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L’insegnamento dubbioso di Giorgio Nebbia

Il compianto Giorgio Nebbia ha studiato a lungo la natura delle merci e il loro impatto sulla Terra, in un dibattito costante tra malthusiani e cornucopia che riguarda ancora il nostro futuro prossimo.

“Gli autori delle indagini sul futuro si possono dividere sostanzialmente in due grandi gruppi. I malthusiani, il cui capostipite è stato Malthus, sostengono che il pianeta Terra non riesce, per quanti sforzi tecnici si facciano, a fornire le risorse naturali da cui trarre cibo, acqua, energia, carta, eccetera – in quantità crescente, adeguata al prevedibile continuo aumento della popolazione mondiale”. Il passo che precede, naturalmente di Giorgio Nebbia, che ci ha lasciato nel mese scorso, non trascura, brevemente, gli aspetti nuovi, intervenuti negli ultimi due secoli: “Malthus allora non lo poteva sapere”. E prosegue: “I cornucopiani, pronipoti di Condorcet e Goodwin, gli autori con cui se la prende Malthus nel suo saggio, sono invece convinti che adeguate strutture politiche e invenzioni siano in grado di rendere disponibile crescenti quantità di beni per una crescente popolazione terrestre a cui è riservato un futuro di abbondanza e di benessere”. 

Il futuro di cui si occupa Nebbia è quello del 2025 (si chiama infatti “Duemilaventicinque”, sesto capitolo di “Le merci e i valori Per una critica ecologica al capitalismo” Jaka Book alce nero 2002, il testo che abbiamo saccheggiato); è futuro anche per noi, anche se molto prossimo.

Nebbia scriveva all’inizio di questo secolo; per giocare alla pari, possiamo trasporre al 2040 le sue indicazioni, accompagnate, secondo il suo stile, da molte cifre e molti fatti. Le cifre in realtà cambiano solo nelle virgole. I fatti concreti sono solidi ancora oggi, accompagnati com’erano da studio, approfondimento, buon senso, tolleranza. Nebbia è sicuro di quanto sostiene: ha studiato a fondo, ha discusso, ha provato. Però non mette alla berlina chi la pensa diveramente. In molte occasioni della sua operosa vita si è trovato di fronte un diverso parere; nella controversa questione nucleare con i suoi quasi compagni di partito del Pci (Nebbia era stato eletto parlamentare della “Sinistra indipendente” nel 1983 alla Camera e nel 1987 al Senato) nei contrasti tra popolazione e lavoro, come nei disastri ambientali all’Acna di Cengio o alla Farmoplant di Massa.

Nebbia insegnava sempre, nel suo modo pacato, affettuoso. Rispettava le persone e chiedeva il rispetto per le materie naturali. Quando, in Parlamento, non era attivo all’università, continuava a raccogliere schede sulle merci, prima e dopo essere prodotte, prima e dopo essere usate. Il Dizionario tecnico-ecologico delle merci (Jaca Book-Fondazione Luigi Micheletti) è uno strumento senza uguali, con un centinaio di voci, da Acciaio a Zucchero. Ecco l’inizio della voce “Detersivi”: “Un filosofo ed economista dell’Ottocento, Karl Marx, scrisse che nella sua (e nostra attuale) società esiste la finzione giuridica che ogni cittadino abbia una conoscenza enciclopedica delle merci. Le etichette dei preparati per lavare offrono un esempio di come i cittadini siano tenuti all’oscuro delle merci, la cui ipotetica conoscenza è davvero una fictio juris. La lettura di tali etichette, infatti, non fornisce alcuna informazione non solo su quello che il preparato contiene, ma ancor meno sull’effetto inquinante di ciascuno”. 

Nella lunga e affettuosa intervista di Pier Paolo Poggio a Giorgio Nebbia (contenuta in Il caso italiano – Industria, chimica e ambiente, Jaca Book 2012, pp. 359-372) risalta la netta preferenza di Nebbia per Malthus. Però è ribadita la sua scelta costante, come anche il suo forte impegno di ascoltare e cercare di capire, sempre, Condorcet, Goodwin e i loro distinti seguaci. 

Nebbia è deciso e tollerante in un tempo: ha letto e studiato a fondo la questione particolare – per esempio l’energia nucleare – e sa come stanno le cose, assicura. Però la scienza e la storia insegnano che si può sempre sbagliare e in qualche modo, più in là nel tempo,  risultare che avessero ragione loro; o quasi. Conta soprattutto studiare (e insegnare), riflettere e agire. Nebbia si occupa a lungo di acqua. Lo fa con l’aiuto di Gabriella, sua moglie. Non si accontenta di imparare e spiegare ogni aspetto; capisce che il problema principale è la rarità dell’acqua”dolce”e studia il modo di moltiplicarla con la dissalazione, attuata servendosi di energia a poco prezzo come quella del sole o del mare stesso.

Il racconto autobiografico di Nebbia a Poggio (e a noi lettori, sorpresi e ammirati) parte proprio dalla scuola: studente d’ingegneria nella natale Bologna, è ben presto dirottato nella chimica. Il suo chimico-professore, Walter Ciusa, lo indirizza verso una branca semi trascurata dai maggiori docenti e marginale per gli studi e i fasti accademici di chimica ed economia. Nebbia insegnerà così a Bari “merceologia” per molti decenni, salvo un periodo di nove anni, per due mandati parlamentari.

Lo studio è la “merceologia”, intesa però come conoscenza delle materie e non tanto riguardo al valore di scambio, o di mercato, delle merci. Lo studio delle merci ha due conseguenze nell’università di Nebbia: da un lato riesce per qualche anno a studiare e insegnare i valori d’uso delle merci, dall’altro a spiegare il “dopo”. Cosa avviene di tutta la natura che costituisce la base necessaria e poi lo scarto della produzione – agricola, industriale – delle merci? Le conseguenze, per riassumere, sono di acqua velenosa, suolo compromesso, residui inutili, gas mefitico. Tutto questo rientra, o per dirla in una parola, inquina irrimediabilmente la natura di prima. Inoltre quando la merce ha compiuto il suo ciclo, cosa avviene di essa? La natura – terra, acqua, aria – servirà ancora, senza rimedio, da discarica. Le merci consumate avranno ancora una volta l’effetto di sporcare tutto.

Per imparare, per insegnare tutto questo andirivieni delle merci non basta fare lezioni – anni e anni di lezioni – dalla cattedra di Bari-merceologia. Occorre leggere, imparare, scrivere dove capita, dove qualcuno inviti un pensatore gentile e irriducibile, serve fare campagne, comizi, inventare soluzioni, perfino farsi eleggere deputato e senatore, con i voti del partito comunista che per una buona metà è “cornucopiano”, seguace di Condorcet e di Goodwin, sia pure senza saperlo e comunque contrario al reverendo Malthus.  

Una specie di conciliazione finale tra Malthus e gli antagonisti la si trova in un recente scritto di Nebbia, nel fascicolo “Terra” 44/2010 di Parolechiave. Gli tocca il compito di scrivere  “Ricchezze della terra” e comincia così: “I circa settemila milioni di persone esistenti sulla Terra possono ‘vivere’, cioè mangiare, scaldarsi, muoversi, comunicare, soltanto disponendo di beni materiali che possono essere tratti soltanto dalla Terra. Anche i beni apparentemente immateriali dipendono in gran parte da cose materiali; non è possibile avere felicità, dignità, libertà, se manca il cibo, l’acqua, un rifugio per la famiglia; non è possibile avere salute se non si dispone di acqua potabile, di gabinetti, di fognature, di servizi sanitari…. I beni materiali tratti dalla Terra sono dotati di utilità, di valore d’uso, indipendentemente dal modo in cui sono ottenuti, se in cambio di denaro o gratis; nello stesso tempo chi acquista materiali dalla Terra inevitabilmente è costretto, prima o poi, in una forma o nell’altra, a restituire alla terra quello che le ha sottratto”.