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Sbilanciamoci! in audizione parlamentare sul “decreto Sostegni”

Lo scorso venerdì 28 maggio la Campagna Sbilanciamoci! ha svolto un’audizione sul “decreto Sostegni” presso la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati. Pubblichiamo la traccia dell’intervento del portavoce Giulio Marcon.

La Campagna Sbilanciamoci!, nata nel 1999, è composta da 49 organizzazioni della società civile italiana e monitora costantemente le misure della spesa pubblica, avanzate dal Governo e discusse in Parlamento. Siamo intervenuti più volte, anche in sede parlamentare e negli incontri con il Governo, per esprimere le nostre opinioni e abbiamo formulato le nostre proposte sui provvedimenti per far fronte all’emergenza Covid-19, sin dall’inizio della crisi.

Il Governo e il Parlamento dal mese di marzo del 2020 hanno messo in campo misure poderose, come quelle di molti altri Paesi europei. Questo nuovo decreto è sicuramente indispensabile per aiutare categorie professionali più esposte, i settori economici che si trovano in una situazione assai critica. Vogliamo soffermarci in questa audizione solo su tre punti di un provvedimento inevitabilmente variegato ed eterogeneo e che è composto di molte proroghe rispetto al precedente decreto.

Terzo settore

Il primo punto è relativo all’assenza di attenzione e di misure significative nel provvedimento a favore del terzo settore. Nel decreto sostegni ci sono parole per tutti i settori: quello tessile, alberghiero, aerospaziale, sportivo, degli stabilimenti termali, turistico, commerciale, eccetera. Ma il settore non profit manca. L’ISTAT ricorda che in Italia esistono quasi 360mila organizzazioni non profit che impiegano quasi 850mila lavoratori. Si tratta di organizzazioni che si occupano di beni pubblici e di servizi collettivi: per la non autosufficienza, la salute, l’ambiente, l’educazione.

In base ad alcune ricerche condotte da varie istituzioni – tra cui Italia non profit, Cariplo, Open cooperazione, Fondazione Italia Sociale – si stima che circa 250mila occupati di questo settore siano in cassa integrazione, un terzo dei quali, finita la cassa, non saranno riassorbiti. Si stima inoltre che il 30% delle organizzazioni non profit che avrebbero dovuto chiudere in attivo o in pareggio i bilanci del 2020, si troveranno invece in disavanzo. Gli occupati nel terzo settore sono sensibilmente cresciuti negli ultimi anni, costantemente ogni anno: il rischio è che dal 2021 la tendenza sia radicalmente invertita.

Queste organizzazioni usufruiscono certamente delle misure previste per le altre imprese sia per la cassa integrazione che per la liquidità (con le moratorie, i provvedimenti per le PMI, eccetera), ma servirebbero nel decreto misure specifiche oltre a quelle già previste, ad esempio la sospensione del pagamento dell’IRAP fino al 2023 per le organizzazioni non profit, la destinazione di tutto l’8 per mille di pertinenza statale al sostegno del terzo settore, attraverso un fondo straordinario ad hoc alimentato anche da altre risorse. Se non si interviene con misure mirate, oltre al rischio della perdita dei posti di lavoro c’è anche quello della riduzione degli interventi sociali erogati dal settore non profit – soprattutto negli ambiti della disabilità e della non autosufficienza – che costituiscono una gamba essenziale del welfare in questo paese.

Ammortizzatori sociali

Questo decreto, sia nel titolo I che nel titolo IV, interviene in diversi modi sul tema delle protezioni previste per le persone in difficoltà, con un reddito insufficiente, esposte al rischio di perdita del posto di lavoro. Nel decreto si ritorna sul reddito d’emergenza, sul reddito di ultima istanza, sulle indennità per i lavoratori stagionali del turismo, sulla NASPI, eccetera.

È noto in questi giorni il dibattito sulla questione della mancata proroga del blocco dei licenziamenti e delle soluzioni pasticciate che sono state trovate e che secondo noi non sono soddisfacenti. Condividiamo il giudizio delle organizzazioni sindacali. Si tratta tra l’altro di soluzioni ottenute senza una concertazione vera, senza una mediazione con le parti sociali, le quali hanno protestato. Quello che sicuramente non va bene – anche in questo decreto – è la continuazione della frammentarietà e della temporaneità delle misure previste.

Abbiamo perso un anno e mezzo senza provvedere alla riforma urgentissima degli ammortizzatori sociali, attraverso un sistema organico e unitario, come richiesto da sindacati e imprenditori. Già in un anno abbiamo perso quasi un milione di posti di lavoro, soprattutto giovani e donne, persone con contratti a tempo determinato o di altro tipo, temporanei. Con la fine del blocco rischiamo un’ulteriore perdita di posti di lavoro, senza che ne vengano ricreati altri. Le stime di Banca d’Italia della perdita di oltre 570mila posti di lavoro sono note.

Il problema non è vietare i licenziamenti ad libitum, ma avere una soluzione non estemporanea ed emergenziale per chi rischia di perderlo. Senza una misura di carattere universale, come un ammortizzatore sociale (finanziato dai datori di lavoro, dai lavoratori, dalla fiscalità) rivolto a tutte le categorie produttive ed economiche (anche il commercio, i servizi, eccetera), qualsiasi allentamento delle protezioni esistenti rischia di provocare una situazione di disagio sociale che rischia di essere ingestibile.

Questa riflessione – ma soprattutto alcuna iniziativa concreta – non c’è né in questo decreto né nel PNRR. Lo stesso vale per le politiche del lavoro.

Sanità militare e industria farmaceutica

Il decreto sostegni nel titolo III si occupa anche di sanità militare e al comma due dell’articolo 30 prevede uno stanziamento di 16,5 milioni di euro per la realizzazione di un reparto di infialamento di farmaci, da costituirsi all’interno dello stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze per selezionati vaccini e specifici antidoti per il bioterrorismo.

Peccato. Ci chiediamo se – sia in questo decreto che nel PNRR – non sia un’occasione persa quella di non valutare il potenziamento dell’unica industria farmaceutica pubblica (militare) che esiste in Italia – quella di Firenze – o di svilupparne delle nuove, anche in cooperazione con molte strutture ospedaliere pubbliche di eccellenza, per rendere possibile l’autonomia produttiva e della ricerca sul tema dei vaccini contro le pandemie in Italia.

Mariana Mazzucato ha sollevato alcune settimane fa sul British Medical Journal il tema della necessità di avere a livello nazionale ed europeo un polo pubblico della ricerca e della produzione farmaceutica, in modo da essere meno dipendenti dal mercato, di avere la possibilità di calmierare i prezzi dei farmaci e infine di garantire l’accesso ai farmaci alle fasce sociali indigenti.

In questo senso sono deboli e secondo noi fuori registro le misure contenute nell’articolo 31 dal promettente titolo: “Disposizioni in materia di ricerca e sviluppo di vaccini e farmaci”: si tratta sostanzialmente di un sostegno alle imprese private attraverso il consueto strumento del credito d’imposta. A nostro giudizio sarebbe meglio indirizzare queste risorse (oltre 700 milioni di euro nei prossimi dieci anni) verso un piano straordinario di investimenti pubblici a favore della ricerca pubblica, del rafforzamento e dello sviluppo di poli di ricerca e produzione vaccinale di natura pubblica.

Alla luce della pandemia di Covid-19 e della previsione di analoghe emergenze in futuro, la prospettiva del rafforzamento (che manca in questo decreto) dell’unico istituto pubblico farmaceutico esistente potrebbe essere una strategia da perseguire, per essere meno dipendenti da un mercato, tra l’altro, largamente sovvenzionato con i fondi pubblici.

Questo ambito va considerato centrale – e quindi non lasciato interamente nelle mani dei privati – per una strategia nazionale che metta al centro la sicurezza sanitaria come parte integrante della sicurezza globale del nostro Paese. Se consideriamo il tema della sicurezza nazionale un asset strategico, ovviamente presidiato dalle istituzioni pubbliche, la sicurezza dalle pandemie ne è un tassello fondamentale e – anche per i farmaci essenziali come i vaccini – non può essere lasciata solamente al mercato.

Altre misure

Prima di chiudere questa nostra presentazione, ci si consenta di chiosare solo alcune misure sulle quali vogliamo richiamare l’attenzione. Ci saremmo aspettati all’art. 10 (Misure di sostegno al settore sportivo) in cui si prevedono aiuti alle società professionistiche fino a 100 milioni di produzione, interventi drastici nella direzione della revisione di una situazione che sta arrivando al collasso – pensiamo alla condizione disastrosa di molte società di calcio della serie A – mettendo un tetto alle retribuzioni di atleti e allenatori, veramente fuori registro rispetto al quadro attuale. Questo vincolo andrebbe messo anche per le società professionistiche di cui a questo articolo.

Positive sono le misure sui lavoratori agricoli e sulla NASPI. Bene l’art. 63 sul contrasto alla povertà educativa con il finanziamento di 135 milioni di euro per due anni ad iniziative a favore dei centri estivi, dei servizi socioeducativi territoriali e dei centri con funzione educativa e ricreativa destinati ai minori. Si tratta di una misura positiva, ma che dovrebbe essere meglio finalizzata individuando le priorità territoriali e sociali e anche gli interventi specifici relativi al sostegno di queste strutture.

Conclusioni

Molte delle misure contenute in questo decreto sono essenziali. Altre mancano del tutto, come quelle sul terzo settore, e altre ancora risultano ancora parziali e frammentate. Manca un approccio complessivo e una visione generale sui temi della politica industriale. Si potrebbe dire che ciò non può essere offerto da questo decreto, ma bisogna rivolgersi al PNRR. Sta di fatto che nemmeno nel PNRR si può rintracciare l’idea di una politica industriale (espressione che compare una sola volta nel piano) e di un welfare universale e inclusivo, soprattutto sulla misura di un ammortizzatore sociale universale.

Anche in questo decreto si ascoltano molto le imprese e le categorie professionali più aggressive e troppo poco le organizzazioni sociali, dei lavoratori, dei cittadini. Nel PNRR sono previsti circa 50 miliardi di aiuti alle imprese e poco più di 6 e mezzo per le politiche del lavoro. In questo decreto 1/3 delle pagine è dedicato alle imprese e 1/7 alle politiche sociali e del lavoro. Le imprese vanno certamente aiutate e sostenute, ma non come è stato fatto in questi anni: i vantaggi fiscali ed economici non si sono tradotti in investimenti produttivi. Al contrario, essi si sono spesso tramutati in speculazione finanziaria. Anche questo decreto risente di questa impostazione, che speriamo venga modificata nei prossimi mesi: servono più politiche pubbliche, una regia più incisiva, un legame più forte tra emergenza e strategia per il futuro.