, queste persone hanno sbagliato a non nascere nelle famiglie giuste. Come la famiglia Walton, magnate dell’impero Wal-Mart, e i fratelli Koch, le cui industrie, attive nella raffinazione del petrolio, sono tra i primi supporters del surriscaldamento globale: secondo i dati, commenta Stiglitz, gli 8 membri di queste due famglie – sei i Walton e due i Koch – possiedono un valore netto di 230 bilioni di dollari, pari alla ricchezza detenuta dal 44% degli statunintensi – circa 150 milioni di persone.
E l’Europa? Sicuramente nel Vecchio Continente le politiche di welfare hanno contenuto il fenomeno. Tuttavia, dal 1975, l’1% della popolazione più ricco di Francia, Gran Bretagna, Spagna e Germania ha visto costantemente incrementare la propria quota di reddito, a fronte di una sostanziale stagnazione dei redditi per il restante 99%. Tendenza confermata anche in Italia, dove la parte più ricca della popolazione ha sperimentato un aumento costante delle proprie ricchezze: da 150 mila euro del 1975 a oltre 250 mila del 2015.
Infine, il Premio Nobel, non risparmia critiche a Thomas Piketty, il celebre economista francese autore del Capitale nel XXI secolo. Nel modello di Piketty, prosegue Stiglitz, la disuguaglianza aumenta di pari passo con la quota di capitale detenuta dai più ricchi. In altre parole, secondo l’autore del Capitale, la crescita economica – l’accumulazione di capitale – favorirebbe le diseguaglianze. Ma secondo Stiglitz non è così: negli ultimi anni la crescita è rallentata assieme all’incremento delle diseguaglianze. Di pari passo sono aumentate le rendite da monopolio: con la finanziarizzazione dell’economia, prosegue Stiglitz, è “aumentata l’importanza degli utili nel breve periodo anzichè nel lungo periodo”, con politiche di concentramento che hanno reso i mercati meno competitivi, rallentando la crescita e conferendo vigore alle disuguaglianze. Anche Obama ha cercato di contenere il fenomeno. Una buona performance economica, dunque, sarebbe un segnale di una diminuzione di diseguaglianze, e non la loro causa, come sosterrebbe l’economista francese.
Il celebre economista, alla fine, tira le somme: la società ha già “pagato un prezzo molto alto per la diseguaglianza: qui negli Stati Uniti abbiamo visto a quali conseguenze politiche può portare. E se non sarà fatto nulla per contrastarla, il mondo, purtroppo, conoscerà nuovi fenomeni simili a quello di Donald Trump. Questa è la cosa che dobbiamo evitare più di tutte” ha concluso Stiglitz.