Top menu

Tre cose vuole il campo

L’Alleanza Clima Lavoro e la giusta transizione nel settore agroalimentare. Con un evento a Roma, lo scorso 25 giugno, si è avviato un dibattito e un percorso di riflessione sul tema della sostenibilità ambientale e sociale in agricoltura. Serve, innanzitutto, un nuovo paradigma agroecologico.

Un vecchio proverbio recita: “Tre cose vuole il campo: buon lavoratore, buon seme, buon tempo”. Tanta saggezza non sembra però ispirare i paradigmi e le pratiche del nostro sistema economico e produttivo in agricoltura, piuttosto impermeabile alle questioni relative alla sicurezza e dignità del lavoro, alla qualità e sostenibilità del cibo, al contrasto e mitigamento del cambiamento climatico. Di tutto questo si è discusso nel corso dell’evento co-promosso da Alleanza Clima Lavoro con Fondazione Metes e FLAI-CGIL, intitolato “La giusta transizione per un settore agroalimentare sostenibile” e tenutosi lo scorso 25 giugno a Roma.

Un appuntamento che ha rappresentato peraltro la prima tappa di un percorso di allargamento dei confini dell’Alleanza Clima Lavoro dai temi della mobilità e dei trasporti alle sfide e ai problemi della giusta transizione nei sistemi e nelle politiche agroalimentari. Inoltre, l’incontro è stato l’occasione per presentare l’ultimo numero su questi temi della Rivista AE–Agricoltura, Alimentazione, Economia, Ecologia della FLAI-CGIL, al cui interno compaiono i contributi di alcune tra le realtà promotrici dell’Alleanza Clima Lavoro: oltre alla stessa FLAI-CGIL, anche Sbilanciamoci!, Legambiente e WWF.

Ad aprire i lavori Tina Balì, Presidente della Fondazione Metes, che ha evidenziato il ruolo positivo dell’Alleanza Clima Lavoro nel “coltivare” il dialogo tra mondo sindacale e mondo ambientalista sulla giusta transizione, per poi parlare delle disuguaglianze e dello sfruttamento delle risorse ambientali e sociali su cui si basa il nostro modo di fare economia e impresa. Ad esempio, oggi il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile della metà delle emissioni globali di CO2 e, secondo l’ILO, il 70% della forza lavoro mondiale sarà esposto a rischi per la salute legati a caldo eccessivo, eventi climatici estremi, uso di fertilizzanti.

Emanuele Galossi della segreteria generale della FLAI-CGIL ha esordito nel suo intervento sottolineando l’impatto del cambiamento climatico sull’agricoltura: “Gli ultimi dati ISTAT certificano un calo della produzione agricola e del valore aggiunto nel settore. Lo scorso anno la siccità ci è costata 6 miliardi di mancata produzione. La Commissione europea sostiene che per sanare gli habitat ricchi di biodiversità servano 154 miliardi di euro, ma i benefici che ne deriverebbero in termini di servizi ecosistemici legati alla salute del suolo, alla depurazione delle acque, alla regolazione del clima e alla produzione di cibo sono pari a ben 1860 miliardi.”

Un altro aspetto chiave da considerare riguarda le condizioni del lavoro agricolo nel nostro paese che, come ha dimostrato ancora una volta la vicenda della drammatica morte di Satnam Singh nei campi dell’Agro Pontino, è fondato su un sistema di para-schiavitù di dimensioni niente affatto trascurabili. “Per l’Osservatorio Placido Rizzotto ci sono 230mila occupati irregolari nel settore primario, un quarto del totale degli addetti, e si stima che il 15% del fatturato realizzato dall’insieme delle nostre attività agricole appartenga all’illecito, parliamo di 24,5 miliardi di euro”. Di fronte a tutto ciò, ha aggiunto Galossi, serve un nuovo paradigma agroecologico al servizio di un’agricoltura sostenibile e di un lavoro dignitoso e sicuro.

La giusta transizione in agricoltura passa anche da una riforma fiscale indirizzata alla cancellazione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) destinati a questo settore, che secondo l’ultimo Rapporto “Stop Sussidi Ambientalmente Dannosi” di Legambiente valgono oltre 3 miliardi di euro l’anno. Nel suo intervento Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci!, ha chiarito il punto: “Il tema dei SAD si riconnette al modello di sviluppo e di economia che vogliamo costruire. Non è più accettabile il ricorso al denaro pubblico per incentivi che danneggiano l’ambiente e vanno nella direzione opposta a quella che in sede internazionale si è stabilito di voler sostenere, cioè la lotta ai cambiamenti climatici”.

La sfida è quella di trasformare i Sussidi Ambientalmente Dannosi in Sussidi Ambientalmente Favorevoli (SAF), in modo da sostenere il passaggio dai combustibili fossili alle energie pulite con un sistema di incentivi centrato su una transizione ecologica giusta e sostenibile, che faccia bene all’ambiente e al lavoro. Proseguendo su questa linea di ragionamento, nel suo contributo Cecilia Begal di Sbilanciamoci! ha evidenziato come la transizione da SAD a SAF in agricoltura debba avvenire insieme a un cambiamento strutturale del sistema agroalimentare.

“Bisogna rivedere in chiave ecologica, giusta e collettiva le dinamiche di governo che regolano la produzione alimentare, a partire da una drastica riconfigurazione del ruolo della grande distribuzione organizzata e delle lobbies dell’agribusiness nel determinare prezzi e politiche finalizzate al mantenimento dello status quo. Occorre inoltre – ha concluso Begal – introdurre un tetto obbligatorio per limitare e redistribuire secondo principi socio-ecologici i sussidi assegnati tramite la Politica Agricola Comune, rivedere i ritmi produttivi che sono oggi economicamente, ambientalmente e socialmente insostenibili, distinguere tra sistemi di produzione e riconoscere al cibo e alla sua produzione il valore di bene comune.”

Il rapporto tra produzione alimentare, salute e tutela degli ecosistemi e della biodiversità è stato al centro dell’intervento di Angelo Gentili, responsabile nazionale agricoltura di Legambiente, il quale ha illustrato i risultati del Rapporto “Stop pesticidi 2023” che monitora l’utilizzo dei fitofarmaci – insetticidi, fungicidi, erbicidi – in agricoltura analizzando la loro presenza nei cibi sulle nostre tavole. La buona notizia è che quasi il 60% degli oltre 6.000 campioni di origine vegetale e animale testati è risultato senza residui. La cattiva notizia riguarda il “multiresiduo”: seppur nei limiti di legge, in quasi un quarto dei campioni regolari sono state trovate tracce di diversi residui.

I segnali in materia che vengono dall’Unione europea sono decisamente contrastanti, ha spiegato Gentili. Da un lato, occorre apprezzare e dare seguito all’obiettivo di riduzione del 50% di fitofarmaci al 2030 contenuto nella strategia Farm to Fork. Dall’altro lato, manca ancora una legislazione – a livello sia comunitario sia nazionale – che regoli e limiti l’utilizzo degli stessi fitofarmaci. Inoltre, sono pessimi i recenti segnali che giungono dal recente ritiro del regolamento europeo sui pesticidi e dal rinnovo per altri dieci anni dell’uso del glifosato.

“L’agroecologia – ha concluso Gentili – è l’unica risposta per liberarci dalla dipendenza dalla chimica e per fronteggiare i danni del cambiamento climatico sulle coltivazioni. Dobbiamo ridurre drasticamente l’uso dei fitofarmaci, aumentare la fertilità del suolo, favorire l’equilibrio tra biodiversità naturale e agricola, sostenere chi fa agricoltura integrata e biologica. In questo contesto il problema che hanno di fronte gli agricoltori che protestano non è il Green Deal, ma la Politica Agricola Comune dell’Unione europea, che per troppo tempo ha destinato l’80% delle risorse al 20% delle aziende.”

In quest’ottica, il ruolo della legislazione dell’Unione europea nella promozione di un sistema agroalimentare più equo e sostenibile è stato approfondito da Massimiliano D’Alessio, ricercatore della Fondazione Metes, che ha stilato un bilancio non certo lusinghiero sull’implementazione della strategia Farm to Fork, uno dei pilastri del Green Deal comunitario. La strategia contiene impegni di cruciale importanza, tra cui, oltre alla sopra richiamata riduzione del 50% dei fitofarmaci al 2030, anche la riduzione nell’arco dei prossimi sei anni di almeno il 20% dei fertilizzanti e del 50% delle vendite nella Ue di antibiotici per gli animali da allevamento e acquacoltura, nonché il conseguimento di almeno il 25% della superficie agricola dell’Unione destinata al biologico.

“Ad oggi – ha specificato D’Alessio – soltanto 8 delle 31 azioni contenute nel piano di questa strategia varata nel 2020 sono state portate a termine, su tutte le altre ci sono ritardi o sospensioni”. Peraltro, sui tempi e le modalità di implementazione di Farm to Fork – e più in generale sul Green Deal – incideranno due fattori: da una parte l’avvio a gennaio scorso, su iniziativa della presidente della Commissione Ursula von der Leyen e in seguito alle proteste dei trattori in tutta Europa, del dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura nella Ue; dall’altra il cambiamento degli equilibri politici e istituzionali nell’Unione legato all’esito delle recenti elezioni di giugno, con l’affermazione delle forze conservatrici e populiste.

Il quadro è dunque incerto e problematico. Per conto nostro, auspichiamo che l’antico adagio popolare citato in apertura possa ispirare quanto prima una radicale trasformazione del nostro sistema agroalimentare volta al conseguimento degli obiettivi – prioritari e consustanziali per l’Alleanza Clima Lavoro – di tutela e promozione dell’occupazione, di attenzione alla qualità e alla sostenibilità delle produzioni e dei consumi alimentari, di adozione di misure e interventi efficaci sul cambiamento climatico e la salvaguardia degli ecosistemi. Nel segno, appunto, di una giusta transizione ambientale e sociale.