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Mayotte devastata e la delusione chiamata Francia

Il tifone Chido, “drogato” dalle altissime temperature dell’Oceano Indiano, si è abbattuto su Mayotte. L’isola è voluta rimanere territorio francese ma questo desiderio non l’ha avvicinata alla madre patria, né per reddito e case né per protezione dai rischi climatici. Una catastrofe emblematica.

Sabato 14 dicembre, notte, il diluvio universale si è scatenato sull’isola di Mayotte. Le cronache – non c’è nessuno di tanto anziano che possa ricordarselo direttamente – narrano di un diluvio simile solo nel 1934, novanta anni fa. L’isola fa parte di un arcipelago di quattro isole situate tra Mozambico e Madagascar, nell’Oceano Indiano. Le altre tre isole, le Comore appunto, sempre in disaccordo tra loro ma unite nel desiderio antico di indipendenza, costituiscono una repubblica federale autonoma, e sono tenute insieme dalla comune volontà d’indipendenza dalla Francia, potenza coloniale, nonché dalla mano forte e ispirata dell’Unione africana. La quarta isola, quella più a est, più vicina al Madagascar, Mayotte, ha deciso in due successivi referendum negli anni Settanta di rimanere “francese”; in effetti l’isola è dipartimento francese; gli isolani sono cittadini francesi, come francesi sono (per ora) coloro che nascono lì. Qualcuno come Stefano Montefiori, sul Corriere della Sera, si è immaginato che nella notte del ciclone fossero presenti molti futuri bambini di ambo i sessi, desiderosi di nascere e di essere a ogni effetto cittadini (e cittadine) di Francia. Questa aspirazione e le famiglie corresponsabili avrebbero provocato decine e forse centinaia di decessi per effetto del ciclone e della spinta irresistibile del vento, il Chido, sulle abitazioni di lamiera e cartone soprattutto nell’agglomerato di Kawény, forse ventimila persone.

Qualche giorno dopo, giovedì 19 dicembre, è Filippo Ortona, sul manifesto, ultima pagina (“Catastrofe Mayotte”, il manifesto 19/12 2024) a spiegare nel dettaglio la strage ambientale e politica insieme. “Il ciclone Chido ha raso al suolo le bidonville,  nel territorio d’oltremare francese causando una strage epocale. ‘Lo Stato aveva destinato quelle persone alla morte’ dice Rémy Carayol”. Ortona intervista infatti Rémy Carayol, autore del libro Mayotte Départment colonie, La Fabrique 2024.  Il Chido è un ciclone stagionale che di solito investe lo stretto del Mozambico, quello tra l’Africa continentale e il Madagascar, più a Nord o più a Sud di Mayotte, evitandovi danni eccessivi; quest’anno non è andata così e come novant’anni fa il ciclone è passato proprio su Mayotte, distruggendo quello che c’era da distruggere; in particolare stavolta era sorta Kawény, ormai la maggiore bidonville francese, come osservano, con una punta di compiacimento, gli stessi francesi, sui loro giornali. Scrive per esempio Le Monde (17/12): “Chido probabilmente è stato drogato dalle temperature altissime dell’oceano Indiano/ Se il legame tra la catastrofe di Mayotte e il riscaldamento climatico è difficile da stabilire, a lungo andare l’irregolarità climatica renderà i cicloni sempre più violenti”. Le pagine del Monde, diffondendosi sulle difficoltà francesi di intervenire nel loro remoto dipartimento oceanico, hanno descritto la distruzione di Kawény, dove avevano un fragile tetto (di lamiera), anche i rifugiati delle altre isole Comore, alla ricerca di un espediente per raggiungere la Francia e cambiar vita. I francesi hanno approntato un ponte aereo tra Mayotte, la madre patria e l’isola della Réunion, distante poche centinaia di miglia da Mayotte e in grado di rifornirla più in fretta di acqua e di altri generi di prima necessità che non la madre patria. Ma la fretta lascia molto a desiderare.

Tra Chido, Kawény e isolani delle Comore, Mayotte si presenta, con il suo ciclone ripetuto, come un caso esemplare dei problemi climatici e migratori: quelli che mal sopportiamo oggi e che – continuando a intrecciarsi – guideranno in futuro il nostro secolo. 

Nel libro L’Isola di Corallo, (Key Largo, 1948) Lionel Barrymore, nel corso di un tifone, racconta, per spaventare una banda di malfattori con cui ha a che fare, di un tifone ancora più rovinoso avvenuto anni prima; intanto John Huston, il regista, ci mostra lo spaventoso tifone in cui agiscono da par loro Lauren Bacall e Humphrey Bogart. 

La storia del mondo non si riassume in un film; a Mayotte c’è stato l’oceano con “temperature altissime” tali da “drogare” un ciclone sia pure di caratteristiche e traiettoria non ignote e di violenza paragonabile a quella di novant’anni fa; e anche se il nesso tra la“catastrofe” e “il riscaldamento climatico” è “difficile da stabilire”, avverrà che “l’irregolarità climatica renderà i cicloni sempre più violenti”. D’altro canto a Mayotte sono confluiti i disperati delle isole vicine: tutti insieme, la povera gente di Mayotte e i nuovi arrivati delle Comore, hanno avuto in mente il proposito di arrivare in qualche modo, con qualche soldo rimediato, con qualche inganno alla madre patria di là dal mare; alla cattiva zia coloniale; ma il tifone gli è rovinato addosso, gli ha scoperchiato gli alloggi di fortuna, chiamati banga, ha trasformato i pezzi di lamiera dei tetti improvvisati in armi taglienti; ha ferito e ucciso: tanto les citoyens de la République di Mayotte che i loro fratelli gemelli delle Comore.

In Key Largo, una delle isolette della Florida (il Feudo di Donald Trump) lo scenario era nei pressi di un altro oceano, Atlantico, quella volta non Indiano, ma i tropici – e gli umani – cambiano poco. Vi sono i bianchi per bene, i padroni; essi hanno da poco vinto la seconda guerra mondiale; nello stesso tempo opprimono, senza rendersene neppure conto, i nativi buoni e ignoranti che cercano riparo dal tifone in arrivo; essi infatti ‘sentono’ che arriverà. Vi sono poi i banditi, nemici della civiltà che in questo caso sono gangster, fabbricano dollari falsi, prevedono la reintrodurre il regime secco che consentirà loro di ricominciare a trafficare nelle bevande alcoliche proibite per legge. (Gli stupefacenti non avevano  ancora raggiunto la fama e l’importanza dei decenni avvenire). Poi vi è la polizia che agisce in modo strampalato: per scarsa professionalità, viene sopraffatta dai cattivi e in cambio ammazza i poveri nativi. E poi c’è il ciclone tropicale che domina e corregge gli affari degli uomini. Per raccontare la sua storia e vendere il film, John Huston si accontenta del lieto fine: giustizia tra buoni e cattivi, rinascita degli amori di pace. Si dimentica i nativi e soprattutto il ciclone. Che invece imperversa, spaventa, sfonda le finestre, rompe tutto e talvolta uccide.

Il ciclone di Mayotte è invece presente nell’attualità. Si riflette per esempio su questioni di ricchezza e povertà, lo fa perfino Le Monde di giovedì 19 dicembre: risulta che a Mayotte il reddito medio è di novemila euro l’anno, mentre alle Comore è di 703 euro e all’isola grande molto vicina, Madagascar, è addirittura di 364 euro; un euro al giorno, quindi. Il giornale spiega ai lettori: tenete presente che il reddito della Francia metropolitana è di 21.378 euro per abitante. Giovedì è arrivato per un sopralluogo anche il presidente Emmanuel Macron, portando sull’aereo presidenziale anche un carico d’acqua, forse 4 tonnellate. Molto criticato invece Bayrou, presidente del Consiglio incaricato, che invece di volare a Mayotte, ha preferito l’appuntamento di Pau, la ricca città di Francia di cui è sindaco. Sempre Le Monde intervista il geografo Frédéric Leone per trovar modo di spiegare la gravità del disastro di Mayotte: “Il ciclone Chido ha colpito un territorio molto fragile e impreparato. Mayotte è esposta all’attività ciclonica ma la popolazione non ha la cultura del rischio. In primo luogo vi si immagina che Madagascar possa proteggere dai cicloni ciò che non è del tutto vero. Poi c’è una sorta di fatalismo” il ciclone colpirà gli altri, non noi.

Per i francesi (chiamiamoli ancora così) di Mayotte la madre patria è Marsiglia. Ma amicizie e parentele possono poco contro la decisione ministeriale di rendere molto più arduo o pressoché impraticabile lo ius soli per Mayotte. Il ministro dell’interno Gérard Darmanin indicato con ironia burocratica-ministeriale come ministro dell’Interno e di Oltremare, osserva che escludere i comoriani dai provvedimenti di nazionalità è praticamente impossibile; meglio quindi – stiamo un po’ esagerando – cancellare tutto e farla finita.

Darmanin, il ministro francese, di certo lo sa. Sta applicando il pensiero antico e mai abbastanza sconfitto del senatore Henry Cabot Lodge, repubblicano degli Stati Uniti, che ha proclamato alla fine del milleottocento le regole per l’accettazione di migranti stranieri, in un lungo testo che ha fatto scuola. Tenuto conto che essi, gli immigrati, sono invisi ai nostri operai, per la concorrenza salariale e hanno credenze religiose e abitudini nefande, e che in sostanza noi stiamo molto meglio da soli, occorre almeno che essi sappiano leggere e scrivere; vengano da paesi europei anglosassoni o assimilabili (irlandesi; tedeschi) e non da altri paesi d’Europa (italiani, polacchi, russi) o da altre parti del mondo. Cabot Lodge era anche contrario alla Società delle Nazioni (contro il presidente Wilson) a fine ottocento non ce l’ha fatta, almeno come avrebbe voluto; e l’emigrazione ha reso grande e potente l’America; il suo pensiero però non è andato perduto, tanto che almeno gli ultimi tre presidenti americani (Trump, Biden, Trump) alzano muraglie e costruiscono ostacoli per impedire ai latinoamericani di attraversare la frontiera e cacciano via un po’ di quelli che l’hanno fatto in passato.

Centinaia, forse migliaia di morti a Mayotte; quello che conta davvero è che non ci siano più vivi delle Comore a Marsiglia, a Parigi. Ma giriamo la pagina e sarà più facile dimenticare…