Il governo ora vuole approvare il progetto definitivo a giugno. Per farlo invoca gli Iropi, fantomatici “imperativi di prevalente interesse pubblico”. Tra questi, la logistica militare e di protezione civile tra Calabria e Sicilia. Ma sono argomenti risibili e non passeranno al vaglio di Bruxelles.
Il governo ha indicato una nuova scadenza per l’approvazione del progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina: fine giugno. Per ottenere questo risultato ha approvato lo scorso 9 maggio il cosiddetto “Report IROPI”, in cui si dichiara che, per “Motivi Imperativi di Prevalente Interesse Pubblico” (i cosiddetti IROPI, per l’appunto, dall’inglese Imperative Reasons of Overriding Public Interest), il ponte è irrinunciabile malgrado i danni ambientali che ne hanno bloccato fino a oggi l’approvazione. Così, invocando un dispositivo della Direttiva Habitat, l’esecutivo sostiene di potere approvare “in proprio” il progetto limitandosi a “informare” la Commissione Europea circa le misure di compensazione che intende adottare, anziché richiedervi il “previo parere” previsto dalla procedura “aggravata”.
Il “Rapporto IROPI” approvato dal governo è in realtà inadeguato e non consente la “scorciatoia” agognata. Anzi, non rende nemmeno avviabile la procedura in deroga prevista dalla Direttiva e obbliga a rigettare il progetto.
- Le condizioni per approvare il progetto “in deroga” – il contesto normativo
Vediamo perché, cominciando dall’inizio. La norma che consente di approvare “in deroga” i progetti che hanno ricevuto una “Valutazione di Incidenza Ambientale” (VIncA) negativa è l’articolo 6.4 della Direttiva Habitat, che stabilisce:
“Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate.
Qualora il sito in causa sia un sito in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico.”
Come si vede l’articolo prevede due modalità di deroga, che hanno alla base tre presupposti: 1) la mancanza di soluzioni alternative; 2) la sussistenza di “motivi imperativi di prevalente interesse pubblico” (IROPI); 3) l’esistenza nel progetto di “misure compensative” sul piano ambientale che, secondo i criteri europei garantiscano la “coerenza globale di Natura 2000”. Il primo capoverso prevede che, dimostrata l’esistenza degli IROPI invocati, lo Stato possa limitarsi a “informare” la Commissione circa le “misure compensative” che intende adottare. Il secondo capoverso stabilisce che se la VIncA negativa riguarda siti “in cui si trovano habitat naturali e/o specie prioritari” (è il caso del ponte sullo Stretto), la semplice “informazione” alla Commissione sia sufficiente solo quando gli IROPI che impongono la realizzazione del progetto salute umana salute, sicurezza pubblica, e primari obiettivi ambientali; se invece ricorrono altri motivi imperativi (ad es. di carattere socio-economico), la deroga è subordinata a un “previo parere della Commissione”.
Vale la pena però evidenziare che l’intera procedura derogatoria (primo o secondo capoverso che sia) è subordinata alla dimostrazione da parte del Paese membro della “mancanza di soluzioni alternative” rispetto al progetto.
Ora, il Governo italiano, avendo dichiarato che sussistono motivi di sicurezza pubblica e salute umana (delibera del Consiglio dei Ministri del 9 maggio, con approvazione del “Report IROPI”), ritiene di poter semplicemente “informare” la Commissione Europea, approvando il progetto senza dover richiedere e attendere il “previo parere” disposto al secondo capoverso dell’articolo 6.4. Ma le cose non stanno così. Per due ragioni: 1) il Report approvato non dimostra l’assenza di alternative di progetto; 2) anche gli IROPI invocati sono indimostrati e risultano inconsistenti, contraddittori e contraddetti parzialmente dallo stesso progetto, parzialmente da evidenze oggettive terze.
Che assenza di soluzioni alternative e sussistenza degli IROPI debbano essere dimostrate e non soltanto dichiarate dagli Stati membri, è stabilito in modo chiaro e inequivocabile sia dalle Linee Guida (europee e nazionali) per l’applicazione dell’art. 6.4 sia dalla giurisprudenza comunitaria. Il “Documento di orientamento sull’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva “Habitat” (92/43/CEE) dei servizi della Commissione stabilisce che, in caso di VIncA negativa (è il caso del ponte sullo Stretto):
“Per decidere se un piano o un progetto può proseguire è necessario rispettare le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 4. In particolare occorre dimostrare che:
1 l’alternativa proposta e da approvare è la meno dannosa per gli habitat, le specie e l’integrità del sito Natura 2000 interessato, a prescindere dalle considerazioni economiche, e non ci sono altre alternative possibili che non presentano incidenze negative sull’integrità del sito;
2 sussistono motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi “motivi di natura sociale o economica”. Trattandosi di un’eccezione rispetto all’articolo 6, paragrafo 3, questa disposizione può essere applicata solo quando tutte le condizioni previste dalla direttiva sono completamente rispettate. A tale proposito, chiunque intenda avvalersi di questa eccezione è tenuto a dimostrare, a titolo di condizione preliminare, che le condizioni sopra indicate sono effettivamente applicabili in ciascun caso particolare.
3 Dopo che si è proceduto a verificare e documentare in maniera inequivoca la mancanza di soluzioni alternative e la possibilità di accogliere i motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, si devono prendere tutte le misure compensative necessarie per garantire che venga tutelata la coerenza globale della rete Natura 2000” (pag. 4).
- La valutazione delle alternative
L’assenza di adeguata valutazione delle alternative di progetto è evidente alla lettura del paragrafo 4 della relazione intitolato “Analisi delle alternative progettuali”, sviluppato in meno di una cartella (27 righe di testo e una tabella).
Come dovrebbe essere effettuata questa “valutazione”? Le “Linee guida nazionali per la valutazione di incidenza (VIncA) Direttiva 92/43/CEE “Habitat” Art. 6, paragrafi 3 e 4” (GURI , 28-12-2019, SG n. 303, pp. 25-118) dispongno al par. 4.2 (Valutazione delle Alternative, pagg. 100-101):
“gli unici criteri che devono essere presi in considerazione devono essere quelli ambientali.
Il necessario confronto delle soluzioni alternative deve essere svolto solo in considerazione della minore o maggiore incidenza rispetto agli obiettivi di conservazione del sito Natura 2000…
La possibilità di non procedere con il progetto (opzione zero) deve essere sempre analizzata e valutata in questa fase, ed è considerata soluzione alternativa.
In assenza di una valutazione adeguata di tutte le alternative ragionevoli disponibili, non si può concludere che non vi siano soluzioni alternative. Le soluzioni devono quindi essere comparate fra di loro rispetto a ciascun habitat, habitat di specie e specie interessati dall’incidenza significativa….
Tra le alternative proposte non possono essere considerate soluzioni non praticabili o che già prevedono un impatto maggiore.
Non è accettabile la presentazione di alternative con impatti ambientali più elevati, al fine di orientare l’Autorità competente a mantenere il progetto iniziale”.
Tenendo presenti questi criteri la relazione del governo risulta totalmente inadeguata e insufficiente. Infatti il paragrafo 4: a) non contiene alcuna effettiva presentazione delle alternative; b) si limita a qualificare come “tecnicamente non fattibili” le ipotesi dei tunnel (in alveo o subalveo) senza indicare la ragione di detta presunta “non fattibilità” e senza rinviare ad alcun documento tecnico verificabile); c) confronta il progetto con l’opzione zero in termini esclusivamente socioeconomici (risparmio del tempo); d) l’ipotesi di un ponte alternativo con differente localizzazione è presentata solo con riferimento a un fantomatico ponte “a due campate”; e) omette la considerazione delle ben note alternative progettuali note, esposte dal rapporto “La valutazione di soluzioni alternative per il sistema di attraversamento stabile dello Stretto di Messina” (20 aprile 2021) del ministero delle Infrastrutture (una delle quali considerata peraltro “potenzialmente più conveniente”).
Stanti queste carenze, la conclusione che: “l’opzione zero sia inferiore rispetto al Ponte perché non riesce a garantire gli stessi necessari livelli di accessibilità e flessibilità propri di un attraversamento stabile. Inoltre, un Ponte a campata unica è sicuramente preferibile rispetto a quello a due campate in quanto, a parità di livelli di servizio, è caratterizzato da minori impatti ambientali. Ne discende che il ponte sullo Stretto a campata unica è l’unica opera in grado di soddisfare i bisogni imperativi minimizzando gli impatti ambientali”, è totalmente inappropriata e risulta priva di qualsivoglia supporto analitico e non in linea con le previsioni metodologiche della norma, secondo le linee guida applicative.
- L’insufficienza degli IROPI
Come detto, l’assenza della valutazione delle alternative di progetto ha come conseguenza l’impossibilità di accedere alla procedura derogatoria di cui all’art. 6.4 della Direttivìa Habitat, indipendentemente dagli IROPI invocati. Questi, comunque, non possono essere semplicemente dichiarati, ma devono anche essi venire tecnicamente e/o documentalmente dimostrati prima di approvare il progetto in deroga. E anche su questo punto la “Relazione IROPI” risulta inadeguata, carente, omissiva, contraddittoria con evidenze stesse del progetto.
In particolare:
3.1) I motivi di protezione civile sono argomentati in maniera non sostenibile. Il rapporto rappresenta una condizione in cui un sistema efficiente di trasporti in caso di calamità dipendesse esclusivamente dalla continuità territoriale fra Sicilia e Calabria, concludendo che: “il Ponte sullo Stretto è indispensabile per migliorare la capacità di risposta in caso di emergenze di protezione civile … specialmente in scenari in cui la rete stradale Calabra dovesse risultare compromessa … il Ponte consentirebbe di sostituire il trasporto di aiuti nazionali su gomma, rendendo più efficienti le operazioni di soccorso e riducendo i tempi di intervento da giorni (2-4) a ore (6-12)” (pp. 19-20). Lungi dall’essere “dimostrata”, questa conclusione è, incongrua e incompatibile con altri passaggi dello stesso rapporto.
A pagina 14 (come nel progetto) il rapporto infatti afferma che il risparmio di tempo conseguibile col ponte sarebbe di circa un’ora, non di giorni. Il ponte poi è un sistema bimodale, stradale e ferroviario ed è impensabile che un evento catastrofico che rende impraticabile la rete stradale mantenga intatta e fungibile la rete ferroviaria. Proprio il passaggio citato evidenzia che la velocizzazione del trasporto di persone e mezzi per i soccorsi in caso di emergenza di protezione civile è legata a due interventi differenti e alternativi al ponte: 1) l’efficientamento dei collegamenti interni alle regioni; 2) il potenziamento delle infrastrutture aeroportuali e portuali dell’isola.
In altro passaggio la relazione afferma: “la Sicilia è collegata al resto della penisola esclusivamente tramite traghetti e aerei (pag. 8). È evidente che un sistema “ridondante” in grado di risparmiare ore (o giorni) di tempo nell’arrivo di soccorsi solo nel caso in cui può essere costruito attraverso adeguati investimenti sulla resilienza delle reti stradali e ferroviarie e sugli aeroporti e porti di Sicilia e Calabria molto più che tramite la concentrazione di ingenti risorse su un unico intervento puntuale su una tratta di minima percorrenza. La “valenza strategica” del sistema infrastrutturale stradale e ferroviario è di gran lunga superiore rispetto a quella attribuibile al ponte.
3.2) I motivi di sicurezza militare non sono verificabili, non risultando riscontrabili né il documento della Commissione Europea 2024 citato (“Military Mobility Action Plan”, di cui risulta come ultima versione la 2.0 del 2022, con vigore quadriennale fino al 2026), né altra eventuale documentazione NATO. Ovviamente non basta l’autocertificazione del governo per dimostrare la rilevanza strategica internazionale del ponte, che costituirebbe una barriera per le portaerei di classe Nimitz (di altezza in navigazione superiore ai 65 metri) e un obiettivo sensibile molto importante, di difficile difesa e che aumenta il rischio dell’area piuttosto che ridurlo. E ancora in periodo coevo all’analisi di fattibilità del ponte a campata unica un rapporto della sicurezza militare affermava che “La soluzione del ponte sospeso sembra essere davvero quella meno valida dal punto di vista della Difesa” (Rivista Militare, luglio-agosto 1987, pag. 64 – allegato n. 3). Risulta difficile sostenere su queste basi la strategicità militare del ponte.
3.3) Sotto il profilo sanitario, il progetto non presenta la necessaria Valutazione di Impatto Sanitario (VIS) e la relazione IROPI non sviluppa alcuna analisi sanitaria epidemiologica e sistemica dell’area. Non è pertanto possibile in alcun modo affermare che in fase di costruzione e in fase di esercizio la realizzazione del ponte possa migliorare le condizioni di salute delle popolazioni locali.
3.4) Sotto il profilo ambientale la valutazione di beneficio si basa su informazioni relative alle emissioni navali risparmiate col ponte fuorvianti sotto due aspetti: 1) l’ipotesi di azzeramento dei servizi di traghettamento sullo Stretto connessa all’entrata in esercizio del ponte è smentita sia dai traghettatori privati che dall’Autorità Portuale dello stretto; 2) il progetto ricorre a “stime”, pur in presenza di reperibili dati ufficiali relativi alle emissioni navali e queste stime presentano valori più che doppi rispetto ai dati reali. Inoltre la valutazione dell’incremento di emissioni da parte dei vettori gommati e ferroviari (e della loro incidentalità) è limitata alle città di Messina e Villa San Giovanni, mentre tali vettori avrebbero impatto sull’intero territorio del Mezzogiorno d’Italia e oltre. Ne consegue la non fondatezza del vantaggio ambientale del ponte, che in realtà in prospettiva aumenta il carico di emissioni climalteranti in atmosfera.
In conclusione:
- la mancata dimostrazione dell’inesistenza di alternative di progetto con minore impatto ambientale su habitat e specie prioritarie non consente l’adozione della procedura derogatoria prevista dall’art. 6.4;
- gli IROPI invocati non consentono di ricorrere al primo capoverso dell’art. 6.4, ma obbligherebbero ad applicarne il secondo, dovendo sottostare al “previo parere” della Commissione. Ma, soprattutto, e obbliga a negare approvazione al progetto.
- In tali condizioni la “Relazione IROPI” approvata dal Governo non è adeguata per consentire un “via libera” al progetto.
L’autore Guido Signorino è professore ordinario di Economia applicata all’ Università di Messina