Il decreto Rilancio rischia di essere l’occasione mancata per una nuova politica economica. Le proposte sono sul tappeto: un’Agenzia nazionale per lo sviluppo e la politica industriale, un vero Green New Deal guidato dagli investimenti pubblici, una fiscalità che riduca le diseguaglianze e colpisca grandi patrimoni e rendite, investimenti massicci su welfare, ricerca, scuola e […]
Il decreto Rilancio, appena pubblicato, contiene – in 266 articoli e oltre 300 pagine – molte misure utili e necessarie: le assunzioni nell’università e nella sanità, la prosecuzione della cassa integrazione e delle misure più urgenti di protezione sociale come i bonus per i bambini e la famiglia, l’avvio del reddito di emergenza, le misure per le imprese e l’ecobonus, i fondi per il servizio civile e il terzo settore, e tanto altro ancora. Misure per 55 miliardi per cercare di mettere tanti cerotti a un’economia che è crollata in queste settimane e a una situazione sociale che rischia di esplodere nella disperazione e nella protesta: condizioni materiali di vita che peggiorano giorno dopo giorno per larghe fasce di popolazione.
Si tratta di scelte in gran parte condivisibili, anche se, entrando nel merito, alcune di queste possono essere oggetto di critica e di revisione. In alcuni passaggi l’impressione è di una distribuzione di fondi a pioggia, parcellizzati. Si discute molto in queste ore del prestito di 6,6 miliardi chiesto dalla FCA, utilizzando le norme non del decreto Rilancio, ma del vecchio decreto Liquidità. Nonostante le garanzie chieste dal governo (impegno a non delocalizzare, a non distribuire dividendi nel 2020, a garantire l’occupazione e gli investimenti), i dubbi ci sono tutti. Alla FCA la liquidità non manca e la utilizzerà per strappare succose cedole per gli azionisti (magari nel 2021) prima della fusione definitiva con Peugeot. Il prossimo piano industriale lo faranno i francesi e chissà se l’Italia è nelle priorità. E la FCA Italia – che ha chiesto il prestito – non è una società autonoma, ma il braccio operativo di una multinazionale che ha sede all’estero.
Tornando al decreto Rilancio – nel pot pourri di norme – quello che manca è un filo rosso tra le misure varate: molte necessarie ed emergenziali, altre estemporanee e frammentate e altre ancora pensate per la comunicazione pubblica. Manca una strategia, una visione complessiva della strada che si intende seguire nei prossimi mesi. Mancano cioè misure strutturali che, intervenendo nell’emergenza, prefigurino un orizzonte diverso nelle politiche economiche, nelle politiche sociali, nei rapporti tra Stato e mercato. Mancano interventi decisi sulle politiche fiscali, per le politiche per il lavoro, sugli strumenti necessari per prendere una direzione diversa delle politiche economiche.
Certo, il complesso delle misure di questi mesi, dei decreti fin qui varati, fa necessariamente pendere di più la bilancia dalla parte dello Stato e delle istituzioni pubbliche, ma tutto questo rischia di non essere abbastanza o di essere solo una parentesi di questi mesi. Il decreto Rilancio rischia di essere l’occasione mancata per mettere le fondamenta di una nuova politica economica. Le proposte sono sul tappeto: un’Agenzia nazionale per lo sviluppo e la politica industriale, un vero Green New Deal guidato dagli investimenti pubblici, una fiscalità che riduca le diseguaglianze e colpisca grandi patrimoni e rendite, investimenti massicci nel welfare, nella ricerca nella scuola e nella sanità pubblica, un piano del lavoro che tolga di mezzo la precarietà.
Il governo italiano, la politica devono fare uno scatto. Come nel New Deal negli Stati Uniti dopo la crisi del ’29 e i laburisti dopo la fine della seconda guerra mondiale in Gran Bretagna, ci aspettiamo che anche da noi la politica sia capace – come abbiamo scritto nel nostro appello – di costruire nell’emergenza un’Italia diversa, capace di futuro: una discontinuità rispetto al passato, un’economia non per pochi, ma per tutti.