Il nuovo presidente regna sulla Francia e riceve con tutti gli onori Trump. Nessun capo di stato in Europa è stato accompagnato dalla pregiudiziale positiva di cui ha goduto Emmanuel Macron. Ma ora le prime settimane del presidente cominciano a incontrare qualche modesta critica
Nessun capo di stato in Europa è stato accompagnato dalla pregiudiziale positiva di cui ha goduto Emmanuel Macron, giovane brillante e colto. Del suo valore del resto è il primo a essere persuaso: di fronte al vecchio Hollande che rivendicava di essere “un presidente normale” in polemica con l’esagitato suo predecessore, Macron ha dichiarato di voler restituire sacralità alla funzione e si è richiamato non all’esempio di Charles De Gaulle e neppure a qualche importante monarca della storia che aveva preceduto la Repubblica ma addirittura a un dio, anzi al primo degli dei: Giove.
Fin dalla prima mezz’ora dopo essere stato eletto ha prediletto le immagini di se stesso in maestà, e parlando non è certo agli “io” che rinuncia. Sotto un certo punto di vista, gli è riuscita un’operazione eccezionale: ha demolito il panorama politico dell’ultimo mezzo secolo, venendo incontro all’ondata populista che ha pervaso anche la Francia, ma poi al posto dei partiti storici e dei loro leader ha presentato se stesso come potere quasi incondizionato, una manovra populista di prima grandezza.
E si è affermato prima di tutto come qualcuno che liquidava inesorabilmente la sinistra, dichiarando di voler modificare il secolare codice del lavoro, e non attraverso una riforma, se non costituzionale, regolarmente parlamentare, ma per decreto. Flebili le obbiezioni dei sindacati. Subito dopo ha invitato nella forma più solenne Donald Trump, al quale non ha risparmiato baci, abbracci e pacche sulle spalle, dicendosi rispettoso anche delle divergenze niente meno che sul clima. E non gli ha risparmiato onori e monumenti della capitale, anche se con scarso risultato (Trump era particolarmente offuscato durante tutta la visita parigina per via delle imprese di suo figlio – i contatti avuti con la Russia durante la campagna elettorale). Ha perfino consentito che il servizio di sicurezza del presidente degli Stati Uniti sgomberasse per una giornata la chiesa di Notre Dame e la Tour Eiffel, assegnate alla visita di Melania e di Brigitte, le Prime signore, e allo sfoggio dei loro vestiti. Soltanto l’ospedale per l’infanzia Necker si è sottratto all’Fbi.
Subito dopo Trump ha invitato Netanyahu, per ricordare assieme a Israele la deportazione degli ebrei di Francia, prima in uno stadio e poi ad Auschwitz, un episodio poco glorioso di cui è stato colpevole il nostro vicino d’oltralpe durante l’occupazione tedesca; onestà vuole riconoscere a Macron che si è anche espresso per la soluzione “due popoli, due stati” del conflitto tra Israele e Palestina, e ha auspicato la fine degli insediamenti nei territori occupati. Inoltre il 17 luglio si è rivolto con un altro discorso ai senatori in tema di riforme sulle collettività territoriali, tasto molto sensibile per chi lo ascoltava, per la grande rete di poteri locali che sta alle spalle del sistema politico francese; è stata un’occasione per dissertare sulla concertazione, dopo l’incidente spiacevole che gli era capitato il 14 luglio, proprio durante la sfilata delle forze armate, con il Capo dello stato maggiore dell’esercito generale Villiers il quale si era permesso di criticare il robusto taglio nel finanziamento delle medesime: “sono io il suo Capo, e non ho bisogno né di pressioni né di commenti” – battuta che non gli ha giovato.
Per “concertazione” Macron intende la comunicazione delle sue volontà ai deputati o senatori che lo ascoltano riverenti; ma può darsi che per la seconda volta incontri delle obiezioni, avanzate in particolare dalla destra dei Repubblicani. Non è detto che gli dispiaccia, perché così può dimostrare che, malgrado l’opera di rottamazione effettuata sul sistema politico che l’ha preceduto, la Francia resta una repubblica parlamentare. Va ricordato che il partito del presidente, la Republique en Marche, ha la maggioranza assoluta alla Camera, mentre non l’ha al senato; questo spiega i toni più affettuosi con i quali si è rivolto ai senatori.
Le prime settimane del presidente cominciano a incontrare qualche modesta critica. Resta da vedere se una critica simile verrà applicata anche alla politica migratoria, finora assolutamente chiusa.