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Tacciano le armi: quattro strade per la pace

A Gaza non c’è più scampo per nessuno, sanitari, giornalisti, operatori umanitari. Israele va fermato, per i crimini che sta compiendo e per giungere ad una pace giusta con i palestinesi. Ci sono quattro strade da prendere incluso lo stop agli accordi commerciali tra Israele e Ue.

Con la rottura della tregua, faticosamente raggiunta, il governo israeliano ha, ancora una volta, scelto la strada della punizione collettiva, della violenza cieca e della vendetta nei confronti della popolazione civile palestinese. Dal 18 marzo scorso a Gaza è in vigore un blocco totale, a cui fanno seguito gli avvisi, quindici minuti, per fuggire dall’imminente bombardamento. Le immagini ed i racconti che arrivano sono raccapriccianti, intere famiglie distrutte, neonati e bambini sepolti sotto le macerie, minori abbandonati, senza più genitori, in lacrime, con gli occhi nel vuoto e, spesso, mutilati, senza più braccia o gambe. Malati, in fuga dalle bombe, trasportati dai familiari su barelle improvvisate. Esecuzioni di personale sanitario impegnato a soccorrere feriti e malati. Non c’è più scampo per nessuno, sanitari, giornalisti, operatori umanitari.

Cosa c’entra il diritto di difesa di fronte a ciò che sta accadendo a Gaza? Se l’obiettivo è portare a casa gli ostaggi, la soluzione non è bombardare a tappeto per mesi e mesi una striscia di terra, ammazzando decine di migliaia di vite umane e distruggendo tutto ciò che si incontra sulla propria strada, ostaggi compresi. Se, invece, l’obiettivo è di opportunità politica, approfittare dell’occasione offerta dall’attacco terroristico di Hamas, per avere tutta la Palestina originale, facendola finita con i palestinesi, prima a Gaza e poi in Cisgiordania, siamo di fronte ad una politica di pulizia etnica.

In entrambi i casi, la gravità non cambia, Israele va fermato, per i crimini che sta compiendo e per distruggere ogni possibilità di giungere ad una pace giusta con i palestinesi.

Non è in discussione il diritto d’Israele di esistere e di difendersi, che deve rimanere un punto fermo, tanto quanto il diritto inalienabile del popolo palestinese di avere un proprio stato. Negare uno di questi due principi, non riconoscere le due ragioni, è avvelenare il pozzo della pace. È la causa di tutti i mali e dei crimini che da decenni stanno distruggendo entrambe le popolazioni e destabilizzando l’intera regione.

I governi israeliani guidati dal Likud e dall’attuale premier hanno negato e non riconoscono i diritti del popolo palestinese. Il processo di pace è fermo da anni. Gli Accordi di Oslo hanno una mera funzione amministrativa, oramai funzionali ad uno status quo che consente l’occupazione e l’espansione delle colonie ebraiche nel territorio palestinese.

Impossibile non vedere questa realtà. Irresponsabile lasciar fare. Ipocrita rinviare misure che fermino questa deriva criminale e di delegittimazione delle norme internazionali. Cos’altro deve succedere per fermare la violenza, l’odio e le ingiustizie che tutto travolgono?

Il tempo è ora. Non si può più attendere. Occorre una risposta complessiva, coraggiosa, adeguata al momento. Quattro piste di lavoro, tutte prioritarie ed interconnesse. La prima: far tacere le armi e subito. Garantire assistenza alla popolazione palestinese di Gaza, liberazione di ostaggi e prigionieri. Attivando tutti gli strumenti che la comunità internazionale ha a sua disposizione: sospendere la cooperazione militare e la fornitura di armi, sospendere gli accordi economici e commerciali in base alle condizioni previste nei trattati sottoscritti tra Israele e l’Unione europea.

Applicando il diritto internazionale e le sentenze delle Corti internazionali. La seconda: convocare una conferenza di pace sotto l’egida delle Nazioni unite, a cui tutte le parti in causa ed i rispettivi alleati dovranno essere presenti, per il pieno riconoscimento dello stato di Palestina (al fianco dello stato d’Israele). Offrendo a tutte le parti in causa, una via d’uscita fondata sulle Risoluzioni Onu e sul diritto internazionale, togliendolo voce alle armi ed alla violenza.

Il riconoscimento dello Stato di Palestina, non può essere considerato, come alcuni ancora sostengono, il risultato del processo di pace, ma è la condizione, essenziale e prioritaria, per costruire la pace giusta e duratura. L’Occidente deve togliersi il velo dell’ipocrisia che da decenni si porta addosso, dichiarando sostegno alla soluzione «due stati per due popoli» e poi, riconoscere solamente lo stato d’Israele, lasciando il popolo palestinese sotto occupazione ed oggetto di una politica di discriminazione, di violenze quotidiane, di occupazione, di espulsione che è alla base dell’autoritarismo, dell’ingovernabilità e dell’insicurezza di tutta la regione, compreso lo stesso stato d’Israele.

La terza: sostenere la società civile palestinese ed israeliana nel complicato lavoro di riconciliazione, fiducia, rispetto partendo dalle posizioni delle associazioni dei familiari delle vittime che «il vero nemico è chi vuole la guerra e chi non riconosce i diritti e le ragioni dell’altro». Va rotto il muro della condanna e della minaccia a chi pratica il dialogo e costruisce ponti tra le due comunità. L’esempio ci arriva dal percorso intrapreso da un ampio cartello di associazioni israeliane e miste che il prossimo 8 e 9 maggio ripeteranno a Gerusalemme, la manifestazione realizzata il luglio scorso a Tel Aviv, con lo slogan “Il Tempo è Ora”. Come pure faranno il 29 maggio, nella giornata per la memoria delle vittime, le due organizzazioni storiche miste, Combatants for Peace ed il Parents Circle Family Forum,sempre a Gerusalemme.

La quarta è un impegno collettivo, di costruire il sostegno al processo di pace giusta, in Italia, in Europa e nel resto del mondo, coinvolgendo le diaspore, ebraica e palestinese, per un grande movimento internazionale contro la violenza, la guerra, schierato apertamente contro le nuove forme di colonialismo e di oppressione. La convivenza tra tutti e tra tutte è possibile in Italia, in Europa e nel mondo, è quindi possibile anche in Palestina, in Israele e nel Medio Oriente. Sta a noi costruirla. Il tempo è ora.

Articolo pubblicato anche da il manifesto del 4 maggio 2025