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Per il G7 solo carbone

Il G7 Clima, Energia e Ambiente si è concluso con un debole accordo sul carbone, senza includere gas e petrolio. Mentre a Venaria si è celebrata la solita litania dei potenti, a Torino Alleanza Clima Lavoro e Cgil si sono riunite per far sentire la voce dell’ambiente e del lavoro.

Lo scorso 30 aprile si è concluso il G7 Clima, Energia e Ambiente di Venaria Reale che, sotto la presidenza italiana, ha visto la partecipazione, oltre ai rappresentanti dei Paesi G7 e della Commissione Europea, dei ministri dell’Energia, dell’Ambiente e del Cambiamento climatico di Algeria, Azerbaijan, Brasile, Emirati Arabi Uniti, Kenya, Mauritania e dei rappresentanti di nove organizzazioni internazionali.

Al termine del vertice il nostro ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, si è mostrato compiaciuto, descrivendo la Carta di Venaria – il tradizionale Communiqué di chiusura del meeting – come un documento equilibrato e in linea con le attese che, “nel ribadire gli impegni già assunti nelle precedenti sessioni del G7, ne avvia la concreta e significativa attuazione”.

Una Carta molto deludente

Tanta soddisfazione non è giustificata. L’esito del vertice conferma tutti i limiti, i ritardi e le contraddizioni che caratterizzano l’approccio e l’operato dei “grandi” del mondo riguardo alla crisi climatica del pianeta e agli obiettivi di decarbonizzazione e di uscita dalle fonti fossili.

In particolare, l’unico obiettivo temporale contenuto nella Carta di Venaria riguarda il progressivo abbandono entro il 2035 del carbone, le cui emissioni a livello europeo sono riconducibili per ben due terzi a Germania e Polonia. Si parla però di carbone unabated, ovvero di quelle emissioni che non sono sottoposte alla cattura e allo stoccaggio della CO2. Ciò significa che non verranno dismesse “le centrali a carbone che sono dotate di un sistema per la riduzione delle emissioni di gas serra”, nonostante sia acclarato che gli impianti di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (CSS) assorbano appena lo 0,1% delle emissioni a livello globale.

In altri termini, il previsto phase out dal carbone non è completo, né tantomeno automatico: la deadline del 2035 appare semplicemente indicativa e per di più facilmente aggirabile, dal momento che i Paesi del G7 si sono impegnati a “eliminare gradualmente l’attuale produzione di energia elettrica da carbone nei nostri sistemi energetici nella prima metà del 2030 o in un arco temporale utile al mantenimento dell’aumento della temperatura media globale sotto gli 1.5°C”.

Non è dato sapere quale sia tale finestra di tempo e chi ne definisca la compatibilità con l’Accordo di Parigi. Quello che invece risulta evidente è che i vincoli contenuti nella Carta finale del vertice siano ben poco vincolanti e che la quanto mai urgente definizione di una strategia politica comune per l’abbandono di gas e petrolio continui, ancora una volta, a essere posticipata.

Peraltro, la Carta di Venaria è costellata da ripetuti riferimenti agli impegni sociali assunti dal G7, tra i quali spiccano le “pratiche inclusive” per coinvolgere la società civile e il supporto alla partecipazione giovanile. I fatti dimostrano altro: non soltanto dai tavoli di lavoro del vertice sono state puntualmente escluse le organizzazioni ambientaliste, ma gli incontri si sono svolti in un contesto blindatissimo, con cariche e uso di idranti da parte delle forze dell’ordine per reprimere le manifestazioni dei giovani attivisti per il clima riunitisi a Torino in occasione del forum.

G7 e governo italiano bocciati su ambiente, clima ed energia

Mentre a Venaria Reale si celebrava l’ennesima litania dei potenti del mondo, a pochi chilometri di distanza ambientalisti e sindacalisti si sono riuniti in assemblea per sollevare il loro controcanto. “Il G7 ascolti il lavoro e l’ambiente”, questo il titolo dell’iniziativa promossa dall’Alleanza Clima Lavoro e dalla CGIL nazionale presso il centro internazionale di formazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro del capoluogo piemontese, di fronte a 250 persone (la registrazione integrale è disponibile qui).

“Siamo qui in concomitanza con il G7 per esprimere tutta la nostra insoddisfazione e avanzare le proposte delle organizzazioni ambientaliste e sindacali su occupazione, lotta al cambiamento climatico, decarbonizzazione e transizione energetica, sulla base dell’esperienza unitaria dell’Alleanza Clima Lavoro” – ha dichiarato in apertura Giulio Marcon, Portavoce della Campagna Sbilanciamoci! – “Il G7 è incapace di rispondere alla crisi geopolitica e climatica globale e di cogliere le opportunità economiche, sociali e occupazionali che una transizione tempestiva e ben governata può offrire. Vogliamo un’economia di pace e un modello di sviluppo al servizio delle persone, fondato sulla cooperazione, la solidarietà internazionale e la sostenibilità ambientale e sociale, e non sulla guerra e l’aumento illimitato dei consumi e dei profitti.”

“I leader del G7 devono ascoltare le ragioni del mondo del lavoro e dell’ambientalismo” – ha ribadito Anna Poggio della segretaria regionale della Cgil Piemonte – “Invece, la Presidenza italiana del vertice fa tutto il contrario, puntando sul nucleare e rilanciando il Piano Mattei, che punta allo sfruttamento delle risorse e alla criminalizzazione dei migranti. Serve una svolta radicale per l’occupazione e per il clima che ci liberi definitivamente dalla dipendenza dai combustibili fossili, accelerando il processo di una giusta transizione che non lasci indietro nessuno e che sia fondata sull’equità e la buona occupazione.”

Molto netto sull’argomento anche Christian Ferrari, Segretario confederale della Cgil: “Non è mettendo la testa sotto la sabbia rispetto alla sfida del cambiamento climatico che si difende l’occupazione, con 1 miliardo e 200 milioni di posti di lavoro che dipendono dalla salute degli ecosistemi. I paesi del G7, che rappresentano il 38% del Pil globale, sono i maggiori responsabili della crisi ambientale e climatica in atto, con il 21% del totale delle emissioni. In tutto ciò la presidenza italiana ha mostrato una clamorosa inadeguatezza.”

“L’Italia – ha proseguito il Segretario confederale – non raggiungerà i suoi obiettivi di decarbonizzazione. Nel Pnrr vengono tagliati 5,6 miliardi all’ambiente e prosegue il sostegno alle infrastrutture per le fonti fossili e a false, costose e rischiose soluzioni come la CCS o il nucleare. Non sono questi gli strumenti per la lotta al cambiamento climatico, cioè risparmio ed efficientamento energetico, fortissima accelerazione delle rinnovabili, stop ai sussidi alle fonti fossili e programmazione della loro eliminazione in funzione degli obiettivi di decarbonizzazione.”

“La transizione ecologica” – ha concluso Ferrari – “deve trasformarsi in una straordinaria occasione per rilanciare ruolo e centralità del lavoro. Parliamo di un obiettivo tutt’altro che irrealistico perché la transizione, se indirizzata da un intervento pubblico che programmi e accompagni una trasformazione della nostra struttura produttiva, è in grado di creare molta più occupazione, e di maggiore qualità, rispetto a quella che andrà persa. Questo vuole dire giusta transizione: un tema non solo sindacale, ma centrale anche per tutti quei soggetti del mondo ambientalista con cui abbiamo costruito in questi mesi una forte alleanza, che abbiamo tutta l’intenzione di sviluppare.”

Secondo Monica Di Sisto di Sbilanciamoci!, “il calo delle emissioni registrato in Italia e in Europa nell’ultimo biennio ha sempre più il volto della deindustrializzazione piuttosto che di una meditata transizione dei nostri sistemi produttivi verso la sostenibilità ambientale. Viene da pensare che, nel momento in cui si ripristinano i vincoli di bilancio a livello comunitario con il nuovo Patto di stabilità, e proprio quando tocca ora alle imprese fare la loro parte, il Green Deal sia passato di moda e le pressioni corporative si siano spostate verso gli ingenti capitali pubblici che si riversano sul riarmo. Ma di due cose non abbiamo bisogno: di più armi e di più emissioni. Di una cosa invece c’è grande urgenza: che gli ingenti dividendi delle grandi imprese inquinanti finanzino la transizione e la ridensificazione dei sistemi energetici e produttivi strategici per superare questa fase di crisi ambientale e sociale, mettendo al centro il lavoro e la rigenerazione della natura.”

A seguire Katiuscia Eroe, Responsabile Energia di Legambiente, ha ricordato che nel 2023 si sono registrati in Italia 378 eventi meteorologici estremi, più di uno al giorno, con 31 decessi e danni miliardari ai territori. L’Italia rimane poi fortemente dipendente dalle fonti fossili: nel 2022 sono stati spesi 90 miliardi di euro tra sussidi ambientalmente dannosi e decreti energia, senza cambiare il nostro sistema di approvvigionamento energetico e senza abbassare in modo significativo e strutturale il costo esorbitante delle bollette di famiglie e imprese.

“Il nostro governo – ha aggiunto Eroe – è incapace di guardare al futuro e fa ideologia promuovendo il nucleare di nuova generazione e prevedendo la realizzazione di 20 small modular reactors nel paese da qui al 2030, mentre oltre 1300 progetti già depositati di impianti da fonti rinnovabili sono fermi al palo in attesa di valutazione. Un governo che ci sta candidando peraltro a diventare l’hub del gas per l’Europa con i nuovi 8 rigassificatori in cantiere. È una politica energetica che ci renderà ancora più dipendenti dall’estero e dai fossili, e ancora più deboli dal punto di vista geopolitico.”

Mariagrazia Midulla, Responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia, ha parlato di “politica fantasy” sul clima, l’ambiente e l’energia in Italia, ad esempio quella di un governo che sostiene il ritorno in Italia del nucleare – tecnologia che non ha possibilità di affermarsi per costi, tempi, rischi e opposizione popolare –, oppure del nostro ministro dell’Ambiente che indica i pannelli solari come i veri nemici della biodiversità. Midulla ha inoltre chiarito che “oggi la controffensiva degli avversari della transizione è molto forte, in particolare quella degli interessi fossili”.

In questo contesto, sono due i punti chiave da mettere al centro dell’impegno per la transizione: “la transizione ecologica è giusta se viene governata dalla mano pubblica, per sostenere i lavoratori che devono riqualificarsi e le imprese che devono riconvertirsi. E la transizione deve essere accelerata. Viviamo in un paese in cui prevale la logica dell’attendismo, ma qui a Torino, con la crisi dell’auto, sappiamo bene cosa succede se si resta a guardare: i settori produttivi crollano e i lavoratori, usati inizialmente come ostaggio, vengono infine scaricati quando avviene il crollo. Per questo è fondamentale rinsaldare l’alleanza tra ambientalismo e sindacato, a partire dall’assunto che non esistono posti di lavoro in un pianeta morto a causa del cambiamento climatico”.

Di “riflusso anti-ambientalista” ha parlato Luca Sardo dei Fridays for Future di Torino, descrivendo come negli ultimi cinque anni, da quando i Fridays sono nati a oggi, abbiamo assistito a una vera e propria inversione a U sulle politiche per il clima e la transizione. “All’epoca persino i partiti conservatori in Europa sembravano schierati a favore della causa del clima e i tempi apparivano maturi per la transizione. Adesso c’è un fronte compatto contro i movimenti ambientalisti, che soffia sulla contrapposizione tra occupazione e ambiente”.

Eppure, esperienze come quelle portate avanti dall’Alleanza Clima Lavoro dimostrano che si possono coniugare la lotta per il lavoro e quella per il contrasto al cambiamento climatico. “Il nostro compito – ha aggiunto Sardo – è quello di portare queste esperienze e questi messaggi a livello popolare e di farlo in modo capillare, non solo sostenendo i giovani di fronte alla criminalizzazione della loro protesta, con il progressivo restringimento degli spazi democratici e di partecipazione a cui stiamo assistendo, ma anche allargando la mobilitazione per il clima e la giusta transizione alle generazioni più anziane e coinvolgendo attivamente il sindacato”.

Insieme per la giusta transizione e un nuovo modello di sviluppo

L’evento torinese si è chiuso con un dialogo – moderato da Simona Fabiani, Responsabile della Cgil per le politiche per il clima, il territorio, l’ambiente e la giusta transizione – tra il Segretario generale della Cgil Maurizio Landini e Joel Akhator Odigie, Segretario generale di Ituc-Africa, l’Organizzazione regionale africana della Confederazione internazionale dei sindacati.

Tra i temi affrontati nel confronto, forte la critica di Odigie al Piano Mattei del governo Meloni, giudicato irricevibile e sbagliato. “Per la sua definizione non siamo stati consultati, come ha denunciato anche Moussa Faki, il Presidente della Commissione dell’Unione africana. È un Piano predatorio che strozza l’Africa per accaparrarsi le sue risorse minerarie e criminalizza un diritto umano universale e un fenomeno naturale come quello delle migrazioni. Non c’è alcun interesse all’ambiente, alla sostenibilità e alla transizione ecologica, né tanto meno ci viene riconosciuto il diritto che rivendichiamo con forza di avere autonomia sulle nostre politiche energetiche e di sviluppo.”

“L’estrazione delle materie critiche di cui è ricco il nostro continente – ha proseguito Odigie – causa inquinamento e devastazione ambientale, mentre gli effetti del cambiamento climatico ci danneggiano più di tutti, perché per noi è molto più difficile risollevarsi e ricostruire dopo gli eventi estremi legati al clima, come le alluvioni e le inondazioni in Kenya a cui stiamo assistendo (ad oggi 230 vittime e oltre 200mila evacuati, ndr). In Africa ci sono poi oltre 600 milioni di persone che non hanno accesso all’energia, mentre i governi del continente continuano a privatizzare e a fare affari con le compagnie multinazionali dell’energia, che a loro volta fanno profitti multimiliardari, ma senza pagare le tasse in Africa.”

In linea con le posizioni del Segretario di Ituc-Africa, Maurizio Landini ha evidenziato il manifestarsi a livello globale di una “logica del capitalismo neoliberista, in cui le grandi multinazionali hanno più potere degli stati, con la politica che risponde alle richieste e alle condizioni che queste dettano, e non viceversa. Il problema della tassazione delle grandi ricchezze e della giustizia fiscale vale tanto per l’Africa quanto per l’Italia”. Landini ha inoltre rimarcato l’ipocrisia del Piano Mattei: “non solo il governo Meloni non ne ha discusso con gli stati e le rappresentanze sociali e sindacali, in Africa così come in Italia, ma stringe accordi con alcuni paesi illiberali che non garantiscono i diritti e le libertà fondamentali e che perseguono e mettono in carcere i sindacalisti”.

Infine, in merito alle politiche per la transizione, il Segretario Cgil è stato chiaro: “Il sindacato deve porsi il problema del clima e del superamento delle fonti fossili. È un nodo sociale, politico ed economico che riguarda il modello di sviluppo neoliberista e il funzionamento dei nostri sistemi di produzione, sfidando interessi economici e finanziari fortissimi che condizionano la politica, difendono il mercato senza vincoli e impediscono il cambiamento. Di fronte a questa sfida è fondamentale costruire alleanze e solidarietà anche a livello internazionale per proporre un nuovo modello sociale e produttivo, ricostruendo e affermando su questi aspetti un punto di vista del lavoro. Non possiamo limitarci a chiedere più soldi e meno orario, ma dobbiamo rivendicare il diritto, come sindacato e come lavoratori, di decidere cosa si produce, come lo si produce e con quale prospettiva di sostenibilità ambientale e sociale, senza lasciare che a fare questo siano solo le imprese”.