La mobilità della ricchezza delle famiglie fiorentine dall’epoca dei Medici al 2011, la storia delle tasse in America e le riforme abortite in Italia, catasto incluso. Il libro Tax the Rich e la battaglia sulla patrimoniale.
Le tasse non godono di grande fortuna come argomento di discussione in Italia, specialmente in politica. Neanche adesso che a febbraio è in agenda la delega fiscale. Ed è un peccato, perché dallo studio dei contribuenti possono emergere storie avvincenti e squarci di realtà. Due ricercatori della Banca d’Italia, Guglielmo Barone e Sauro Mocetti nel 2016 hanno preso in esame le famiglie più influenti della Firenze del 1427, ai tempi dei Medici e del Machiavelli, e hanno scoperto che a sei secoli e 20 generazioni di distanza, nel 2011, la mobilità socioeconomica è stata un fremito o poco più (qui il dossier). Tra gli pseudo discendenti delle 10 mila famiglie più importanti censite nella Firenze del 1427, l’elasticità dei guadagni è stata soltanto dello 0,04. Gli eredi degli eredi degli eredi, passando dalla società pre industriale del Rinascimento all’età della robotica e dell’Intelligenza artificiale, non hanno perso status, anzi. “Troviamo – scrivono i due ricercatori – un ruolo ancora più forte per l’eredità della ricchezza reale e la persistenza nell’appartenenza a determinate professioni d’élite”. La ricerca, che avrebbe fatto felice il sociologo francese Pierre Bourdieu nella sua analisi sulla riproduzione delle classi dominanti, non è stata divulgata al grande pubblico ma è stata trovata, e citata, nel libro di Pippo Civati e Davide Serafin “Tax The Rich” del 2021. Si tratta di uno dei pochi volumi divulgativi sul tema del fisco editi in Italia, al quale si affianca ora “Se la classe inferiore sapesse” di Giulio Marcon, edito dal febbraio 2023 per la stessa casa editrice, People.
Il libro di Civati e Serafin può essere visto anche come un prequel di quello fresco di stampa di Marcon, perché contiene varie storie di tasse e di riforme e controriforme fiscali, sia in Italia che negli Stati Uniti d’America, patria tra le infinite cose anche della campagna internazionale per la tassazione dei Paperoni del mondo con lo slogan “Tax the Rich”, che ha visto Alexandra Ocasio-Cortez come testimonial e punta di lancia e che può essere vista come il lascito del movimento Occupy Wall Street.
In effetti il dibattito sulle tasse, chi le paga e quanto, ha sempre appassionato gli americani. Per uscire dalla crisi del 1929 e poi per finanziare la guerra il governo di Washington non ha esitato ad applicare tasse molto alte sui grandi patrimoni. Poi, a partire da Reagan, è stata presa la china opposta. “E ora AOC e Bernie Sanders vogliono ribaltare la piramide e sono sparatissimi nelle loro affermazioni – sottolinea Civati – perché vogliono fissare delle idee regolative del sistema opposte a quelle che hanno creato in America cocenti diseguaglianze”. L’idea regolativa che invece vogliono affossare è quella “dello gocciolamento” – o trickle-down economics – teoria d’impronta reaganiana ma in realtà risalente a Hoover e al 1932 secondo la quale meno tasse si faranno pagare ai ricchi più questi compreranno e investiranno con benefici dell’intera collettività. Il libro civatiano ricorda a questo proposito che Reagan fu ammaliato da questa teoria che gli dimostrò il suo consulente Arthur Laffer a cena scrivendo su un tovagliolo di carta. Leggenda o realtà quel pezzo di carta da naso ha dominato il mondo per mezzo secolo resistendo come dettame a tutte le sue confutazioni.
Un’altra immagine distorta che si è fissata e che si cerca di decostruire è che l’Italia sia il Paese delle tasse. Bourdieu l’avrebbe rubricata come esempio eclatante della violenza simbolica delle classi dominanti e dai loro attaché, perché piuttosto è il paese europeo con la più forte diseguaglianza sociale. Come indice Gini è infatti surclassata solo da Bulgaria, Lettonia, Lituania e Romania. La campagna di Sbilanciamoci! Tax the Rich e i libri di Civati e Marcon si pongono proprio questo obiettivo: tornare ad una tassazione realmente progressiva sia sui redditi ma ancor di più, perché lì niente è stato fatto, sui grandi patrimoni per ridurre la forbice sociale e trovare risorse per aumentare la spesa pubblica, quella sì che crea un volano di crescita.
“Quando io e Marcon eravamo in Parlamento – racconta Civati – e andavamo a parlare agli altri parlamentari del centrosinistra di patrimoniale o di interventi per aumentare la progressività delle tasse, si giravano tutti dall’altra parte. Eppure proprio lo studio sulla Firenze del XV secolo fa cadere uno degli argomenti cardine di Berlusconi e della destra. Berlusconi dice che non vuole pagare più tasse perché le ha già pagate lavorando per arricchirsi. Ma se le stesse famiglie che erano abbienti sei secoli fa lo sono ancora, l’argomento cade. Noi non vorremmo espropriarle, vorremmo soltanto che pagassero una piccolissima quota, pari allo 0,5 per cento oltre il milione di euro di patrimonio, che per lo più hanno ereditato da generazioni precedenti, per sostenere il welfare, la sanità, gli adattamenti al cambiamento climatico. Si tratterebbe solo di un piccolo contributo alla società spalmato in un arco di tempo molto lungo, qualche decina di migliaia di euro per chi ha una ricchezza consolidata di milioni”. Per Civati convincere la politica e i cittadini della possibilità di questa richiesta è soprattutto “una battaglia culturale”.
Nelle proposte che vengono lanciate si parte dalla patrimoniale “perché si vuole recuperare risorse non dal capitale che serve all’economia viva ma a quello legato alla rendita”. E per fare questo secondo la sua versione civatiana del problema bisognerebbe partire da una riforma del catasto. Il catasto immobiliare è rimasto lì dal 1936, spesso non il cartaceo non è stato neanche “meccanizzato” figuriamoci “digitalizzato” e così gli estimi non hanno più alcun rapporto con il valore della ricchezza immobiliare. Civati ricorda il tentativo abortito durante il governo Renzi condotto, “senza troppo convinzione” dal deputato del Pd Marco Causi. Perché – c’è da chiedersi – le forze politiche, anche quelle progressiste, non se la sentono mai di portare avanti la battaglia per la riforma del catasto degli immobili? “O meglio – risponde Civati – si potrebbe chiedere perché il proprietario di un appartamento, che si è sudato quella casa risparmiando tutta la vita, e magari è proprietario anche di una casetta al mare, si sente minacciato da un provvedimento che non lo riguarda affatto”. La risposta alla prima domanda, sui politici, è comunque da vedere come la cartina da tornasole della subalternità allo status quo. Tutto immobile negli immobili e non si parla di tasse, come di morte. Quanto al fatto che la patrimoniale si innesti soprattutto sulla ricchezza immobiliare dei grandi patrimoni familiari, la spiegazione è presto detta: “Arrivare a tassare le ricchezze mobiliari, finanziarie, è molto più difficile. Inoltre la ricchezza immobiliare è più facilmente verificabile e meno esposta alla fuga di capitali”.
Quindi per ristabilire la logica di proporzionalità nel pagamento delle tasse si dovrebbe partire da un’imposta di successione, che oggi avvantaggia enormemente i grandi lasciti, oltre alle piccole eredità in franchigia. Si tratterebbe di portare la franchigia a un milione di euro e – secondo Marcon e le più articolate proposte di Tax the Rich! formulate da Sbilanciamoci! – inserire poi tre scaglioni a 10, 50 e 100 milioni. Certo, pur se ingenti non sono molti i grandi patrimoni, quelli dello 0,1 o 0,01 per cento dei contribuenti, tanto che Civati vorrebbe destinare i proventi del gettito a una tassa di scopo, cioè a finanziare ad esempio il reddito di cittadinanza. Ma si tratta in ogni caso di un provvedimento improntato alla giustizia fiscale e alla logica di progressività che si vuole riaffermare. Se tornasse in vita, anche Lorenzo de’ Medici, signore illuminato, probabilmente approverebbe.