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Salari e inflazione, prove di convergenza

Salari, profitti, inflazione importata e inflazione interna, crescita delle diseguaglianze, salario minimo e legge sulla rappresentanza: il panel economico del convegno all’Università Roma 3 organizzato da Pasquale Tridico e Mario Pianta di Sbilanciamoci.

Negli ultimi due anni i salari italiani hanno perso il 15 per cento del loro potere d’acquisto. Colpa dell’inflazione ma anche colpa di un mercato del lavoro sempre più sprofondato nella precarietà. Il carovita è venuto con la guerra e con la rottura delle catene di valore, cioè da fattori esogeni al nostro sistema produttivo, ma si è andato a sommare a una ventennale stagnazione dei salari e si è inserito in una depauperamento del sistema industriale e produttivo italiano, tanto che oggi il 75 per cento degli occupati è impiegato in servizi a basso contenuto tecnologico, bassi investimenti e quindi bassa produttività, scarsa retribuzione e pochi diritti sindacali. 

Si è partiti da questo assunto, nel convegno che si è svolto il 3 luglio all’Università Roma Tre, dal titolo “Inflazione e salari: quali politiche?”, per affrontare temi complessi e intrecciati come la mancanza di una politica industriale, la necessità di una politica dei redditi che ponga argine all’attuale frammentazione e disgregazione sociale e alla pericolosa crescita delle disuguaglianze fino al tema, attuale per la politica progressista e dei sindacati, del salario minimo. Ma il dibattito, suddiviso di fatto in due panel – uno più economico e l’altro più politico, a seguire – si è sviluppato anche, sul lato della politica monetaria e della Banca centrale europea, sul perché una ulteriore stretta sui tassi di interesse e la perdurante ossessione di Bruxelles di fissare come obiettivo per tutti un’inflazione al 2 per cento possano spingere l’Italia, insieme a tutta l’Europa, verso il baratro di una più profonda recessione economica, moltiplicando la crisi e con essa i rischi di stabilità sociale di cui la Francia in questi mesi ha dato solo un primo assaggio. 

Il convegno, salutato dal rettore Massimiliano Fiorucci, è stato organizzato da Pasquale Tridico, fino al 15 giugno scorso presidente dell’Inps, per “festeggiare” il suo ritorno nelle aule accademiche, e da Mario Pianta, professore della Scuola Normale Superiore a Firenze e economista di Sbilanciamoci. Foltissima la tribuna degli oratori: Linda Laura Sabbadini dell’Istat, Maria Cecilia Guerra ex ministra e docente di scienza delle finanze dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Eliana Viviano economista della Banca d’Italia, e per il secondo panel, Maurizio Landini segretario generale della Cgil, Pierpaolo Bombardieri segretario generale della Uil, Elly Schlein segretaria del Partito Democratico, Giuseppe Conte presidente del Movimento Cinque Stelle ed ex premier. Con la sapiente interlocuzione di Lina Palmerini, giornalista del Sole 24 ore.

Nel corso del dibattito, tramite slide di tabelle e grafici, sono stati fissati alcuni concetti utili alla comprensione della situazione in cui ci troviamo e alla genesi degli errori commessi la dall’attuale governo ma anche di quelli precedenti sulle politiche industriali ma soprattutto sociali e del lavoro. 

Il primo concetto è che dentro la dinamica inflativa si cela un conflitto distributivo ma resta da sfatare l’entità del pericolo di innesco di una spirale inflativa salari-prezzi. Questo spettro continua a determinare le scelte della Bce insieme ai diktat finanziari dati dai centri  nevralgici della finanza mondiali e in linea con altre banche centrali.“ La Bce ci espone a una politica recessiva perché si muove come se fossimo in presenza di una inflazione data da una domanda eccessiva e in un contesto di piena occupazione, un mondo che non c’è e come diceva Keynes la stupidità politica è un dramma”, ha detto Mario Pianta nell’introduzione. 

Altro concetto, dipanato da Maria Cecilia Guerra ricordando studi recenti del Fondo Monetario Internazionale, della stessa Bce e di Bankitalia, all’interno del conflitto distributivo dell’inflazione i salari non sono cresciuti mentre le imprese non hanno assorbito nei profitti l’aumento dei costi, che si sono scaricati direttamente sui consumatori e con l’aumento dei prezzi, perciò la pressione non è stata salari-prezzi ma prezzi-prezzi. In questo senso l’inflazione in Italia persiste anche quando quella importata, data dai rincari dei prodotti energetici e delle materie prime, è diminuita fortemente. Più didascalico, Tridico ha fatto notare che: “Visto che salari e profitti costituiscono i prezzi se i salari non crescono, sono i profitti a determinare il rialzo dei prezzi e infatti secondo i dati Fmi l’aumento dei prezzi è stato trainato per il 40% dai profitti, per un altro 40% dai prezzi energetici, solo per il 25% dai salari mentre le tasse hanno subito un calo del 10%”. E a ben vedere in Italia, come è stato scoperto durante la trattativa sindacale per il nuovo contratto dei metalmeccanici, i prezzi energetici interni hanno continuato a “mordere” anche quando quelli sui mercati internazionali si erano raffreddati, in un mercato contraddistinto da posizioni monopolistiche. Perché è successo? Secondo l’ex ministra non si può spiegare questo comportamento solo con una generica avidità degli imprenditori ma probabilmente è scattata una aspettativa di aumenti dei salari o di ulteriori aumenti dei costi, in ogni caso un problema nell’offerta che rischia ora di trasferirsi sulla scarsa domanda per l’inabissamento dei redditi.

Altro concetto messo in luce nel convegno: l’inflazione non colpisce tutti i cittadini in egual misura ma amplifica le diseguaglianze di un Paese già fortemente diseguale. L’Istat, come ha spiegato Linda Laura Sabbadini, ha suddiviso le famiglie in 5 gruppi in base al potere d’acquisto. E ha trovato che il primo quintile, il più ricco, ha assorbito un peso dell’inflazione dell’8% sulla spesa complessiva mentre l’ultimo quintile si è dovuto sobbarcare un 40% del peso, essendo i rincari concentrati sull’energia e sugli alimentari, che incidono di più sul budget familiare del gruppo più povero. Fino al 2020 la distribuzione del peso dell’inflazione sui diversi quintili era stato più omogeneo. Il gap del potere d’acquisto tra il 1° e il 5° gruppo di famiglie era del 9%, ma ora a quel divario si è aggiunto un ulteriore 3% e la forbice si è ulteriormente divaricata. 

Infine un ultimo concetto è stato evidenziato in particolare sia dall’ex direttrice Istat sia dai sindacalisti Bombardieri e Landini: il salario minimo legale a 9 euro l’ora della proposta formulata dal Pd e dal M5S: può servire ma non basta. Secondo Sabbadini infatti i salari bassi dipendono oltre che dai mancati rinnovi contrattuali (manca la firma di 32 contratti per un totale di 7 milioni di lavoratori, pari al 55,6 della forza lavoro) ma anche perché data la enorme varietà di contratti atipici e precari e data la estrema parcellizzazione del lavoro. “Il lavoro povero non è dato solo dalla bassa paga oraria ma dalle poche ore lavorate, dai contratti a pochi mesi, a settimane, sotto i 12 mila euro l’anno ci sono 4 milioni di lavoratori, per cui il salario minimo andrebbe sicuramente accompagnato da misure che generalizzino i contratti a tempo  indeterminato”. Inoltre, ha sottolineato Landini, dovrebbe essere accompagnato da una legge sulla rappresentanza in grado di eliminare i contratti pirata di comodo e norme che eliminino la catena di appalti, subappalti, finte cooperative. E per finire, ha sottolineato Bombardieri, esiste un problema di equità fiscale che anche al va al di là delle rivendicazioni di detestazione degli aumenti salariali e della stabilizzazione del taglio al cuneo fiscale per i lavoratori. 

Di tutte le tematiche affrontate nel convegno di Roma Tre, oltre a un libro in uscita a ottobre a cura di Mario Pianta, sentiremo di nuovo parlare in autunno. 

RASSEGNA STAMPA:

Articolo sul convegno de il manifesto

Intervista Maria Cecilia Guerra

Articolo de Il Sole 24 ore