Occorre evitare che a modificare la Costituzione sia una parte soltanto del Parlamento senza o contro gli altri. E ricordare che c’è un altro modo di fare la democrazia: quello di cambiare, se occorre, le regole della vita comune in modo il più possibile condiviso. Come i primi cinquant’anni della nostra Repubblica ci hanno insegnato
Nell’ultima riunione di redazione di sbilanciamoci.info, martedì 13 settembre, la prima alla ripresa “autunnale”, si è parlato anche di Referendum. Sul punto dolente, la discussione è stata simile a tante altre che si intrecciano in molte sedi, sociali e politiche, toccando svariati, controversi aspetti. Si è sfiorato perfino il tema della democrazia. L’autore di queste note si è assunto il compito di riassumerne qualche passaggio.
L’uscita dell’ambasciatore americano John Phillips, rappresentante della Potenza Mondiale, che prevedeva (minacciava) le punizioni della finanza internazionale e delle multinazionali a un eventuale no referendario ha fatto pensare ai marines e alla Nato di altri tempi. Anche l’intervento di Angela Merkel, Potente nel Continente, a favore del sì è apparso come un’invasione di campo. La risposta di Sergio Mattarella, presidente della repubblica ha avuto il merito di abbassare i toni: il voto è del popolo, ma “è comprensibile l’interesse internazionale” per chi governa un paese importante come il nostro. Il voto è sempre del popolo ha affermato Mattarella, esperto costituzionalista e autore del Mattarellum uno dei recenti sistemi di voto adottati nel Bel Paese. Con una tanto esplicita affermazione di democrazia intendeva dire che il voto è sempre sempre del popolo, oppure che è il popolo a scegliere, una volta per tutte, chi ha il compito di decidere tutto fino alla prossima elezione?
Per noi incompetenti, la democrazia è una materia difficile. Di certo, leggendo testi e interpretazioni, si potrebbe, con un po’ di fatica e di attenzione, intendere il pensiero presidenziale. Si può immaginare che egli suggerisse che la democrazia del popolo vale sempre, ma cambia volta per volta: se uno è eletto per quattro anni dal popolo secondo regole stabilite, non può essere scaricato dopo due o tre anni per un voto contrario. D’altro canto l’eletto non può cambiare le regole esistenti e nominare a incarichi decisivi le persone che prima dovevano essere elette dal popolo o ricevere l’approvazione del popolo. Il caso è quello degli Stati uniti dell’ambasciatore Phillips: il presidente, Clinton o Trump che sia, nomina ministri e alti magistrati e il popolo, attraverso i suoi rappresentanti, conferma o nega il consenso. Il caso è anche quello tedesco della sfiducia motivata. Il nostro sistema, la nostra democrazia è fatta di poteri e contro poteri, di pesi e contrappesi. Qualcosa ha funzionato bene, nel corso degli anni, altri istituti sono stati buttati via oppure modificati. Per fare un esempio, il Senato in origine durava sei anni contro i cinque della Camera e sette della Presidenza della repubblica; i collegi senatoriali erano uninominali, con un quorum molto alto, in contrasto le liste di partito e il voto proporzionale per la Camera. L’elemento di rassicurazione istituzionale presente nella differente durata e nel diverso modo di elezione si è rovesciato nel contrario nel giro di pochi anni. Le varie leggi elettorali che si sono susseguite nel paese sono sempre state congegnate dalle maggioranze, con maggiore o minore disappunto delle opposizioni (come nel caso della legge truffa del 1953) ; diverso il caso dei cambiamenti costituzionali. Il principio democratico condiviso per i primi cinquanta anni della Repubblica era che i cambiamenti dovessero essere fatti insieme. Il racconto del modo di lavorare quando la Repubblica era neonata è che la mattina in Parlamento i partiti si davano battaglia sulla vita politica di tutti i giorni, mentre al pomeriggio, con buon accordo di tutti si scriveva, tutti insieme la Costituzione. Così racconta, tra gli altri, Vittorio Foa.
In altre parole vi è un altro modo di fare la democrazia: quello di cambiare, se occorre, le regole della vita comune in modo il più possibile condiviso – destra e sinistra, contadini e cittadini, uomini e donne, giovani e vecchi. Salvo poi tenere conto di persone nuove, di nuovi problemi: il caso degli immigrati, tanto quelli nati nel paese che quelli arrivati da fuori. La Costituzione, insomma, si può cambiare nell’accordo dei cittadini, attraverso i loro rappresentanti, eletti per discutere e poi per accordarsi, sistemando e mettendo a punto quel che c’è da sistemare e da affinare.
Occorre evitare che sia una parte soltanto del Parlamento a effettuare modifiche senza o contro gli altri. L’esempio da evitare è la modifica del titolo V della Carta, effettuata dalla sinistra contro la destra a fine secolo (1999-2001) soprattutto per evitare il temuto pericolo della “devoluzione” allora di moda e minacciata da un partito di destra, la Lega. Ne è risultata una sovrapposizione di poteri tra lo stato centrale e le regioni in molti settori dell’attività pubblica, con disordine, sprechi di tempo e di denaro, moltiplicazione delle alte burocrazie e delle burocrazie minime, ruberie incontenibili. Si trattava dunque con il titolo V di colpire due volte la democrazia: ostacolare – a ragione o a torto – quelle che si ritenevano le intollerabili scelte del popolo in alcune regioni e inoltre decidere il da farsi senza e contro una parte consistente del popolo, eventualmente compresi anche i fascisti.
Svuotato dalla legge sottoposta al referendum è il ben noto articolo 70. I costituzionalisti di una volta lo amavano molto: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Sono le famose nove parole che saranno sostituite da 442 nel nuovo testo costituzionale. Che dice così: “Art. 70. – La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.” Il testo del nuovo articolo 70 della Gazzetta ufficiale che abbiamo trascritto è di 20 righe dell’originale e prosegue per altre 28 righe con lo stesso avvincente andamento. Il risultato di distogliere qualunque lettura non obbligatoria di una siffatta Costituzione è voluto, oppure è una conseguenza occasionale e indesiderata?
Un’altra modifica recente e sbagliata della Costituzione è l’introduzione dell’obbligo del pareggio di bilancio con cui si è modificato l’articolo 81 (in realtà gli articoli 81, 97, 117, 119). Qui la divisione del popolo è quella di ricchi contro poveri. Quelli che hanno molto da temere e da perdere sacrificano gli altri concittadini. L’Europa e le banche mondiali fanno paura; così prima il governo Berlusconi-Tremonti (2011); poi il governo Monti (2012), in accordo con l’intero parlamento, ottiene le quattro letture di prammatica in sei mesi e con maggioranze bulgare (bulgare! come se poi avessimo il diritto di deridere gli altri) e infine la messa in opera da parte del centro sinistra nel 2014. Tutti compiono lo stesso atto di rinuncia alla sovranità nazionale – quella che Mattarella rivendica – poiché è richiesta dalla Grande Banca e da Bruxelles.
Oggi si vota, dunque.